breve di cronaca
Chiesa e scuola
Tuttoscuola - 17-07-2006
Secolarizzazione e Istruzione: l'istruzione che cambia è lo specchio del Paese

Dai dati forniti dalla Cei, dall'Istat, dal Miur e dal ministero della Salute e che hanno preso in considerazione unicamente aspetti della religione cattolica quali la pratica visibile, l'appartenenza e la presenza nella società, ecco venir fuori i nuovi rapporti tra istruzione e scuole cattoliche in Italia.

Nel cammino di secolarizzazione del Paese spiccano la crescente preferenza per le scuole pubbliche o private non religiose (se nel 1991 gli iscritti alle scuole cattoliche erano il 9,1% del totale degli iscritti, nel 2003 erano solo il 6,9% e la tenuta dell'8 per mille).

Vescovi a confronto: come insegnare la religione

Si sono incontrati a Roma i vescovi europei che aderiscono alla CCEE - organismo che raggruppa 34 conferenze episcopali - per elaborare un rapporto sulla situazione dell'insegnamento della religione nelle scuole del proprio Paese.

Alla base l'esigenza di "condividere riflessioni ed esperienze sui temi dell'Europa e dell'insegnamento della religione nasce anche dalla situazione in alcuni Paesi europei dove si e' aperto un dibattito sull'opportunita' di non rendere piu' obbligatoria l'ora di religione".

L'incontro si è posto poi lo scopo di costruire una griglia di rilevazione dati che servira' alla raccolta di informazioni nei Paesi rappresentati dalle 34 Conferenze episcopali. Sulla base di queste elaborazioni ogni vescovo raccoglierà informazioni sull'insegnamento della religione nel proprio paese inviando un rapporto nazionale entro il novembre 2006.

Da qui avrà inizio una lettura comparata da cui scaturiranno temi e modelli al centro di un convegno internazionale, previsto per il 2007.


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 dal Corriere    - 18-07-2006
La scuola di Stato è superata Affidiamola alla società civile

