La tristissima storia della timbratrice
Giovanna Lo Presti - 11-05-2006
Chi ama le poesiole per l'infanzia d'altri tempi senz'altro conosce una raccolta di versi intitolata "Pierino Porcospino".
Narra la storia di un bambino, Pierino porcospino appunto, che compare nell'esordio - oh che schifo quel bambino, è Pierino il porcospino - e che poi nel prosieguo viene sostituito da numerosi alter ego, accomunati da una vocazione all'indisciplina e da una irresistibile attrazione verso la trasgressione delle regole, cosa che li porta, nel breve volger di qualche strofa, a fare una brutta fine. Così Corrado che si succhia il pollice viene punito da un sarto mostruoso che, comparso all'improvviso, gli trancia via di netto i pollici criminali con il forbicione e il cattivo Federigo, tormentatore di bestie e nutrice, si becca un gran castigo. Ma la sorte peggiore tocca all'incauta Paolinetta che, lasciata in casa da sola, non sta buonina, come le ha raccomandato la mamma: si mette a giocare con gli zolfanelli, da vera sventata qual è. Finisce così: un po' di cenere e due scarpini/caro ricordo dei suoi piedini/è quel che resta/non c'è più nulla/di quell'indocile, vispa, fanciulla. Non è poco, come punizione. Insomma "Pierino porcospino" è una sorta di teatro della crudeltà per bimbetti, frutto di una pedagogia d'altri tempi, che non temeva di agitare orrendi babau di fronte agli occhi sgranati dei pargoli da educare. Tant'è che una volta, volendone io acquistare una copia in una libreria per ragazzi della mia città mi sentii rispondere con sdegno che loro, quella cosa lì non la tenevano. Rinunciai a spiegare alla commessa che le povere rimette non erano poi tanto pericolose e pensai che a lei era precluso uno dei molti piaceri che questa valle di lacrime ci offre - e cioè sentir recitare da Paolo Poli "La tristissima storia degli zolfanelli".

Non è che tutto questo abbia molto a che fare con la timbratrice che rileva le presenze dei ragazzi a scuola, dirà chi legge. E invece sì, perché anche la timbratrice è un mostro come le forbici del sartore che punisce esemplarmente il povero Corrado. Ed è un mostro ugualmente il "patto formativo" che dovrebbe regolare i rapporti tra studenti e insegnanti; sono mostruosi il POF e il formalismo burocratico, è mostruoso il "progetto qualità" e il tentativo di trasformare la scuola in una azienda che piazza il suo prodotto sul mercato.
Ma ogni ragazzino, per quanto impressionabile, sarà anche pronto a ridere del sartore, e capirà che la punizione per chi si succhia i pollici non può essere proprio quella, così esagerata.
Mentre lo studente che si accinge ad entrare in classe per verificare se il primo ad infrangere il patto formativo sarà lui stesso o il suo insegnante, di fronte alla timbratrice rimarrà impassibile e serio, perché così deve essere nella scuola dell'autonomia, che è una scuola seria in cui nessuno ride perché non c'è niente da ridere. O forse quello studente cederà alla tentazione ed invece di far passare il codice a barre del suo libretto delle assenze proporrà al lettore ottico il codice a barre del detersivo - tanto per sabotare con un'umana monelleria la scuola - azienda e l'istruzione - merce. E magari per farsi due risate con il compagno di banco - che quello ancora non è stato monitorato, non è stato abolito dalla riforma Moratti e si chiama ancora così, compagno di banco.

Giovanna è delegata RSU CUB Scuola all'Itis Peano
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