...continua dalla quarta parte
DEMOCRAZIA E BUROCRAZIA
La nuova scuola dovrebbe essere portatrice di un nuovo valore fondamentale, rispetto al passato: la diversità rispetto all'uniformità. L'autonomia dovrebbe essere portatrice della possibilità di costruzione di una scuola diversa per ogni istituto scolastico. L'autonomia si realizzerebbe sul terreno pedagogico, dei contenuti, amministrativo e finanziario. Tutto questo dovrebbe essere considerato insieme, in uno strano ibrido, con il centralismo degli obiettivi, di alcune prescrizioni metodologiche, dei programmi, degli esami. Su questa concezione vi è una convergenza stupefacente tra destra e sinistra. La destra, anche nella completa anomalia italiana, è nella sua storica tradizione; è la sinistra che suscita problemi nei suoi elettori informati di cosa accade. Il problema è: Il decentramento scolastico aumenta il tasso di democrazia? Io sono convinto di no e richiamo l'attenzione del lettore sul fatto che il continuo richiamo alla democrazia, alla partecipazione, alle scelte delle famiglie è sempre accompagnato dall'espressione
governance dei processi. Una sorta di direttività centralizzata mascherata da cortine di fumo.
L'obiettivo politico della scelta autonomista è rendere la scuola funzionale al mercato. Senza un'opera mediatica che nobiliti questo proposito sarebbe difficile conseguire l'obiettivo. Le parole della gestione aziendale dell'educazione sono piuttosto deprimenti, occorre riempirle della retorica della libertà riconquistata, della realizzazione della giustizia, della ripresa dell'etica, vale a dire dell'abbandono del vecchio per la conquista della modernità. Ritorniamo a qualcosa di analogo alla religione industriale di Saint Simon: l'impresa porrà fine all'autorità per passare al contratto, alla concertazione ed al progetto. E vi sono sempre disponibili coloro che assolvono a questo compito. Semmai continua a stupire che la cosa provenga da fonti politiche e sindacali di
sinistra.
Dice Giancarlo Cerini del CIDI:
L'autonomia organizzativa e didattica (ma anche di ricerca e sviluppo) sembra essere il contesto professionale più adatto per questa modernizzazione della cultura scolastica, perché rompe schemi consolidati (le ore "disciplinari", la classe, l'aula, il metodo) e propone una combinazione creativa e flessibile (alias modulare) di tutti gli ingredienti che configurano un ambiente di apprendimento intenzionale (come intende essere ancora la scuola).
Autonomia deve soprattutto significare combinazione intelligente e creativa di tutte le variabili che intervengono nel processo di insegnamento e "ottimizzazione" di tutte le risorse
Occorre uscire dalla rigidità (e povertà) della scansione oraria giornaliera, settimanale e annuale, per ripensare invece ad una gestione efficace del tempo in relazione alla qualità della didattica. Piuttosto che una anonima scansione e ripetizione di blocchi orari (magari "frantumati" in singole unità orarie) assegnati alle diverse discipline è bene pensare, per certi apprendimenti, a situazioni di full immersion, a periodizzazioni intensive (ad esempio, per il recupero delle abilità di base), a tempi distesi (almeno di due ore) per esperienze meno frammentate, o addirittura, a giornate dedicate interamente ad un solo nucleo tematico o disciplinare.
Tempi, gruppi, spazi: questi sono gli ingredienti dell'autonomia organizzativa e didattica. Si tratta dunque di passare da un assetto rigido e immutabile della scuola ad un'organizzazione modulare (già abbozzata con scarso successo nella legge 517 del 1977), capace di mettere in movimento ed in connessione le variabili dell'organizzazione scolastica, in funzione del miglior adattamento della proposta formativa alle caratteristiche degli alunni, per "piegare" le scelte organizzative alle ragioni del miglior apprendimento possibile (e non viceversa). Questo spesso non avviene nelle nostre scuole, per la resistenza delle abitudini, la persistenza delle routine o la piccineria delle indicazioni prescrittive dei "controllori" (siano essi il Ministero, gli Ispettori, o i Dirigenti scolastici). Il caso della riforma della scuola elementare è, in proposito, emblematico.
Ecco perché pensiamo che l'approvazione della legge per l'autonomia possa costituire un'ottima occasione per il rilancio, la regolazione e lo sviluppo "dal basso" di una riforma della scuola che deve essere, in primo luogo, una riforma culturale, professionale, di atteggiamenti e comportamenti.
