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È giusto insegnare la fede a scuola?
La Repubblica - 25-03-2006
Lo Stato ha già assunto con il Concordato degli obblighi verso la Chiesa cattolica Ma ora viene messa in discussione la natura dell´insegnamento pubblico

Intorno all´ora di religione vi è da tempo un conflitto mai sopito, che tuttavia in questi giorni ha assunto tratti inediti sotto la spinta della proposta di introdurre anche l´insegnamento della religione musulmana. È in discussione, a questo punto, la natura stessa della scuola pubblica, e il senso che in essa è destinato ad assumere il principio dell'insegnamento
"confessionale " della religione, non più inteso soltanto come adempimento dell´obbligo assunto dallo Stato con il Concordato, ma come modo di organizzazione della società rispetto alle convinzioni dei diversi gruppi che ne fanno parte.
In realtà, un cambiamento era già in atto. Lo rendeva visibile il tentativo di inserire l´insegnamento della religione tra quelli "curriculari ", provvidamente fermato da due ordinanze del Tribunale amministrativo del Lazio. Ma questa iniziativa del ministro dell´Istruzione rifletteva puntualmente il clima creato dall´insistenza sulla necessità di riconoscimenti formali delle radici cristiane della nostra civiltà come elemento costitutivo dell´identità europea. Era prevedibile che questo modo di impostare la questione avrebbe trascinato con sé richieste analoghe da parte di appartenenti ad altre fedi che, con particolare determinazione, vivono appunto il tema del riconoscimento di una identità ritenuta inscindibile dalla religione. Con due effetti, che sono davanti ai nostri occhi. Il rifiuto netto da parte di chi nella presenza dell´insegnamento di una religione diversa da quella cattolica vede un attentato all´identità cristiana, e quindi concepisce l´insegnamento della sola religione cattolica come un argine levato contro questo pericolo. E l´accettazione da parte di autorevoli rappresentanti della Chiesa dell´ipotesi dell´insegnamento del Corano, pur rifiutando la lettura bellica dei rapporti tra religioni, va anch´essa nella direzione di ritenere che la funzione dell´insegnamento della religione nella scuola sia quella di legittimare e rafforzare le diverse identità. Pur prospettando soluzioni opposte, entrambe queste posizioni attribuiscono all´insegnamento della religione un ruolo centrale nell´organizzazione scolastica.
Ma che cosa diventerebbe in questo modo la scuola pubblica? Non si appannerebbe tanto la sua immagine laica. Essa cesserebbe d´essere un vero spazio pubblico di confronto, dove ciascuno impara a conoscere l´altro, e dunque a comprenderne le ragioni, attraverso un comune apprendimento. Gli studenti percepirebbero subito la religione come qualcosa che li divide, addirittura fisicamente, con i cattolici in un´aula e i musulmani in un´altra. Ciascuno si sentirebbe non tanto confermato nella proprio identità, quanto piuttosto chiuso in un recinto nel quale gli altri non possono penetrare. La cultura della distanza si radicherebbe nella scuola, annuncio inevitabile di futuri conflitti.
Siamo così di fronte a un tema di particolare delicatezza, perché riguarda la libera costruzione della personalità. La scuola pubblica è un luogo dove si entra per formarsi attraverso la conoscenza, il confronto, il coltivare lo spirito critico. Ed è nella natura sua, come dell´intero processo democratico, che ciò significhi esposizione di tutti e di ciascuno al mondo ricco e molteplice delle informazioni e delle idee. La scuola è tramite tra le culture, che solo così possono riconoscersi e sfuggire alle trappole del multiculturalismo identitario, dove la cultura dell´altro è vista come minaccia e si rinuncia a priori alla sua comprensione e condivisione. Ha ragione Alberto Asor Rosa nel temere che "il rispetto reciproco delle diversità" possa risolversi "in una sorta di sommatoria dei tabù".
È vero che la richiesta di introdurre l´insegnamento del Corano viene giustificata proprio con la volontà di evitare "l´affermazione d´una identità islamica separata e conflittuale". Ma, lo ha sottolineato bene Guido Rampoldi, questa è una via che finisce con il condurre nella direzione opposta e lascia intravedere un probabile moltiplicarsi delle rivendicazioni identitarie, con la richiesta di tutte le confessioni religiose di avere un loro autonomo spazio nella scuola pubblica.
È pure vero, tuttavia, che la richiesta islamica ha spostato e allargato il terreno della discussione, fino a ieri confinata nel contrasto tra il sì e il no all´insegnamento della religione cattolica, e quindi legata alla sua base concordataria, ponendo il più generale problema della presenza della religione in quanto tale come oggetto di insegnamento. Ci si deve chiedere, allora, se sia sufficiente la risposta che guarda alla religione come a un fatto esclusivamente privato, irrilevante per la sfera pubblica e per i vari modi in cui questa istituzionalmente si articola, nella scuola in primo luogo.
Senza cedere ad alcuna delle sempre più ricorrenti pretese di attribuire alla religione un primato nella formazione della personalità e nella vita civile, che portano dritte a una negazione della pienezza della cittadinanza per chi non professa alcuna fede e fanno della legge un tramite per imporre il punto di vista di una religione, si può certamente riavviare una riflessione che parta dalla constatazione dell´innegabile significato che il fenomeno religioso ha nella storia delle civiltà. Dico riavviare, perché al tempo della revisione del Concordato, negli anni '70 e '80, venne proprio da ambienti cattolici consapevoli della mutazione dei tempi la proposta di abbandonare l´insegnamento confessionale e di sostituirlo con quello di storia delle religioni. Si coglieva in questo modo la debolezza del permanere della logica concordataria, ispirata da uno scambio politico che aveva consentito alla Chiesa cattolica di ritagliarsi una serie di privilegi, e si dava ben più solido fondamento al modo in cui la religione può manifestarsi nella sfera pubblica.
Conosco le difficoltà del lavorare su questa ipotesi, che riguardano in primo luogo il fatto che l´insegnamento storico impedisce di affermare la superiorità di una religione rispetto alle altre e quindi relativizza (Dio mio, quale orribile parola!) il riferimento alla religione senza tuttavia cancellarlo o respingerlo nel privato; dà rilievo all´esistenza dei non credenti; presenta delle religioni anche gli aspetti negativi, e così dà immediato rilievo al tema della tolleranza e del rispetto. Vi è poi il problema rappresentato dal fatto che in questo modo s´incrocia inevitabilmente la questione concordataria, che tuttavia non può essere politicamente sempre presentata come un tabù intoccabile, costi quel che costi. E vi è la questione, pesantissima, rappresentata dal massiccio inserimento nella scuola pubblica di migliaia di insegnanti di religione che, proprio per il loro stato giuridico, consentono un diretto controllo della Chiesa cattolica su questo aspetto dell´insegnamento.
Ma, quali che possano essere le difficoltà, il tema è ormai posto in termini nuovi, e non può essere eluso. Esplorando anche integrazioni all´insegnamento della storia delle religioni: nella puntuale ricostruzione dei vari strumenti giuridici fatta da Francesco Margiotta Broglio, compare la possibilità di attività complementari avviate da alunni e genitori sul fenomeno religioso, comunque aperte a tutti. Se si seguono strade diverse, e si insiste su insegnamenti religiosi confessionali e separati, si entra sul terreno scivolosissimo indicato dal cardinal Ruini, che ha posto condizioni all´eventuale insegnamento islamico: questo significherebbe difficili negoziati, con una religione che si fa giudice della legittimità delle altre, con il rischio di nuovi e pericolosi conflitti.
Dall´ora di religione all´ora delle religioni. Questo potrebbe essere il cammino da seguire in quella legge sulla libertà religiosa che è legittimo attendersi dal prossimo Parlamento.

