In un
articolo apparso sull'Unità, Bruno Ugolini individua la differenza tra la Francia dei giorni nostri e quella del 1968 "
nel fatto che allora il mondo del lavoro usciva dalle caverne. Oggi si sta accorgendo che vogliono spegnere la luce."
Una bella metafora, che avrebbe potuto essere scritta su uno dei molti striscioni della manifestazione di ieri.
Un fiume umano, dove anche i bambini rispondevano alla domanda
ma tu qui che ci fai? con un sorriso:
perchè da grande voglio fare un lavoro che mi piace.
La signora dai capelli candidi sotto il basco viola scuote la testa:
rubare il lavoro è come rubare un sogno, il sogno di una vita.
"Rubano il lavoro, rubano il futuro": la denuncia trasforma la
grève in
rêve, toujours
permanent, mentre mille colori di carta scendono dal cielo insieme alla pioggia.
Non c'è paura, nei volti e nei sorrisi, e la consapevolezza non lascia dubbi: non è uno stato di polizia a darci la sicurezza che abbiamo bisogno. Non è un potere incapace di dialogo a restituirci la solidarietà che rende nostra, nostra, la città. E non è la fine dei diritti a rivestire di sogno il lavoro.
Qualcuno si lamenta:
ma che vogliono, il mondo cambia e bisogna adeguarsi, del resto andassero a lavorare...
Le contraddizioni si radicano nella nostra cultura al punto che non sembrano neppure tali.
Andare a lavorare vuol dire molte altre cose, che sembrano chiuse una nell'altra, implicite, ma quando si srotolano riempiono kilometri di strada. Andare a lavorare vuol dire anche essere qualcuno, mangiare, abitare, amare, riposare, creare, esprimere, costruire, partecipare, realizzare, raccontare, essere stanchi alla fine di una giornata, stanchi ma felici, essere liberi, essere cittadini, compagni, colleghi. Essere, esserci. Kilometri di vita per chi la sta assaggiando: una vita con la luce accesa. Ugolini ha ragione.
Qualcun altro discute dell'ultima notizia: la denuncia sporta contro gli occupanti della fac da parte di alcuni studenti stufi di saltare i corsi e la proposta di "delocalizzarli" piuttosto che perderli.
Contro le porte di Jussieu sono state alzate barricate, ma qui, nel fiume che scorre insieme ai sogni, si crea lo spazio per discutere. E si coglie: che lui ha una borsa che gli scade a giugno e se saltano i corsi salta la borsa et
c'est foutu. O che lei ha una famiglia che fa fatica a pagarle gli studi. O.
Si coglie. Ci vorrebbe una solidarietà diversa, ci vorrebbe che nessuno avesse il problema di pagarsi gli studi, ci vorrebbe che le ricchezze fossero distribuite in un'altra maniera, ci vorrebbe che nessuno volesse guadagnarci. Ci vorrebbe la certezza che le caverne le abbiamo superate. Punto. L'a capo tarda.
Forse qui Ugolini non è così convincente.
Miserabili.
Non è un insulto. E' l'opera in cui Hugo ha trovato una chiave di lettura, forse l'interruttore.
Qui arrête les révolutions à mi-côte? La bourgeoisie.
Pourquoi?
Parce que la bourgeoisie est l'intérêt arrivé à satisfaction.
Hier c'était l'appétit, aujourd'hui c'est la plénitude, demain ce sera la satiété. *
Mai visti degli striscioni tanto belli.
*
Chi ferma le rivoluzioni a metà strada? La borghesia.
Perché?
Perché la borghesia è l'interesse soddisfatto.
Ieri era appetito, oggi è pienezza, domani sarà sazietà.
F. Di Lorenzo - 02-04-2006
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Brava. Gli striscioni francesi sono i migliori. Questa è la conferma. Significa qualcosa? Boh? Intanto fanno pensare, ristorano l'intelligenza ed emozionano. |