Scrive la Conferenza Programmatica dei DS di Firenze (Dicembre 2005):
L'autonomia scolastica non è solo un insieme di norme, ma è l'espressione di un sistema di valori e di una cultura che considera la democrazia una condizione da difendere e sviluppare con ferma intransigenza nella difesa dei diritti, nell'affermazione del principio di responsabilità, del primato della legalità, della ripartizione dei poteri e dei loro limiti in uno Stato di diritto.
Dice Enrico Panini, Segretario della CGIL Scuola:
Occorre recuperare il senso pieno dell'autonomia e cioè quello che la Costituzione ci consegna, fondato sui principi della laicità e della democrazia. L'autonomia è uno dei modi di declinare e mettere in pratica quei valori. Non ci sono laicità e democrazia al di fuori del principio di responsabilità dei diversi soggetti chiamati ad interagire in un quadro ed in un contesto di relazione. Il principio di responsabilità è, quindi, il motore e l'anima dell'autonomia che noi vogliamo riproporre. E' stato sbagliato, come è successo nel passato, porre come prima istanza di quel processo, facendolo diventare di fatto l'elemento centrale, il principio di autorità, senza valutarne a pieno le conseguenze.
Noi riteniamo che invece la realizzazione del vincolo costituzionale dell'autonomia scolastica ed universitaria debba rappresentare il confine giusto nel quale collocare un sistema che guarda, nella sua unitarietà, all'Europa ed al mondo, da un lato, e, dall'altro, alla responsabilità ed alla competenza scientifica dei soggetti chiamati a realizzare il mandato affidato loro dal Paese.
Riteniamo indispensabile investire sulle intelligenze e sulle professionalità dei lavoratori.
Valorizzare l'autonomia significa affrontare conseguentemente quattro ordini di questioni:
- gli strumenti per la partecipazione democratica all'interno di ogni scuola, università, centro di ricerca;
- le forme della governance complessiva di questi sistemi;
- le sedi di valutazione del sistema in relazione ai mandati;
- la costruzione di luoghi permanenti di confronto istituzionale fra tutti i livelli coinvolti e di rappresentanza delle componenti della scuola e della società.
Qui mi fermo ma, di queste dichiarazioni acritiche di solo principio ne è piena la letteratura specializzata
(42bis).
Dal punto di vista operativo l'autonomia didattica nella scuola si esplica in una delle invenzioni più nefaste per la crescita degli studenti, il Piano per l'Offerta Formativa (POF), la vetrina della scuola, quella che dovrebbe permettere a famiglie ed alunni di scegliere quella scuola piuttosto che un'altra. Il POF dovrebbe rappresentare la fuga dal centralismo di programmi e metodi, l'affermazione della completa libertà di programmazione e, infine, l'affermazione di un consenso generalizzato delle varie componenti all'attività della scuola: Sembrerebbe quasi che l'autorità sparisca. Ma è proprio così ? Intanto alcune osservazioni. Questa scuola dell'autonomia che si realizza con il POF è basata su una persona che ha quasi tutto il potere per la parte didattica e di programmazione. La legge istitutiva dell'autonomia ha tolto di mezzo quella piccola parte elettiva che era il collaboratore dell'allora Preside o Direttore Didattico. Oggi il dirigente si sceglie i suoi collaboratori. Ed anche la gestione democratica introdotta negli anni Settanta con i Decreti Delegati (Consiglio d'Istituto) è stata fatta fuori. Eppure si continua a parlare di aumento della libertà di educazione. Resta il Collegio Docenti che può votare cose in non accordo con il dirigente. E' così ? In teoria si, nella pratica no. Con tutto il potere che ha il dirigente, il collegio diventa un luogo in cui le clientele esplodono soprattutto tra i precari che crescono. Vi sono poi coloro che vogliono quel giorno libero e quelli che non vogliono ore di buco. A questi si aggiungono altri che hanno altre richieste. State tranquilli, il dirigente farà ciò che vuole.
