Un appello
Rete per l'amnistia - 30-07-2006
Promosso da Oreste Scalzone, Paolo Persichetti e altri

L'Ottocento e il Novecento sono stati secoli di amnistie che hanno seguito, in modo spesso contraddittorio e parziale, rivolgimenti e traumatismi civili e politici. L'Italia post-unitaria è stata marcata dall'adozione ripetuta di misure di clemenza collettiva. Almeno 230 sono state quelle recensite tra il 1861 e Il 1943. Ben altre 6 amnistie politiche sono state varate fino al 1970.
Oltre ad essere uno degli strumenti col quale il movimento operaio ha sempre cercato di tutelare dalle repressioni giudiziarie i propri cicli di lotta, l'amnistia ha rappresentato nel secolo appena trascorso una solare parola di libertà e speranza, legata ad una visione del mondo nutrita di tolleranza, fraternità e solidarietà. Victor Hugo in Novantatre faceva dire ad uno dei suoi personaggi: «Secondo me, amnistia è la parola più bella del linguaggio umano». Tuttavia negli ultimi decenni essa ha perso quella legittimazione che ne aveva fatto un mezzo necessario ed efficace per sottrarre i conflitti alla spirale della violenza, riconducendoli sui binari di un confronto politico a bassa intensità. Fatti sociali ritmati da una periodicità storica, che consentiva la possibilità dl un loro riassorbimento, vengono ormai inclusi in una metafisica e immutabile nozione di male, categoria suprema che destoricizza e desocializza gli eventi.
A cavallo tra il 1980 e il 1990, le maggiori forze della sinistra italiana hanno fatto del rigetto dell'amnistia uno dei tratti distintivi della loro legittimità istituzionale. L'amnistia è stata presentata come un diniego di giustizia nei confronti d'episodi che volutamente non sono più riconosciuti come politici, benché siano stati repressi con l'ausilio di strumenti giuridici che perseguono il «delitto politico» per eccellenza.
Nell'affrontare gli anni 70, la letteratura politica si è colorata d'accenti che se da una parte ricordano i toni foschi e le paranoie complottiste della destra legittimista, dall'altra richiamano la sarcastica parafrasi brechtiana sulle parole che uno zelante funzionario della Repubblica democratica tedesca aveva pronunciato di fronte ai moti operai di Berlino del 1953: «Poiché il popolo non ha fiducia nel comitato centrale, allora cambiamo il popolo».
Allo scandaglio del lavoro storico viene contrapposta volentieri la venerazione di una memoria trasformata nel culto di un dolore che non cicatrizza ma cristallizza il passato, tiene aperte le ferite trasformandole in piaghe. La democrazia assoluta, concepita come stadio finale della storia, ha depoliticizzato il conflitto e criminalizzato il nemico interno, diventando l'alibi supremo contro ogni possibile ricorso a soluzioni amnistiali.
Negli ultimi anni ripetuti cicli di lotte hanno ridato vigore all'azione collettiva. Questo nuovo clima d'effervescenza sociale, questa nuova insorgenza di bisogni e forme di vita differenti, non ha coinvolto soltanto tradizionali settori dell'attivismo politico più radicale, ma parti intere di popolo, pezzi di società. Le vaste dimensioni della rappresaglia giudiziaria stanno lì a dimostrarlo. Sì è parlato di quasi novemila persone sottoposte a procedimenti penali. Le figure sociali coinvolte riguardano i lavoratori e i sindacalisti degli stabilimenti Fiat, personale degli aeroporti, dipendenti del trasporto urbano, precari. Ci sono i militanti antiguerra che hanno partecipato ai blocchi ferroviari, la popolazione meridionale di Scanzano e Acerra e quella alpina della Val di Susa, i senzatetto, gli attivisti anti-Cpt e dei Centri Sociali che hanno preso parte ad azioni contro l'esclusione, il carovita, il lavoro interinale, per il diritto alla casa, i militanti noglobal presenti nelle mobilitazioni di Napoli e Genova, gruppi neoanarchici e antifascisti e molto altro ancora.
Le lotte sociali hanno sempre marciato su un crinale sottile che anticipa legalità future e dunque impatta quelle presentì. Per questa ragione le organizzazioni dei movimento operaio hanno storicamente fatto ricorso alle amnistie per tutelare le proprie battaglie, salvaguardare i propri militanti, le proprie componenti sociali, Garantire una lotta vuole dire serbare intatta la forza e la capacità di riprodurle in futuro. Alla fine le amnistie si sono rivelate degli strumenti di governo del conflitto, un mezzo per sanare gli attriti tra costituzione legale e costituzione materiale, tra le fissità e i ritardi della prima, e l'instabilità e il movimento della seconda. Le amnistie sanano la forbice tra conservazione e cambiamento. Esse rappresentano dei passaggi decisivi nel processo d'aggiornamento della giuridicità. E' stato così per oltre un secolo, ma in Italia non accade da più di un trentennio. Le ultime amnistie politiche risalgono al 1968 e al 1970, dopo più nulla perché in quel decennio hanno prevalso scelte favorevoli all'autonomia del politico contro le insorgenze sociali, col risultato di dare vita ad un divorzio crescente tra sinistra storica e movimenti.