VENEZIA - Il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, uno degli uomini più vicini a Wojtyla e a Ratzinger, è alla vigilia della sua uscita pubblica più importante, per la festa del Redentore. L'anno scorso avanzò la proposta, anticipata in un'intervista al Corriere , di una nuova laicità, cui in autunno dedicherà un saggio per Marsilio. Quest'anno, spiega, affronterà un contenuto primario della nuova laicità.
Quale, patriarca?
La libertà d'educazione. Il tema è assolutamente decisivo. Il nostro Paese ha bisogno di innovazione coraggiosa in questo ambito. Su questo diritto fondamentale occorre aprire un dialogo a tutto campo. La mia non è una perorazione per la scuola cattolica, che pure per me riveste un'importanza considerevole; né il solito lamento sulla crisi della scuola e dell'università.
Che cos'è allora?
È un tentativo di dare qualche suggerimento, a partire dalla preoccupazione pedagogica essenziale per la Chiesa. Di avanzare una proposta che possa entrare nel dibattito culturale. Nell'ottica di una nuova laicità, che esca da un puro schema dialettico del rapporto Stato-Chiesa, e raccolga le istanze profonde di una democrazia fatta di "libertà realizzate", credo che il Paese dovrebbe avere il coraggio di una scelta radicale per la libertà di educazione. Occorre intraprendere una nuova strada, che superi quello che costituisce il fattore di blocco del nostro sistema scolastico e universitario: il mito della scuola unica. L'espressione non è mia ma dell'americano Glenn, che l'ha studiata in vari Paesi, compreso il nostro. Per giunta, in Italia la scuola unica è scuola unica di Stato.
In Italia esistono e sono in crescita le scuole private.
Ma il mito non è intaccato nemmeno dalla scuola paritaria. Lo stesso concetto di parità indica che il modello resta quello della scuola unica, di cui la paritaria può essere solo una bella o una brutta copia. Interessanti sono invece le scelte dell'autonomia e del decentramento: se la scuola è autonoma e decentrata, allora non è più importante chi la gestisce, se lo Stato o dei soggetti sociali, ma diventa finalmente decisiva la proposta che la scuola avanza. Solo che in Italia autonomia e decentramento scolastici sono per ora timidi vagiti.
Il referendum ha appena bocciato la devoluzione: segno che la scuola è ancora considerata un elemento di unità del Paese.
Il mito della scuola unica è nato con l'unità d'Italia e con un'istanza giusta - in un Paese in cui solo il 20% parlava la lingua nazionale - di trovare un patrimonio comune che configurasse il cittadino. Sia la destra sia la sinistra storiche hanno perseguito questo intento, cui però si sono mescolate posizioni ideologiche spesso anticattoliche. La riforma Gentile ha fondamentalmente codificato questo stato di cose, e i suoi principi sono stati poi recepiti nella Costituzione. Si è detto che la scuola per essere laica deve essere neutra, indifferente a qualsiasi Weltanschauung; e si è pensato di garantirne la neutralità attraverso l'unicità. Ma lasciamo stare il passato. Ora, a me pare che in un contesto di meticciato di civiltà, com'è il nostro, non soltanto il modello di scuola unica limiti il tasso di libertà del Paese, ma riduca scuola e università a cenerentole: l'ingessatura centralistica non consente di assumere le novità e le contraddizioni che si vanno manifestando nelle nostre scuole ed università. La proposta è: lo Stato smetta di "gestire la scuola" e si limiti "a governarla".
Non teme il caos che si creerebbe se ognuno si facesse la propria scuola?
No. Attraverso la moderna figura di un rigoroso accreditamento, già in atto in molti Paesi, lo Stato mantiene il compito di garantire le condizioni oggettive di rispetto della Costituzione, soprattutto che la scuola sia aperta a tutti, gratuita e di qualità. Ogni scuola libera, indipendentemente dalla opzione pedagogica, deve essere di tutti e per tutti. La Costituzione dice all'articolo 33 che la Repubblica, quindi lo Stato più gli enti locali, deve istituire scuole; non dice che le deve gestire. È tempo che la gestione passi alla società civile, superando la connessione tra laicità, neutralità e unicità della scuola di Stato: un equivoco che tra l'altro ha trasformato la scuola e l'università in terreno di lotta per l'egemonia. Assistiamo a questo paradosso: s'invoca la scuola unica di Stato come la scuola veramente pubblica; ma lo è de iure; de facto diventa privata, perché finisce sempre in mano a gruppi egemonici.
Di chi è l'egemonia in questa fase?
Preferisco rifarmi alla storia. In Lombardia, al sabato, quand'ero bambino, finite le lezioni il maestro ci metteva in fila per due e ci portava a confessarci. Era chiaro chi aveva l'egemonia. Poi è passata a una certa ala liberale e alla sinistra, che hanno letto strumenti come ad esempio le associazioni d'istituto e i decreti delegati in chiave egemonica; per non parlare delle forme deleterie di accesso all'insegnamento. Non voglio entrare nel discorso delle baronie universitarie. Credo piuttosto di non mancare di rispetto a nessuno se dico che la via "gramsciana" alla rivoluzione è passata attraverso la conquista dell'egemonia nella scuola e nell'università da parte del Pci. Oggi non si tratta di riconquistare l'egemonia ma, in una società veramente plurale e laica, di superare una visione sterilmente dialettica del processo di "riconoscimento sociale" cui si rifà la logica dell'egemonia. Tutti i soggetti e le realtà associate, qualunque sia la loro visione dell'educazione, se soddisfano certe condizioni di accreditamento, devono avere diritto e risorse - effettive, non sulla carta! - per aprire scuole ed università.