Insomma la gestione aziendalistica partecipativa e la democrazia sono due cose diverse. La prima al massimo va inquadrata in un paternalismo più o meno accentuato, la seconda è la decisione a maggioranza, e basta. In gestioni paternalistiche delle aziende vi sono parole che non possono essere pronunciate (ordini, autorità, potere, ...) ma il fine è quello di ottenere dal lavoratore dipendente qualcosa che va oltre l'ubbidienza: l'adesione al potere dei dirigenti, la partecipazione emotiva all'impresa, l'autodisciplina, la motivazione, l'autocritica. L'intero gruppo aziendale risulta mobilitato per il successo dell'impresa, per la sua efficacia. Spariscono quindi i fondamentali conflitti che propone la democrazia e che evidenziano i problemi senza nasconderli. Questi problemi vengono invece negati alla radice, al massimo si tratta di piccoli disaccordi, di qualche disfunzione che nasce dall'adattamento alla crescita, da problemi creati dai soliti sindacati (l'esperienza sul campo mostra che i dirigenti di provenienza CGIL Scuola sono in genere i più autoritari ed utilizzano le conoscenze contrattuali dettagliate per fare strame di ogni possibile rivendicazione che venga dai lavoratori della scuola, generalmente poco informati su quelle sciocchezze che si chiamano diritti e doveri.
Altro aspetto del POF che non può essere passato sotto silenzio è anche la suddivisione di qualsiasi argomento si voglia svolgere in modo dettagliato con a lato i tempi per svolgere ogni piccola frazione di esso e financo le modalità didattiche, i sussidi, le uscite, i laboratori, .... Si riproducono i tempi della catena fordista ed i sindacati sono contenti. Ma vi è anche un sottile imbroglio. La specificazione estrema, la sofisticazione puntuale unita a valutazioni periodiche (tempi stretti!) dei processi di apprendimento e di autovalutazione e ... , tutto questo rende quasi indispensabile la sovrapposizione di un altro potere, quello degli
scienziati dell'educazione che infatti spadroneggiano ovunque. All'inizio, alcuni anni fa, si introdussero le innovazioni dei pedagogisti con discrezione ma poi, piano piano si richiede una adesione completa di tutti i docenti alle prescrizione di queste persone che tra l'altro possono valutarli e squalificarli come operatori che non aderiscono alla nuova scuola democratica e libera. Al crescere della subordinazione aumenta la limitazione del raggio d'azione dell'insegnante che si deresponsabilizza sempre più con una evidente diminuzione della tensione che la scuola richiederebbe. Anche su questo fronte i risultati sono deludenti.
Commenta acutamente Laval
(43):
Questa trasformazione ... costituisce un vero controsenso sulla natura stessa della funzione insegnante. Gli studi riguardanti questa professione, anche se non completissimi, mostrano tutti una completa similitudine tra l'arte di insegnare e l'arte di curare: i docenti sono professionisti altamente qualificati, paragonabili a dei medici. Ciò che si percepisce come individualismo, conservatorismo, corporativismo - e che si stigmatizza abbondantemente sulla stampa - dipende in gran parte da necessità organizzative e professionali. I docenti debbono avere il dominio pratico del proprio mestiere per riuscire a combinare ed integrare multipli fattori ed avvenimenti non pianificabili e raggiungono così i risultati che l'istituto, la scuola, aspetta da essi. La qualità dell'insegnamento è il risultato del dominio delle conoscenze, dell' invenzione e dell' iniziativa che esigono una autonomia professionale molto avanzata....
La sostanza del lavoro educativo richiede una partecipazione attiva ed organizzata dei professionisti, perché educare o curare implica un lavoro proprio di formazione, di elaborazione e di definizione. ... L'importanza del centro operativo, del cuore del mestiere spinge ad una organizzazione relativamente democratica nella quale i professionisti controllano il loro proprio lavoro e tentano di controllare le misure amministrative che li interessano. L'unica parte diversa dell'organizzazione che si sia sviluppata completamente in questo modello è costituita dalle funzioni di supporto logistico del centro operativo. In questa organizzazione, caratteristica dei servizi personali, il lavoro è relativamente stabile e le innovazioni tecnologiche possono iscriversi in essa, ma senza alterare la relazione centrale tra un medico ed i malati o tra un insegnante e gli alunni.
Conseguentemente è evidente il controsenso che consiste nel voler debilitare il centro operativo rinforzando la parte amministrativa dell'organizzazione educativa, conferendole un ruolo di intervento diretto nel cuore del mestiere in nome dell'applicazione efficace delle riforme e dell'innovazione. Rinforzare la linea gerarchica, procurare che le funzioni logistiche prendano il sopravvento e controllino le funzioni dei professionisti, è una strategia che è necessario chiamare con ragione aberrante dal punto di vista stesso della gestione aziendale.. Il controsenso sull'atto pedagogico, negato nella sua complessità, non può che provocare una perdita di efficacia.
