La Francia che verrà
Maurizio Tiriticco - 06-04-2006
L'esperienza del maggio francese nel lontano '68 fu l'avvio di un sommovimento planetario! Da Parigi a Berkeley a Pechino e a Roma - pur con mille diverse connotazioni - il movimento degli studenti incise profondamente sull'establishment di quegli anni. "Studenti e operai uniti nella lotta" era uno degli slogan ricorrenti di quel movimento. L'autoritarismo dei padroni si coniugava con l'autoritarismo dei professori! La rigidità del lavoro in fabbrica con la rigidità degli studi nell'università! Ed all'alienazione sul lavoro corrispondeva l'assoluto estraniamento degli studi dalla vita reale e dalla politica! Molti erano gli slogan; però, riflettevano esigenze del tutto nuove sulla realtà dello studiare e del lavorare, allora, in un assetto socioeconomico che non era in grado di dare risposte di giustizia ad esigenze che esso stesso aveva creato nel corso degli ultimi decenni.
Il '68 è lontano nel tempo ma, per certi versi, ci è vicino nello spazio! Dopo le cadute dei muri e delle ideologie - almeno così siamo soliti dire! - e dopo l'avvio della globalizzazione, del liberismo dop, del meno Stato più mercato, la Francia ci è più vicina di quanto non sembri: costituisce un pezzo di una aggregazione più ampia, l'Unione europea, di cui anche noi facciamo parte! Ma la cosa importante è che oggi è la stessa organizzazione capitalistica del lavoro che è un muro - ed una ideologia, economica, ovviamente - che non è affatto caduto! Anzi si è ricostituito ancora più compatto di prima, come l'araba fenice che è sempre assai dura a morire! La globalizzazione, prima di essere globalizzazione delle conoscenze e delle competenze, è globalizzazione dei mercati e delle ferree leggi che li governano, al di là e al di sopra degli interessi delle persone e delle collettività!
Il nuovo millennio si è aperto all'insegna della globalizzazione: un vocabolo suggestivo! E sono anche molto suggestive tante "parole" del nuovo ordine sociale che ci viene proposto: la "società della conoscenza", "conoscere è crescere", "apprendimento per tutta la vita", "sapere, saper fare e saper essere", tutta la stagione degli ottimismi alla Cresson e alla Delors! E si accompagnano suggestioni ancora più seduttive: la progressiva scomparsa del lavoro manuale, grazie allo sviluppo della ricerca scientifica e alla diffusione delle tecnologie; la flessibilità... degli apprendimenti e delle mansioni lavorative! La creatività al primo posto! Guai a chi non apprende, a chi non accumula competenze su competenze, a chi non le rinnova anno dopo anno - il mito del portfolio! - perché le cose che cambiano impongono anche il cambiamento costante delle persone! Per non dire dell'altra favola bella di un'intercultura come felice occasione di incontri fecondi!
Sono fenomeni interessanti, i quali però necessitano di chiavi di lettura non univoche! La cultura dominante ci dice che questo è il cammino verso le magnanime sorti e progressive e che, se vi sono alcune difficoltà, è solo questione di incidenti di percorso! Ma la chiave di lettura corretta è quella che deve andare in profondità e penetrare i rapporti reali di produzione e di scambio. E allora rileviamo che, in questo riassetto dell'organizzazione capitalistica del lavoro, la flessibilità diventa un'arma nelle mani del "padrone" che nessuno chiama più così - il capitalismo può fare a meno del vocabolario di sempre! - ma che di fatto può assumere e licenziare come e quando vuole! Viene a mente la belle époque, quando, all'insegna di un inarrestabile progresso scientifico, tutti saremmo stati in breve uguali e felici! Ma il ballo Excelsior fu troppo presto liquidato dalla guerra mondiale e dalla rivoluzione russa. Incidenti di percorso? Certamente no!
