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Libertà non fa rima con Internet
Aprile on line - 22-07-2006
Amnesty International denuncia le continue violenze dei governi mondiali e delle grandi aziende del settore contro gli internauti. L'argomento merita maggior considerazione

Massimo Eleuteri


"Internet può essere un formidabile strumento di promozione dei diritti umani, ma oggi questa possibilità in alcuni Paesi è negata da governi che non tollerano la libertà d'espressione e da imprese che accettano di aiutarli". In questa frase è riassunto tutto l'astio che Amnesty International riversa nella sua nuova campagna contro la repressione su Internet: "irreprensibile.info". L'iniziativa, lanciata ieri dall'organizzazione internazionale, si prefigge lo scopo di "riaffermare la possibilità di cambiare la rete". Amnesty accusa infatti alcuni governi (Iran, Maldive, Cuba, Vietnam tra i Paesi citati) di esercitare "uno stretto controllo su chi usa Internet per esprimere la propria opinione", infrangendo di conseguenza la tutela della libertà di espressione e di informazione, comprendendo con tale termine sia l'atto di informare sia il diritto di essere informati, impedendo "alle popolazioni il libero accesso a questa fonte d'informazione".

Il comunicato che ha accompagnato il lancio di questa iniziativa cita molti comportamenti portati avanti dalle autorità contro queste libertà: "alcuni internauti sono addirittura incarcerati, i siti web stranieri considerati scomodi sono bloccati, alcuni internet-point vengono chiusi, i forum sono sorvegliati, i blog soppressi". Sono atti di rigida sorveglianza che cercano di inibire lo sviluppo e la diffusione di idee contrarie ai precetti di cieca sottomissione che un regime impone, e che rischierebbero di abbattere i rigidi steccati che inevitabilmente la popolazione si trova a dover rispettare.

Come se non bastasse, alcuni governi sono aiutati in questa opera di repressione da alcune tra le maggiori compagnie di Internet, che supportano le attività investigative fornendo informazioni sugli utenti e sui loro "traffici" e predisponendo meccanismi di censura. In un rapporto pubblicato in concomitanza con il lancio dell'iniziativa irreprensibile.info, Amnesty denuncia a chiare lettere il fatto che "il controllo delle autorità cinesi sulla libertà di espressione e di informazione dei cittadini è continuo e pervasivo. In un modo o nell'altro le maggiori compagnie di internet aiutano il governo a mantenere questo controllo". Non a caso il dossier è intitolato "L'attacco alla libertà di espressione in Cina. Il ruolo di Yahoo, Microsoft e Google". I tre colossi, secondo i dati in possesso di Amnesty, avrebbero messo in atto una "collusione" con Pechino "animata esclusivamente dal desiderio di fare affari e che va anche contro quei valori aziendali, trasparenza e assenza di censura, che le società stesse dicono di voler perseguire".

Secondo AI è Yahoo la società che ha la coscienza più sporca visto che, oltre ad aver "procurato alle autorità cinesi informazioni private e confidenziali sui 111 milioni di utenti di internet", è anche attivamente impegnata in una fruttuosa collaborazione con le forze di polizia nelle operazioni contro i dissidenti o presunti tali. Nel dossier viene imputata a Yahoo la colpa della condanna a 10 anni di prigione comminata ad un giornalista cinese. Shin Tao, questo è il nome del malcapitato, è stato infatti accusato nel 2004 di aver spedito ad un sito statunitense un'e-mail contenente il documento redatto dal Dipartimento centrale della propaganda cinese in cui erano imposte alla redazione certe istruzioni su come scrivere gli articoli.
Yahoo si è difesa dichiarando che "La nostra presenza in Cina, anche se con restrizioni, potrebbe aiutare il paese ad aprirsi. Crediamo di incidere di più avendo una limitata presenza e una crescente influenza che non operare del tutto in un paese".
Comunque Amnesty ne ha per tutti: "Microsoft ha ammesso di aver chiuso un blog che dava fastidio all'esecutivo di Pechino", e sembra che nel 2004 abbia anche fornito una serie di informazioni sul fisico nucleare Mordechai Vanunu, incriminato poi dalle autorità israeliane per contatti con la stampa estera; Google ha invece lanciato "una versione censurata del suo motore di ricerca internazionale".

Tutto questo dovrebbe suscitare un forte sentimento di delusione, o almeno dovrebbe alimentare una riflessione sulla tutela delle libertà all'interno di Internet. Questo nuovo spazio di comunicazione e di formazione di idee e identità sta da anni scombussolando molti capisaldi delle nostre società. La velocità dei cambiamenti, tecnologici e con essi sociologici, è però tale da non consentire alla legislazione e alla opinione pubblica una sufficiente comprensione dei fenomeni e quindi un tempestivo adeguamento. I software di file-sharing (che consentono la condivisione di file da utente a utente) ad esempio stanno rendendo sempre più inutili alcune tipologie di intermediari nella diffusione delle opere. Per questo sono accanitamente osteggiati da molti governi, che assecondano le rivendicazioni delle grandi industrie dell'audiovisivo per la preservazione dello status quo.
I blog, siti personali che permettono di comunicare se stessi, stanno addirittura configurandosi come spazi di profonda riflessione e di contatto tra popolazioni non solo distanti, ma addirittura in guerra tra loro. E' quello che è successo in Iraq, quando un blogger aveva permesso a milioni di internauti di seguire in tempo reale l'avvicinarsi delle truppe statunitensi, sollevando un'epocale discussione sui motivi di una guerra, e su come capire chi aveva torto e chi aveva ragione. Ma è anche quanto sta succedendo in Libano, dove israeliani e palestinesi si incontrano in questi spazi ritagliati su misura, si confrontano e si confortano, costruendo ponti che i missili intelligenti non possono distruggere. Però possono farlo la polizia e i governi, con l'aiuto di chi detiene le informazioni sugli utenti.
E' per questo che è importante garantire sempre le libertà che ci spettano, per quanto possa essere difficile o poco remunerativo.


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