STEFANO RODOTÀ


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 DON FRANCESCO MARTINO    - 27-03-2006
Pur non condividendo appieno le tesi e le formulazioni di Stefano Rodotà, in quanto ritengo che la nostra cultura europea ed italiana affonda le sue radici nel cristianesimo, che come Pepe Rodriguez afferma nel suo "Verità e menzogne della Chiesa Cattolica" purtroppo condiziona tutte le nostre categorie di pensiero, atee e non, e che il concetto di laicità non può derivare soltanto dall'illuminismo, ma dai presupposti stessi della religione cristiana, che nel corso dei secoli ha chiarito con successo i confini Chiesa - Stato, clero e laici, credo sia necessario per tutti, affinchè non si perda la memoria della nostra storia e sia possibile un vero dialogo pluralistico religioso, che richiede l'autentica conoscenza dell'altro, che nelle scuole pubbliche si introduca l'insegnamento di "cultura religiosa", più che di storia delle religioni, obbligatorio per tutti gli studenti e questo, sì, curricolare, con l'istituzione presso le università pubbliche di una cattedra apposita e specifica. In tale insegnamento non dovà essere insegnata solo la storia delle religioni, ma anche i loro presupposti dottrinali e ideologici e anche il loro modo di essere e di porsi nel nostro contesto attuale e nella realtà di questo XXI secolo. Credo che questo possa concretamene risolvere le contrapposizioni e le guerre "concordatarie", e formare le giovani generazioni al multiculturalismo e pluralismo religioso della nostra epoca.