Torniamo all'oggi. Le legislazioni "avanzate" sul lavoro, in Italia come in Francia, cautelano e difendono un certo sistema di organizzazione della produzione e del mercato, indipendentemente dall'interesse del lavoratore... o, se vogliamo essere più alla page, della persona! Garantiscono la conservazione/evoluzione di un certo assetto socioeconomico, in cui la misura uomo costituisce una variabile molto dipendente! Se non un impedimento allo sviluppo delle esigenze di un mercato globale.
Una volta uno spettro si aggirava per l'Europa ed era l'esercito dei proletari! Oggi c'è un altro spettro ed è quello dei precari! Ed è qui che il discorso si impatta con l'istruzione, con la formazione professionale, con gli studi universitari! E riguarda tutti i Paesi dell'impero dei G8! Il proletario di allora non andava a scuola, non possedeva nulla se non la sua prole! Il precario di oggi è alfabetizzato, studia anche tanto perché la carota delle conoscenze plurime come passpartout per un lavoro sempre più sicuro e nobilitante per certi versi funziona benissimo! Ma la realtà del bastone è un'altra! Quanti immigrati laureati raccolgono pomodori o fanno le badanti? E quanti dei nostri giovani ultrapreparati lavorano, ovviamente a tempo determinato, nei call center o nei fast food o nei supermarket? E' l'unica I dell'inglese a cui i nostri giovani sono indirizzati!
Il fatto è che questa società non vuole - attenzione, non dico non sa! - risolvere il problema del lavoro né dei giovani né degli anziani. Di leggi Biagi e di leggi sulle pensioni i nostri governi europei ne hanno varate a iosa! E quale impatto provocano queste legislazioni sull'istruzione e sull'avvenire professionale dei nostri giovani?
Venendo alle cose di casa nostra, la questione del secondo ciclo e del rapporto tra istruzione e formazione va ben oltre l'ambito ordinamentale, organizzativo e didattico! Non è un problema della Scuola in senso stretto! Quanti anni sono passati da quando abbiamo cominciato a porci il problema del secondo ciclo? E quante legislature si sono incagliate sulla cosiddetta riforma delle superiori? C'è qualcosa che non quadra! E' solo un problema della scuola? Certamente no!
E' vero che l'istruzione non può seguire il mondo del lavoro, perché l'Educazione della Persona ha anche le sue Maiuscole! Ma è anche vero che non si può pensare che una legislazione sul secondo ciclo nel nostro Paese possa essere risolta solo se e quando Stato e Regioni troveranno un accordo in sede di Conferenza Unificata! E' vero, invece che occorre mettere mano anche a tutta la legislazione sul lavoro, e non solo nel nostro Paese!
La flessibilità dei cervelli - e delle mani, ovviamente - è cosa sacrosanta, in un mondo complesso e in una società avanzata e ad alto sviluppo - come siamo soliti dire - e va garantita con processi di istruzione e formazione fortemente integrati e coesi! Ma, se questa flessibilità va ad impattarsi contro la rigidezza e la precarietà del mondo del lavoro, allora non sappiamo che farcene! Ed è un prezzo troppo alto studiare tanto per non lavorare mai!
E i giovani francesi mandano a gambe all'aria il presidente Chirac! E quale presidente faranno saltare i giovani italiani? Lisbona si avvicina a grandi passi con le sue scadenze! E Parigi è a un tiro di TAV!

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 da Repubblica    - 06-04-2006
«Mi chiamo Simon, ho 24 anni, nel 2002 mi sono laureato in scienze politiche, nel 2004 ho preso un master in storia europea, parlo tre lingue. Lavoro in un call center. Passo le mie giornate a chiamare la gente chiedendo cose come: "Siete soddisfatti della vostra nuova macchina? Avete problemi con l´air bag?". Indagini di mercato. Il mio contratto è di cinque giorni, rinnovabili. Lunedì firmo, venerdì sono licenziato. Lunedì firmo di nuovo. Sono sei mesi che vado avanti, a casa ho una pila di contratti alta così. A volte l´azienda mi comunica a metà giornata che ho finito i miei compiti e devo andarmene: sono pagato a ore e non si può sgarrare di un secondo. All´inizio mi dava fastidio essere cacciato in questo modo, poi ci ho fatto l´abitudine. Dicono che siamo lavoratori-kleenex, usa e getta».