Nonostante la premessa, patriarca, molti leggeranno le sue parole come una richiesta di maggiore spazio per la scuola cattolica.
Sarebbe una lettura miope. Superando la scuola unica e adeguando la scuola ai bisogni della società di oggi si avrebbero vantaggi molteplici: maggiore creatività pedagogica; maggiore libertà quanto ai programmi, ai contenuti, ai metodi di insegnamento; una sana e controllata emulazione; capacità di non escludere l'elemento del rigore nel perseguire l'eccellenza; maggior duttilità nell'assorbire i fenomeni di meticciato, miglior nesso col mondo del lavoro. E ci sarà libertà per tutti, poiché nessuna famiglia e scuola sarebbe costretta a pagare il diritto all'istruzione due volte, con le tasse e poi con le rette scolastiche, e a mendicare attraverso la categoria del diritto allo studio un parziale e inadeguato contributo.
Ci sarà libertà anche per gli islamici?
Il meticciato di civiltà non è una scelta, è un processo. Non è un'opzione, è un fenomeno. Questo processo ha in sé elementi di ombra, oscuri, di dolore fortissimi, a partire da quello che il "meticcio" sperimenta sulla propria pelle. Però accompagnando criticamente il processo possiamo lavorare perché l'elemento umbratile e doloroso lasci il posto al "nuovo essere", al "nuovo popolo". Per questo la grande risorsa di cui disponiamo è la società civile, e nella società civile la scuola è decisiva. Se rispetta tutti i criteri di accreditamento, che lo Stato dovrà garantire, non vedo perché un gruppo di islamici non possa aprire una scuola. Così penso che in una scuola gestita da cattolici si possa insegnare la cultura islamica o ebraica. Cosa che del resto da qualche parte già avviene.
Si può pensare anche a scuole senza l'ora di religione?
Una scuola libera che in Italia rinunciasse all'ora di religione secondo me sbaglierebbe. L'educazione è "traditio" aperta all'ad-ventura, al futuro. Per aver cura dell'educazione, che poggia sulla traditio , non posso non considerare le traditiones . Ed in Italia il peso del cattolicesimo.
Quindi non condivide la legge francese che vieta il velo in classe.
Non mi piace quel modello di neutralità radicale, perché ricorda la notte in cui tutte le vacche sono nere, e non si distingue più nulla. Lo Stato non può pretendere di sostituirsi al dinamismo della società civile. Il meticciato impone un lavoro sofferto di chi con cuore largo si lascia ferire dalla ferita del meticcio e la trasforma, con un appassionato confronto amico, in un positivo personale e sociale. Il vangelo della festa di oggi, quella del Redentore, è il vangelo del buon pastore. Il buon pastore si prende cura di tutti e ciascuno contemporaneamente. Questo è educare. Genialmente don Milani, in Lettera ad una professoressa , diceva: I care. Non è senza significato che un grande studioso come Foucault abbia notato come il modello di governo dello Stato moderno si sia andato configurando sulla dottrina pedagogica della pastorizia: l'idea del pastore nasce in Mesopotamia, è presente nell'Antico Testamento, ma è soprattutto nell'Occidente cristiano che viene sviluppata.
Patriarca, mi scusi il passaggio da Foucault a Fioroni, ma il nuovo ministro ha già detto che non ci sono soldi, neppure per il bonus scuola.
Non entro negli aspetti tecnici. Ma se una Repubblica non fa tutto per la scuola e per l'università, è persa. Quand'io ero ragazzo mi colpì un'affermazione di don Giussani: "Mandateci in giro con le pezze nei pantaloni, ma dateci la libertà di ricercare, insegnare e studiare". Ne ha bisogno il Paese, non i cattolici. Bisogna evitare che le esigenze della giusta crescita e del giusto risanamento economico sacrifichino da una parte la libertà e l'iniziativa, imprescindibili in una democrazia sostanziale, e dall'altra la sussidiarietà e la solidarietà. Per questo mi auguro che, sulla scia delle iniziative degli ultimi governi, ci sia il coraggio di pensare a una riforma sostanziale del sistema scolastico e universitario.
Che impressione le ha fatto invece Zapatero?
Un primo ministro che snobba la presenza di un milione di suoi cittadini con il Papa e dimentica le radici del suo Paese a mio avviso commette un errore. Poi in futuro si potranno anche rivedere i cerimoniali. Non credo che il Papa abbia levato lamenti nel vedere al posto di Zapatero un suo ministro. È anzi possibile che se ne sia fatto rapidamente una ragione.
Esiste uno zapaterismo anche in Italia?
Alla politica chiedo meno partigianeria e più passione. Visitando capillarmente le parrocchie e le comunità, vedo che nel Paese sono all'opera molti soggetti popolari e creativi: la politica dovrebbe sostenerli nel loro impeto generativo di nuova società. Inoltre, la politica dev'essere sagace nel compromesso nobile: cum-promitto. A chi promettono le parti? Al popolo, che è l'arbitro. Lo Stato deve gestire di meno e governare di più. E tutti dobbiamo avere stima della verità, della bontà, della bellezza, da qualunque parte provengano, e, aggiungerei, del pudore; altrimenti non si riesce a essere giusti, e si oscilla tra il giustizialismo giacobino e il permissivismo immorale.

