Nel gioco, ambientato nel quartiere più cosmopolita di Madrid, si devono superare i pregiudizi di chi ti crede ladro o terrorista
Gli ostacoli sono tanti: trovare un lavoro, una casa, ovviare alle difficoltà linquistiche e scontrarsi con la burocrazia
NELLA PIAZZA di Lavapies, il quartiere più cosmopolita di Madrid, un giovane immigrato marocchino inizia la sua giornata. Davanti a lui il difficile compito di superare i pregiudizi di chi lo crede un ladro e un terrorista. Deve ottenere un permesso di soggiorno, un lavoro e una casa. Superare le difficoltà linguistiche, scontrarsi con l'arretratezza della burocrazia e le retate della questura. Tutto entro oggi, altrimenti lo aspetta il rimpatrio. Vi va di provare come ci sente a essere giudicati, additati e addirittura cacciati dal paese nel quale, onestamente ma non legalmente, si vive? Non è difficile: basta farsi una partita a Bordergames.
Sebbene la realtà sia molto più cruda di una sfida contro un computer, gli ideatori del gioco hanno avuto l'originale idea di far provare a noi, comodamente seduti sulle nostre poltrone, cosa significhi essere un immigrato oggi, a soli due anni dall'attentato che ha sconvolto Madrid.
Bordergames nasce dai racconti di alcuni di ragazzi magrebini che vivono a Lavapies, quartiere nel quale sono stati arrestati tre dei presunti attentatori dell'11 marzo. Grazie all'aiuto di esperti programmatori e artisti che fanno capo al gruppo della Fiambrera, le storie delle loro vite, vissute sull'orlo dell'illegalità, sono diventate uno scenario virtuale interagibile. La proposta metodologica è quella dell'investigazione-azione-partecipazione che permetta alle persone che vivono la realtà raccontata di partecipare al processo produttivo del videogioco.
Sono stati proprio i giovani immigrati a decidere come disegnare i protagonisti, quali indumenti fare indossare loro, come farli muovere e parlare ma soprattutto cosa fargli raccontare. Gli scenari e gli interni sono frutto dell'elaborazione grafica di foto scattate dagli stessi ragazzi all'interno de quartiere.
Nasce così una sorta di avventura fatta di conversazioni, un laboratorio aperto alla collaborazione di tutti, anche di chi scarica il gioco dal sito e vuole apportare modifiche o migliorie. I workshop che hanno portato alla creazione del gioco si sono mossi sul doppio binario di aiutare i ragazzi a far emergere momenti traumatici delle loro vite attraverso il dialogo e di dare loro elementi base di disegno grafico, 3D e animazione. Tarik e Abdellah, due partecipanti al primo workshop, coordineranno un gruppo di giovani turchi nella realizzazione della versione tedesca del gioco.
Bordergames è scaricabile gratuitamente dal sito nonostante ad oggi siano presenti ancora alcune difficoltà nell'apertura del software e la versione definitiva arriverà solo fra qualche mese. Il gioco consiste in una serie di scenari abitati da alcuni personaggi che vivono situazioni critiche dalle quali possono uscire grazie all'utilizzo di oggetti e conversazioni fatte attraverso codici scritti in C .
Il giocatore guida il proprio personaggio con il mouse avendo la possibilità di fargli compiere quattro azioni principali: muoversi, analizzare, parlare e utilizzare.
Le conversazioni costituiscono il momento fondamentale del gioco, il personaggio può rispondere alle domande che gli vengono poste attraverso una scelta multipla di opzioni. A seconda della risposta che verrà data la storia prenderà un cammino che potrà portare alla vittoria e quindi al conseguimento del permesso di soggiorno o all'espatrio e quindi al game over.
Quello di Lavapies è solo il primo di una serie di episodi che vedranno il gruppo di Bordergames lavorare sulle esperienze dei giovani immigrati. Presto arriverà lo scenario di Berlino e poi ancora altre città della Spagna come ad esempio Figueres, un piccolo paesino della Catalogna. Importante è capire come il discorso delle frontiere possa diventare il nucleo intorno al quale verte una nuova generazione di giochi interrativi capaci non solo di far riflettere il giocatore su problematiche sociali ma anche, e soprattutto, di dare ai giovani immigrati una possibilità lavorativa e di integrazione.
BENEDETTA PERILLI
(13 marzo 2006)