Montreuil, periferia est di Parigi. In una rosticceria araba, Simon ingurgita rapidamente spiedino, riso, tè. «Ho un´ora, solo questa pausa per parlare. Dopo? Al telefono è escluso, nell´orario di lavoro deve essere spento. Stasera sono in riunione con i ragazzi del collettivo. Possiamo risentirci domani durante la pausa?». Ha ancora la faccia da bambino, grandi occhi scuri, capelli corti, pochissima barba. È vestito con scarpe nere lucide e indossa un paltò marrone elegante. «Il nonno mi ha spedito qualche soldo per comprarmi i vestiti. Spera che servirà. Piange spesso, mio nonno. Mi chiama in lacrime: "Possibile che in Francia non ci sia posto per i giovani?". La mia sorella gemella vorrebbe diventare maestra e sta tentando per la terza volta il concorso pubblico. Questo è un paese che per tanti anni ci ha dimenticati. Ma ho fiducia, credo che adesso, con questo nuovo movimento, qualcosa cambierà. Davvero, lo credo».
Simon viene dalla campagna. Suo padre era allevatore di mucche, la madre libraia a Privas, un piccolo villaggio nelle valli dell´Ardèche. «Quella di mamma era l´unica libreria nel raggio di cento chilometri. Sono cresciuto sognando la capitale, lo sbarco nella grande metropoli. E per uno come me, di modeste origini, c´era solo una strada: studiare. Diploma ad Avignone, laurea a Marne-la-Vallée, master alla Sorbona. Ho fatto tutto il percorso, sempre massimo dei voti. Grazie alle borse di studio ho anche viaggiato, in Gran Bretagna, in Spagna, è così che sono diventato poliglotta. A settembre i miei professori mi hanno proposto di fare un dottorato. Ma senza borse di studio non me lo posso permettere. Allora ho detto basta, tento il grande salto, è arrivato il momento di entrare nella vita attiva».
Piove e c´è il sole, sono giornate incerte, anche per la Francia. Il collettivo a cui appartiene Simon si chiama Génération précaire. Sono tutti ragazzi che stanno finendo gli studi e si affacciano nel mondo del lavoro con grandi speranze, scontrandosi contro porte chiuse, boulots alimentaires, i piccoli lavoretti di sussistenza, contratti capestro. «Tutto è cominciato il giorno che alla nostra amica Kathy è stato proposto di fare il nono stage non retribuito. Per la prima esperienza si può capire ma se diventa normale lavorare senza essere pagati significa che c´è qualcosa di sbagliato nel sistema. A novembre, Kathy ha creato un sito per proporre uno sciopero nazionale degli stagisti. In poche settimane è stata travolta da un´onda. Oltre quattromila testimonianze di ragazzi come noi che si sentono sfruttati e umiliati. Un editore ci ha contattati per fare un libro con le nostre storie, ho scritto l´introduzione, uscirà tra venti giorni. Poi ci hanno cercato da altri paesi, da Barcellona, Berlino, anche da Milano: in Italia i precari non si sono ancora organizzati, vero? Ecco, stiamo pensando di fare una grande rete europea di noi giovani lavoratori usa e getta».
Durante le manifestazioni contro il Cpe quelli di Génération Précaire vanno in giro con il volto coperto da una mascherina. Invisibili, come i centomila ragazzi che ogni anno entrano ed escono nelle aziende con gli stage. Un mese, massimo sei mesi, poi «grazie, arrivederci». «Neanche grazie. Gli impiegati garantiti spesso non sanno il nostro nome». Dal 16 gennaio, giorno di approvazione del Cpe, Simon è in prima linea nelle proteste. «È un puro ricatto: ci vogliono convincere che un contratto precario è meglio di niente. Tra un po´ saremo noi che dovremo pagare per fare qualche esperienza professionale».