Aldo Cazzullo

 da Repubblica    - 17-07-2006
Polemica col Vaticano

Il patriarca di Venezia: "La scuola di Stato è superata". E scatta la reazione nel mondo laico. Bertinotti: "Deve essere pubblica per comprendere tutti"

Fioroni "stoppa" il cardinale Scola

ROMA - La scuola italiana "è di tutti e per tutti". Lo ha ribadito il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, commentando le dichiarazioni del Cardinale Angelo Scola secondo il quale "la scuola di Stato è superata" e la scuola stessa va affidata alla società civile. "Il Patriarca di Venezia tocca temi che meritano riflessione e approfondimento. Come ministro della Pubblica Istruzione - ha aggiunto - farò questa riflessione nell'interesse della scuola italiana, che è la scuola di tutti e per tutti".

La reazione del ministro della Pubblica Istruzione arriva a mettere il sugello al malumore provocato dalle parole del Patriarca di Venezia sul sistema scolastico italiano. Una provocazione intellettuale, come lo stesso cardinale sottolinea, anticipata sulle pagine del Corriere della Sera che Scola ha messo al centro dell'omelia nella messa per la festa del Redentore a Venezia.

"Lo Stato deve passare dalla gestione al puro governo del sistema scolastico-universitario"; "Lo Stato deve rinunciare in linea di massima a farsi attore propositivo diretto di progetti scolastici e univesitari per lasciare questo compito alla società civile". Questi i passi principali della proposta del porporato, che chiede dunque di superare "quello che costituisce il fattore di blocco del nostro sistema scolastico e universitario: il mito della scuola unica".

Su questo il Patriarca chiede di "aprire un dialogo a tutto campo" sottolineando - quasi ad anticipare le critiche - che "non è una perorazione per la scuola cattolica, che pure per me riveste un'importanza considerevole; nè il solito lamento sulla crisi della scuola e dell'università".
Decise le reazioni: grande rispetto per il ruolo del cardinale, ma deciso deissenso sulle sue parole. E' il tono del presidente della Camera, Fausto Bertinotti: "Si tratta di una intervista impegnativa di un'ecclesiasta così autorevole come l'arcivescovo di Venezia. Io la penso, però, molto diversamente, penso che la scuola in una società che diventa sempre più meticcia debba essere unitaria e cioè pubblica per comprendere tutte le etnie, le religioni e i punti di vista in una costruzione unitaria che è quella della convivenza in cui ognuno rispetti l'altro ma si confronti con lui quotidianamente".

