Pierangelo - 25-06-2006 |
Su Repubblica Bari del 25.6.2006: Aboliamo la maturità e godiamoci le vacanze È evidente che si tratta ormai di una farsa e non di esami: sarebbe molto più utile invece costruire percorsi formativi più seri Arriva come un´ossessa l´estate, quest´anno. Ci aveva avvertito che sarebbe stata intransigente con avvisaglie perentorie che non hanno lasciato dubbi sulla severità della calura. L´intempestività delle afe di maggio e la precocità di certe temperature africane (si dice sempre così) avevano offerto una larga profusione di pretesti alle chiacchiere delle "signore mie" sulle stagioni che non sono più le stesse e sul dove arriveremo di questo passo, posto che l´uomo si è inalberato in ambizioni esagerate e offende Dio, la natura, e chi sa cos´altro. E invece le stagioni sono sempre le stesse, anno dopo anno. Purtroppo, vorremmo dire. Ed ecco, con puntualità almanaccante, arriva l´estate non tanto segnalata dal rigoglio gioioso delle mie margherite sul terrazzo né dal rinverdire opulento del basilico prezioso e insostituibile, quanto da scadenze inconfondibili. E, soprattutto, dagli esami di maturità con la immancabile polemica su quanto siano vecchi i rinnovati esami di quest´anno rispetto ai nuovi che verranno. Ovvero quelli che riprendono la vecchia idea dei nuovissimi esami proposti per l´anno passato e, però, non sono ancora abbastanza nuovi come il nuovo spirito dei tempi vorrebbe. Spirito che, però è ancora vecchio rispetto alle nuove esigenze della nuovissima scuola. Eccetera. E come sono vecchi i nuovi temi di italiano anche se li dobbiamo considerare gli ultimi della vecchia maturità. Meglio sarebbe stato darli nuovi, giusto per anticipare il nuovissimo di fabbrica che ci aspetta. Eccetera. Se penso che da anni, ormai, "passano" gli esami di maturità il novantasette per cento o giù di lì dei candidati, mi viene da ridere. O che? Improvvisamente gli italiani sono diventati un popolo di secchioni emaciati e di solerti e alacri studiosi? Penso di no, spero di no: il dato magniloquente, allora, vuol solo dire che gli esami finali del corso di studi detto della "maturità" non è una cosa seria perché in nessun altro caso i risultati sono così eccellenti, neanche alla scuola guida. Se vengono respinti (una volta si diceva bocciati che era più popolare e severo, ma meno cattivo) solo quelli che svengono arrivando a scuola o quelli che allungano le mani sulla professoressa di matematica durante l´interrogazione, perché certe percentuali risibili questo suggeriscono, è segno che gli esami di maturità sono un fatto formale e basta, un sigillo rituale. Questa specie di atto cerimoniale è, ormai, disprezzato, sotto sotto, anche dai professori, costretti a corvèe defatiganti nelle calure imperiose di luglio per il frustrante compito di avallare l´esistente e che, cioè, si è fatto quello che si è potuto per svezzare i rampolli riottosi e portare a compimento i programmi ministeriali. Ma i compilatori delle tracce del tema di italiano, per esempio, si ostinano a chiedere ai candidati lumi critici sulla poesia del novecento. Ed è questo, un argomento che, diciamo la verità, fa tremare le vene e i polsi anche ai docenti, non solo ai discenti che, almeno, godono dell´opzione preziosa di poter scansare l´esegesi letteraria e di potersi tuffare nei famigliari temi della bioetica o di sciatta sociologia da boudoir di cui, almeno, sanno qualcosa spigolata in Internet. Comunque, per quello che vale. Tanto sempre il novantasette per cento di promossi ci sarà. E sempre più saranno esami di formalità. E allora aboliamoli e non se ne parli più. Spenderemo meno, andremo prima in ferie. E sarebbe sempre meglio che proporre, come sento dire, composizioni in lingua italiana che potranno anche consistere in sceneggiature, relazioni contabili, articoli da giornale. E perché non resoconti privati, conti della spesa, epistolari con la zia, verbali del condomino? Del resto, conservando questa scadenza simbolica priva di rigore e di serietà, si ottiene solo la frustrazione degli alunni che, superata la prova, si accorgono di non aver concluso un fico secco e di aver scaldato il banco per cinque anni, come dicevano certi professori d´altri tempi, e di dover sostenere ancora una infinità di esami molto seri. Non all´Università, naturalmente, ridotta com´è con questa buffonata dei tre anni più due. Aboliamo gli esami di maturità, datemi retta, e cerchiamo, piuttosto, di far funzionare la scuola superiore ´prima´. Non tentiamo di mettere le pezze a colore, come si dice dalla mie parti, ´dopo´. Eviteremmo, tra l´altro, lo spettacolo patetico e ripetitivo della finzione con l´insopportabile corredo di servizi giornalistici, interviste, polemiche inutili e, arrivando l´estate, avremmo un luogo comune in meno con cui perdere tempo. Tanto dobbiamo farcene una ragione: le stagioni sono sempre le stesse. Signora mia. Michele Mirabella |
Gianni Merghetti - 25-06-2006 |
Finite le prove scritte degli esami di stato, la palla passa a noi insegnanti, obbligati da questa formula assurda ad un sistema di correzione, che per sua natura porta a commettere errori più di quanti chiunque già ne faccia quando è tranquillo nella sua camera a correggere degli scritti. Se si vuole valutare con giustizia c’è da considerare che le tracce della prova di italiano, come sostiene l’OSSERVATORE ROMANO, “vanno senz'altro giudicate intrinsecamente false e tali da indurre a falsi risultati”, che la seconda prova è anch’essa falsa perché elaborata a tavolino e che la terza prova non c’entra nulla con la realtà concreta della scuola, quindi è la più falsa. Di fronte a questa situazione, ossia che gli studenti sono stati costretti a lavorare in condizioni fasulle, si pone un grave problema di coscienza: come valutare delle prove false? Se noi insegnanti fossimo seri, come il ministro ci ha chiesto, e applicassimo i nostri criteri, senza tener conto della condizione di falsità in cui l’esame si è svolto, saremmo moralmente ineccepibili, ma commetteremmo solo ingiustizie, se invece dovessimo tener conto della situazione fasulla in cui ci troviamo a dare i nostri punteggi dovremmo usare in modo flessibile i nostri criteri, e in questo caso non saremmo degli insegnanti seri alla Fioroni. Un bel dilemma, in ogni caso sbaglieremmo o contro noi stessi o contro gli studenti. Poiché l’errore è inevitabile, mi spiace, ma preferisco sbagliare contro me stesso. Tanto più che alla falsità delle prove consegue la falsità del sistema di valutazione: che la conclusione di un percorso di studi sia siglata da un numero che deriva da una somma di punteggi è quanto più contrario all’educazione vi sia. Il giudizio su un percorso è una sintesi che gli insegnanti fanno tenendo conto di tutti i fattori, guai se fosse, com’è oggi, la somma dei punti che ogni insegnante dà alla sua prova. Ci hanno ficcato proprio in una bella contraddizione, si salvi chi può! |