Simon guadagna, quando va bene, 800 euro al mese. Sopravvive con la debrouille, l´arte di arrangiarsi, in cui si è specializzato. Vive in un monolocale di diciotto metri quadri con l´amico Eric, quartiere Oberkampf. «Mi è andata bene, stare in banlieue ti fa spendere molti più soldi per i mezzi». Centoquaranta euro di affitto ciascuno, in nero, grazie a un amico di un´amica. «Scordati di trovare un proprietario che fa un contratto a quelli come noi. E se hai bisogno di soldi nessuna banca ti farà mai credito. Te l´ho detto, siamo invisibili».
Al mattino Simon è andato da Manpower, l´agenzia interinale con cui ha trovato il lavoro. Lo fa ogni settimana. «Per essere selezionato ho dovuto soltanto passare un test di ortografia. La ragazza accanto a me non è stata presa perché aveva scritto male Washington. So che attualmente occupo il posto che dovrebbe essere di una persona meno qualificata ma cosa posso farci? L´ascensore sociale si è rotto e invece di salire ormai va solo giù». L´ascensore sociale è un concetto fondante della République, la teoria secondo cui grazie all´educazione tutti, anche i figli delle classi più povere, possono staccare un biglietto per un futuro migliore.
Per Simon è già tanto sapere cosa farà tra una settimana. «A volte mi lasciano a casa per tre giorni senza dirmi nulla poi mi telefonano: "Tra due ore devi stare qui, abbiamo bisogno". Questa è la flessibilità». Prima del call center, ha fatto l´imbianchino, il fattorino, il raccoglitore di mele in Provenza. Definisce il suo curriculum professionale «orribile» ma lo dice senza risentimento. «Non ci sto più male. All´inizio passavo notti d´insonnia. È stato grazie al collettivo che sono guarito». Dice proprio così, come fosse una malattia. «C´è un grande conforto psicologico nell´incontrare persone come me, con le stesse paure, il dubbio di non essere buono a niente, con gli stessi banali problemi: cosa raccontare ai genitori? Come comportarsi all´ennesimo colloquio in cui ti propongono di fare un altro stage?».
Il rito quotidiano del precario è la visita al sito dell´Anpe, l´agenzia nazionale per l´impiego, in cui sono inserite tutte le offerte di lavoro. Simon non ha linea telefonica né computer («Sto mettendo da parte i soldi per comprarlo dopo l´estate») e quindi va a collegarsi negli Internet café. «Giovani di meno di 26 anni scoprite qual è il vostro spazio» c´è scritto nella prima pagina che rimanda a una guida ai contratti. È dal 1994 che i governi francesi tentano di scovare qualche soluzione per porre fine alla disoccupazione giovanile, il primo fu Edouard Balladur con lo Smic-Jeunes (salario d´ingresso). Il Cpe è il settimo della serie di contratti speciali, sempre rivolto a chi è sotto la fatidica soglia dei 26 anni. «Ci trattano come una categoria a parte, impedendoci di diventare adulti. Finiremo tutti come Tanguy» scherza Simon. Tanguy è il famoso film che deride il trentenne ancora a carico di mamma e papà, situazione piuttosto anomala in Francia.