E così l'espoonente della Margherita Franco Monaco: "Rispettosamente dissento dalle conclusioni del card. Scola, che pure muove da presupposti condivisibili: l'esigenza di una scuola espressione della società , meno centralistica e burocratica, e un'idea positiva della laicità intesa non come agnosticismo ma come attitudine al confronto". Durissimo Aurelio Mancuso, segretario dell'ArciGay: "Il Patriarca ripropone l'equazione meno Stato più Chiesa cattolica, anche nel sistema formativo italiano. Per fortuna che c'è la Costituzione e, che questa minoranza aggressiva contraria al pluralismo e alle libertà individuali, non potrà agevolmente portare avanti i suoi propositi di annettersi la formazione delle nuove generazioni".

Di altro tono e grande disponibilità la reazione dei giovani di Forza Italia: "Le parole del cardinale sono l'occasione per un dibattito serio e pacato sullo stato dell'educazione nel nostro Paese"

 da Tuttoscuola Focus    - 17-07-2006
"La scuola di Stato è superata?". Neanche per idea

Sono bastate poche ore per assistere ad un vero e proprio fuoco di sbarramento nei confronti delle tesi sostenute dal cardinale Scola.
Rispettosa, ma netta, la presa di distanza del ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni: "Il Patriarca di Venezia tocca temi che meritano riflessione e approfondimento. Come ministro della Pubblica Istruzione farò questa riflessione nell’interesse della scuola italiana, che - ha voluto specificare Fioroni - è la scuola di tutti e per tutti".

Rispetto per il ruolo del cardinale anche da parte del presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ma anche netto dissenso sulle sue parole. "Si tratta di una intervista impegnativa di un ecclesiasta così autorevole come l’arcivescovo di Venezia. Io la penso, però, molto diversamente, penso che la scuola in una società che diventa sempre più meticcia debba essere unitaria e cioè pubblica per comprendere tutte le etnie, le religioni e i punti di vista in una costruzione unitaria che è quella della convivenza in cui ognuno rispetti l’altro ma si confronti con lui quotidianamente".

Analoga, ma più articolata, la reazione di Franco Monaco, esponente della Margherita: "Rispettosamente dissento dalle conclusioni del cardinale Scola, che pure muove da presupposti condivisibili: l’esigenza di una scuola espressione della società, meno centralistica e burocratica, e un’idea positiva della laicità intesa non come agnosticismo ma come attitudine al confronto".
Totale chiusura invece da parte del segretario dell’ArciGay Aurelio Mancuso, che ha detto che "il Patriarca ripropone l’equazione meno Stato più Chiesa cattolica, anche nel sistema formativo italiano. Per fortuna che c’è la Costituzione e che questa minoranza aggressiva contraria al pluralismo e alle libertà individuali, non potrà agevolmente portare avanti i suoi propositi di annettersi la formazione delle nuove generazioni".

L’unica apertura alle tesi del cardinale, almeno a caldo, è venuta dai giovani di Forza Italia: "Le parole del cardinale sono l’occasione per un dibattito serio e pacato sullo stato dell’educazione nel nostro Paese".