E' venuto il momento di chiudere questa disastrosa parentesi. Si tratta dì salvaguardare il dissenso di massa che si è espresso in questi ultimi tempi e chiudere gli strascichi penali degli anni 70, pesantemente sovrasanzionati dalle leggi dell'emergenza, che con il loro protrarsi ipotecano pesantemente il futuro. A quasi venti anni dalla conclusione della lotta ed oltre trenta dal suo inizio, quando in carcere vi sono ancora 132 prigionieri per reati di sovversione e 119 latitanti all'estero (fonte Ministero della Giustizia aggiornata all'ottobre 2004), rinchiusi in prevalenza da un minimo di 18 anni ad un massimo di 28, c'e chi ritiene ancora aperti molti conti da regolare a fronte di un sanzionamento penale che non trova precedenti nelle repressioni politiche della storia italiana. Nei casi migliori l'idea di un'amnistia viene ancorata al chiarimento di una fantomatica verità, alla ricostruzione delle singole biografie. Una contraddittoria ingiunzione poiché, senza rimettere minimamente in discussione le pene erogate, si lascia intendere che la verità giudiziaria sancita nelle sentenze sarebbe incompleta o addirittura non veritiera. Chi sostiene questa ipotesi non ha nemmeno il buon senso logico di trarne le necessarie conseguenze: se la verità ancora non c'è, in nome di quale legittimità sono comminate tante pesanti condanne?
La finzione che presuppone il gioco democratico attuale, ovvero quel volersi proporre come il compimento stesso della politica, il grado più elevato della sua capacità inclusiva, si è trasformata in una gabbia incapace di concepire l'altro da sè. Da troppo tempo ormai evocare l'amnistia equivale all'impossibilità di dover riconoscere l'inconcepibile persistenza di conflitti di fondo, la presenza di una inammissibile disarmonia politica. Abbandonare quest'ipocrisia, accettare l'idea di conflitto, è forse l'unica residua possibilità capace di calare di nuovo l'idea di democrazia tra le fughe della storia, consentendo di recuperare quei necessari strumenti di ripoliticizzazione delle controversie, dopo aver affrontato traumatiche fasi di divisione e scontro. Altrimenti le democrazie si vedrebbero condannate ad un insanabile paradosso: ribadire la figura del nemico irriconciliabile nel momento in cui vorrebbero affermarsi come un modello di superamento dell'inimicizia politica. Invitiamo le forze sociali e politiche motore delle lotte degli ultimi anni ad unire le proprie energie per lanciare una campagna politica in favore:
- dell'amnistia e dell'indulto per i reati politici e sociali sanzionati negli ultimi trent'anni;
- di un provvedimento di clemenza che dimezzi la popolazione carceraria, abolendo leggi vessatorie e classiste come la Cirielli e la Fini sulle droghe, le politiche di differenziazione carceraria e rilanci una nuova politica estensiva e non premiale dei benefici penitenziari oltre a varare un nuovo codice penale caratterizzato da un sostanziale abbassamento dei tetti di pena e dall'abolizione dell'ergastolo;
- dell'abrogazione della legislazione d'emergenza nella quale si annidano le tipologie di reato più insidiose, oggi impiegate per colpire l'azione dei movimenti;
- del ripristino del quorum a maggioranza semplice, come indicava in origine l'art. 79 della costituzione;
- della chiusura dei centri di permanenza temporanea.
Dai palazzi del potere non pioverà mai nulla senza una spinta sociale esterna che faccia da volano riportando il baricentro della politica dal penale al sociale.

Giugno 2006

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Aderiscono:

Alex Zanotelli (Napoli)
Beppe Battaglia - Federazione città sociale (Napoli)
Sergio Piro - Forum Salute Mentale di Napoli
Franco Piperno - Docente UniCal (Cosenza)
Francesco Caruso - Deputato
Don Andrea Gallo - Comunità San Benedetto al Porto (Genova)
Don Vitaliano Della Sala (Avellino)
Dario Stefano Dell'Aquila - Antigone Napoli
Aboubakar Soumahoro - Comitato Immigrati Napoli
Samuele Ciambriello - Associazione Città Invisibile (Napoli)
Stefano Vecchio - Dipartimento Farmacodipendenze Asl Na 1
Salvatore Esposito - Capo Area Politiche sociali Regione Campania
Nicola Balzano - Cnca Regione Campania
Sandra Berardi, Ferdinando Gentile - Associazione Yairaiha Onlus (Cosenza)
Christian Tucci, Felice Adriani - Associazione Culturale Multietnica "La Kasbah" (Cosenza)
Riccardo Brun - scrittore (Napoli)
Massimo Ricciuti - scrittore (Napoli)

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per aderire scrivete a: robertamoscarelli@libero.it


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