Con il suo collettivo, Simon ha organizzando molte azioni di protesta. I militanti di Génération Précaire sono stati ricevuti dal primo ministro all´Hotel Matignon, poi anche dai sindacati, dall´Ump (il partito neogollista) e dai socialisti, dal Medef, la confederazione delle imprese. Simon è rimasto sempre deluso. «Quando mi dicono che stiamo facendo un nuovo Sessantotto mi arrabbio. Siamo messi molto peggio dei nostri genitori, a noi è proibito sognare. Però una cosa in comune con quegli anni la vedo: la classe dirigente è completamente staccata dalla realtà e ci disprezza. Mi dispiace quando dicono che siamo dei conservatori, che vogliamo difendere vecchi privilegi: abbiamo invece molte proposte da fare e chiediamo ascolto. Il primo ministro per esempio non ha ritenuto di consultarci quando ha fatto la nuova legge sugli stage, l´abbiamo saputo dalla televisione».
Martedì Simon sarà di nuovo in piazza. «Sono contro la violenza ma vedendo il muro che hanno alzato contro di noi ammetto che sono tentato di spaccare tutto come hanno fatto alcuni ragazzi a place des Invalides». Una casa normale, una famiglia normale: sono speranza lontane. «So che ci vorrà del tempo. Mi piacerebbe lavorare nella cooperazione internazionale». Quanto tempo? «Aspetto ancora quattro, cinque anni poi se sto ancora in questo pantano vado all´estero». Le manifestazioni, le proteste, andrete avanti? «Lo spero. Comunque ormai siamo sulla scena e l´anno prossimo si vota: dovranno fare i conti con noi». Simon, hai l´impressione che qualcuno abbia tradito una promessa? «Non sono uno stupido, lo vedo che il mondo è cambiato. Ma quelli più grandi di me, gli adulti, lo hanno capito?». Simon non può aspettare la risposta. Tempo scaduto. Guarda l´ora sul suo telefonino, saluta e si alza. «La pausa di un´ora è finita, e se arrivo in ritardo perdo anche il mio contratto-kleenex».

2 aprile 2006
ANAIS GINORI
Parigi


 dal Manifesto    - 06-04-2006
Solidarietà da parte degli studenti italiani dell'Uds, che ieri hanno sfilato per le vie di Parigi insieme ai «colleghi» francesi contro il Cpe, il «contrat première embauche» ( il contratto di primo impiego prevede - lo ricordiamo - la possibilità di assumere giovani al di sotto di 26 anni, licenziandoli senza motivazione in qualsiasi momento entro i due anni dall'assunzione). Di seguito, riportiamo il testo del volantino diffuso nel corso della manifestazione

«Nonostante i tentativi di Chirac per allentare la tensione attorno al Cpe (contratto di primo impiego), sindacati e studenti sono scesi in piazza in decine di città francesi, dimostrando di aver creato un fronte compatto contro la precarietà, in particolare nelle sue forme destinate ai giovani appena entrati nel mondo del lavoro. Gli accadimenti in Francia ci ricordano come la precarietà sia oggi un tema che deve essere posto in prima pagina nelle agende politiche anche qua in Italia. Le statistiche mostrano da tempo come il lavoro precario sia in aumento e come la disoccupazione giovanile sia ancora un dramma, soprattutto per i giovani nel Meridione. Il mercato del lavoro italiano sembra accogliere con più facilità basse qualifiche professionali, respingendo, spesso, laureati e personale specializzato. Le stesse percentuali del precariato all'interno di settori come la ricerca e la docenza indicano come nemmeno la formazione, oggi, sia garanzia di sicurezze sociali e futuro lavorativo. Di fronte a ciò, a pochi giorni dalle elezioni politiche, che speriamo consentano di invertire la tendenza sui fronti del lavoro e della formazione, l'Unione degli Studenti (Uds) si impegnerà per coinvolgere le associazioni studentesche francesi Unl (liceali) e Unef (universitari) in iniziative in Italia che possano creare anche nel nostro paese un fronte esteso contro la precarietà alla ricerca di solide alternative, composto da studenti, universitari, sindacati e forze sociali. Ci auguriamo che il successo arrivi per il movimento anti-Cpe e che questo garantisca un impulso anche in Italia. Noi faremo il possibile».

5 aprile 2006