 Gianni Mereghetti    - 17-07-2006
Mi meraviglia tanta reazione pregiudiziale alla richiesta del card. Angelo Scola di ripensare al sistema scolastico partendo dalla libertà di educazione. Ancora una volta alla domanda di liberalizzare la scuola si oppone da una parte l’ignoranza dall’altra l’ideologia, le quale mescolaste insieme fanno una miscela distruttiva della libertà. Infatti è ignoranza quella di chi ritiene che libertà d’educazione significhi privilegi per le scuole private ed è ideologia quella di chi si straccia le vesti quando qualcuno chiede che lo stato faccia un passo indietro e lasci a genitori, studenti e insegnanti il diritto di essere protagonisti dell’educazione e dell’istruzione. Così con ignoranza e ideologia si vuole testardamente conservare un sistema scolastico di bassa qualità culturale e di infimo valore educativo, mentre con una vera libertà dei diversi soggetti che si impegnano quotidianamente con l’educazione tutto il sistema scolastico farebbe un notevole salto di qualità. Che scuola statali e scuole non statali siano messe nelle stesse condizioni non è un privilegio per le scuole cattoliche, ma è un bene anche e soprattutto per la scuola dello stato, che in un sistema liberalizzato sarebbe sollecitata a migliorare la qualità della sua offerta educativa. Allo stesso modo che famiglie e insegnanti possano costruire la scuola, e non solo farvi parte, sarebbe un impulso a rendere ciò che si fa dentro ogni aula scolastica sempre più rispondente al bisogno degli studenti. In conclusione se il card. Scola ha chiesto di affidare alla società civile la scuola, lo ha fatto per il bene di tutto il sistema scolastico italiano, che potrà migliorare solo con il protagonismo dei soggetti educativi.

 Corrado Mauceri    - 17-07-2006
Giù le mani dalla Scuola statale!!

Il Corriere della Sera di domenica ha dato ampio spazio ad una ampia intervista del Cardinale Scola, Patriarca di Venezia il quale, invadendo una sfera che deve essere propria dello Stato ed ignorando il dettato costituzionale, ha affermato: “ La scuola di Stato è superata, affidiamola alla società civile”.
Una tale sortita da parte di un’autorevole esponente della Chiesa non stupisce; stupiscono però alcune prese di posizione poco chiare e disponibili alla riflessione!
A tal proposito si deve anzitutto ricordare che il 25 e 26 giugno con il NO nel referendum costituzionale la grande maggioranza dei cittadini italiani si è pronunciata contro il tentativo di “regionalizzare” la scuola, riaffermando il ruolo istituzionale della scuola non solo pubblica, ma statale.
La Scuola statale quindi non si tocca! né è necessaria alcuna riflessione; la Costituzione è chiara, l’art. 33 della Costituzione difatti afferma:
”L’arte e l’insegnamento sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”.
Quindi è chiaro che tutti hanno piena libertà di istituire scuole e di svolgere l’insegnamento (cd “libertà di scuola”); ma è pure chiaro che lo Stato non solo ha il potere, ma ha soprattutto il dovere di istituire scuole statali “per tutti gli ordini e gradi”.
La Costituzione difatti assegna alla scuola un ruolo fondamentale per la democrazia del nostro Paese; la scuola ha il compito di realizzare attraverso l’accesso al sapere garantito a tutti, senza alcuna discriminazione, l’acquisizione del sapere e quindi il pieno diritto di cittadinanza.
Per questa sua funzione “costituzionale”, come l’ha definita Calamandrei, la Repubblica deve istituire scuole “statali” e non può delegare tale funzione istituzionale ad altri soggetti; nel contempo però la Repubblica deve anche garantire che nelle scuole statali sia garantita la piena libertà d’insegnamento ed il pluralismo culturale; la Costituzione quindi impone alla Repubblica di istituite scuole statali, ma nel contempo preclude una forma di istruzione dogmatica e condizionata dal Governo in carica; la scuola statale deve essere la scuola del confronto e del pluralismo.
Al contrario la libertà di istituire scuole, riconosciuta a tutti, consente il diritto di istituire scuole ( ma “senza oneri per lo Stato” ) anche con specifico orientamento culturale e/o confessionale, cd scuole di appartenenza (come le scuole cattoliche); tali scuole però non solo non possono sostituire le scuole statali, ma in una società pluralista e multietnica rischiano di realizzare una formazione culturale ghettizzata delle nuove generazioni; oggi quindi, con buona pace del Cardinale Scola e dei “liberalizzatori “ di turno, è ancor più necessaria una scuola statale di tutti e per tutti, che, governata democraticamente ed in modo aperto alla società civile, sappia garantire una formazione culturale libera e pluralista.
Questi principi afferma la Costituzione; purtroppo tali principi non sono stati rispettati dai governanti in modo coerente; non c’è quindi da stupirsi (anche se è grave!) che un Cardinale riproponga la privatizzazione del sistema scolastico.
Il recente Referendum ha però riaffermato l’attualità dei valori Costituzionali; da ora in poi sui principi costituzionali non si deve più transigere.

 Maurizio Tiriticco    - 20-07-2006
Tra le tante fatiche del nostro Fioroni impegnato nelle difficili operazioni di bisturi, da medico qual è, e di cacciavite, da meccanico quale non è, e tra le tante attese delle scuole che vorrebbero riaprire i battenti con quelle certezze che per un quinquennio sono state loro rubate, non sorprende che il Cardinale Scola riaccenda le polveri con l’intervista di qualche giorno fa, apparentemente bonaria e buonista, ma pericolosa nella sostanza.
La Moratti è stata sconfitta, ma lo schieramento di cui è stata una infaticabile staffetta non è stato assolutamente battuto. E’ un ulteriore segno che la Moratti non è stata un riformatore solitario, ora un po’ avventuristico, ora un po’ pasticcione, bensì l’alfiere di una offensiva che mira a ribaltare un modello di scuola che con tanta fatica abbiamo costruito dal dopoguerra ad oggi e che necessariamente dobbiamo adeguare ai tempi così profondamente cambiati. Prima, però, che uno Scola salga in cattedra!
Vi è quindi una linea continua Moratti-Scola, i cui principi ispiratori sono i seguenti: una scuola sottratta alla mano pubblica e affidata per certi versi al mercato e alla prevalente scelta delle famiglie, per altri alle molteplici finalità socioeducative che più soggetti vorranno proporre. Il tutto in nome di una pretesa libertà della domanda e dell’offerta anche in materia di educazione.
La giustificazione che viene data a questo disegno è che la scuola di Stato è per sua natura uniforme e rigida, incapace di leggere i reali bisogni dei fruitori, a cui propone obiettivi altrettanto uniformi e rigidi che difficilmente possono essere raggiunti. E, a giustificazione di questo, adducono l’elevato tasso di dispersione scolastica, gli esiti negativi denunciati dalla ricerca Pisa, l’irraggiungibilità degli obiettivi di Lisbona nei tempi concordati, la disaffezione alla scuola sia degli alunni che degli insegnanti e soprattutto il suo scollamento dai reali bisogni formativi del mondo contemporaneo. Tutti fatti veri, ma le cui ragioni hanno origini che vanno oltre la scuola in senso stretto.
Indubbiamente, la tesi di Scola è più raffinata rispetto alle motivazioni addotte dalla Moratti per avallare la sua riforma. Scola è un colto e cita con disinvoltura Don Milani, Foucault, Gramsci, Charles Glenn (che, in effetti, in The Myth of the Common School, fa affermazioni interessanti ma che Scola usa strumentalmente), Don Giussani, financo la nostra Costituzione e i principi di sussidiarietà e solidarietà. E fa anche un’ampia professione di laicità. Recupera anche il discorso sul meticciato senza le goffaggini in cui era caduto Pera ed ha anche idee molto chiare circa la necessità di uno Stato che sia sempre più capace di decentralizzare i suoi poteri. Giunge perfino a dire che “l’ingessatura centralistica non consente di assumere le novità e le contraddizioni che si vanno manifestando nelle nostre scuole ed università. La proposta è: lo Stato smetta di gestire la scuola e si limiti a governarla”.
Scola non inventa nulla, perché questo suo auspicio è già un fatto! Nel nostro Paese da almeno un trentennio – perché è dagli anni Ottanta, se non da prima – si è avviato il dibattito sulle autonomie, in forza del quale si è giunti alla riforma costituzionale del 2001. Allora, che cosa pretende di insegnarci il Cardinale Scola? Assolutamente nulla, perché la strada delle autonomie è quella che stiamo perseguendo pur tra mille difficoltà, che non sono assolutamente imputabili ad uno Stato miope e padrone. E’ l’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative che “restituisce” – se si può usare questo verbo – le scuole ai cittadini, alle loro comunità e ai loro territori. E possiamo anche essere d’accordo con Scola, quando afferma che “in Italia autonomia e decentramento scolastici sono per ora timidi vagiti”. Certamente! Dopo i cinque anni di freno imposti dal ciclone Moratti, in cui l’autonomia, fortunatamente, è stata l’arma con cui le scuole si sono difese da innovazioni cervellotiche e impraticabili, sarà l’autonomia il volano del rinnovamento della scuola sul territorio!
La sfida dei prossimo anni è proprio questa: da un lato c’è lo Stato che deve fare la sua parte nella determinazione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali di quei saperi che tutti i nostri giovani devono raggiungere: dall’altro ci sono le istituzioni scolastiche che nella loro autonomia adottano le strategie più diverse perché questi livelli vengano raggiunti e superati. In mancanza di Indicazioni nazionali certe, di cui è responsabile il potere centrale, le scuole sarebbero necessariamente allo sbando! Quello sbando delle schede fai da te che hanno umiliato e offeso la nostra scuola!
Ma Scola si propone ben altri obiettivi rispetto a un semplice richiamo all’autonomia! L’obiettivo vero è un altro! Sottrarre allo Stato la responsabilità di dettare norme generali in materia di istruzione e permettere che sia una pluralità di soggetti a perseguire le finalità e gli obiettivi più diversi in ordine ad una visione del mondo che ciascuno di esse porta con sé! I cento fiori di Mao! Una citazione che Scola ha dimenticata! E Scola, di fatto, si richiama anche alla Costituzione, quando all’articolo 33 afferma che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” e che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti, senza oneri per lo Stato”. E ci mancherebbe che così non fosse! Ma vi è anche un dovere dello Stato verso tutti i suoi cittadini, quello di “istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi”, ed è questo dovere che a Scola non piace!
E qui è proprio la pericolosità del suo discorso: privare lo Stato di un suo preciso diritto/dovere, per permettere che in un male inteso libero mercato della cultura e dell’educazione ciascuna scuola venda il suo prodotto… e che… vinca il migliore! Si aprirebbe una situazione di reale disgregazione di quei valori civili ed etici che sono nella nostra Costituzione, nella nostra Bibbia laica, per dirla con Ciampi, e che laicamente aiutano a leggere e ad interpretare quei valori altri di cui fedi, credenze e culture diverse sono portatrici. E’ la Costituzione repubblicana che riconduce ad unità ciò che nel sociale ritroviamo disperso, a volte diviso ed anche contrapposto.
Scola è libero di avanzare le sue proposte. Noi siamo altrettanto liberi di sostenere che le norme dell’istruzione di cui è titolare lo Stato e le iniziative autonome delle scuole nella realizzazione dei curricoli sono la prima garanzia perché ciascun alunno realizzi quegli obiettivi che fanno di lui una persona e un cittadino libero e responsabile. Scola non sa, o forse fa finta di non sapere! Di fatto propone una sorta di autarchia, di autoreferenzialità di ogni singola unità scolastica! Ciascuna dispersa in un territorio egualmente disperso e chiuso in se stesso!
Insomma, la battaglia per la scuola della Costituzione oggi si combatte su un terreno più infidi di quello della Moratti. Ed in questo intreccio di operazioni, in cui c’è un ministro che smonta e un cardinale che rimonta, non vorremmo che perdessimo di vista l’impegno che abbiamo assunto, di restituire al Paese una scuola degna delle sue tradizioni e capace di rinnovarsi ogni giorno, per il bene dei suoi alunni e… perché no, anche del cardinale Scola!