Non c'è niente da fare ma impegnarsi a trasformare la scuola in una organizzazione efficace al servizio dell'economia comporta che si accetti la necessità e l'importanza degli investimenti educativi e che non si confonda la scuola con le spese improduttive. Perfino Lisbona 2000
(44), il luogo in Europa deputato a rendere operativa la strategia del mercato sull'istruzione, richiede un aumento importante degli investimenti nella formazione (e dalle parti nostre abbiamo avuto una netta riduzione, qualunque cosa dica la ministra per caso).
PEDAGOGIA LIBERISTA
La modernizzazione, l'innovazione, la scuola aziendalistica rimettono al centro del dibattito i grandi temi della pedagogia, temi che una volta erano della sinistra. Secondo gli innovatori, in accordo con gli organismi internazionali che si occupano di istruzione a fini globalizzatori, i saperi non dovrebbero più essere al centro della scuola nuova. Questi saperi, considerati marginali e addirittura antidemocratici, sono improvvisamente diventati inutili, fastidiosi e dispendiosi. Ormai neppure si prende in considerazione un avvicinamento degli studenti ad essi. La scelta pedagogica consiste nel partire dagli interessi dei ragazzi, in funzione dei loro mezzi, condizioni di vita, desideri e destini professionali. A questo rispondono i POF, le attività, i temi trasversali. Si tratta di costruire il sapere per accumulazione delle conoscenze che derivano da quanto circonda gli studenti medesimi. La scuola diventa un
self service di conoscenze: il consumatore alunno chiede al banco cosa desidera e l'insegnante gli dà ciò che più corrisponde ai suoi desideri. La scuola è una specie di centro commerciale nel quale la scuola è un'esperienza di consumo come un altra
(45). In questa scuola supermercato è l'alunno artefice del suo programma, si dice. Ma è così ? Oppure, come sappiamo da sempre, sono solo gli alunni abbienti con motivazioni culturali socio-familiari che si prepareranno percorsi utili ad una carriera che garantisca loro un futuro di autentica formazione ? Questo prevede una gran quantità di giovani dispersi dietro le cose facili, appariscenti, false, giovani che non sanno programmarsi il futuro e che sono condannati precocemente a non averlo. Naturalmente la domanda di un qualcosa deve implicare un interesse per quella cosa (e qui non importa distinguere tra interesse, qualcosa di importante e duraturo, e curiosità, qualcosa che si esaurisce in poche battute) e questo è garanzia per apprendimenti più solidi che portino all'acquisizione di quelle abilità pratiche che il mercato richiede. Positivismo e meccanicismo uniti nella distruzione della scuola.
Sono purtroppo ancora poche le persone che denunciano la falsa democratizzazione che priva la scuola della sua funzione storica acquisita con anni di lotte per l'emancipazione. Si sta dimenticando l'obiettivo primario della scuola: formare intellettualmente tutti i giovani a valori culturali, attraverso le discipline scolastiche.
Il denaro in qualsiasi forma richiamato non può influire sulla libertà di pensiero e di ricerca. E' incredibile che oggi si debba reclamare la libertà per tutti e per realizzarla nella scuola non servono solo soldi ma l'investimento in personale. Ciò prevede che occorre finirla con le politiche educative portate avanti in Italia dal 1997 dalla sinistra (blocco delle assunzioni) e dalla destra (riduzione del numero degli occupati pubblici meno che nella polizia). Occorre ricostruire nella società civile e all'interno dei programmi dei partiti la concezione dell'educazione come bene comune.. Occorre ridefinire un corpo di conoscenze che costituiscono questa cultura comune. Occorre potenziare il ruolo degli educatori nel quadro di nuove istanze democratiche. Occorre riaffermare e mantenere le finalità culturali, etiche e politiche della scuola da parte dei rappresentanti politici. A fianco a questo occorre che la scuola torni a trasferire norme, regole e valori.
Il maggiore pericolo, insieme alla disuguaglianza, risiede nella mutilazione delle esistenze causata da una concezione riduttiva della cultura e dell'educazione concepita come una formazione di competenze con fini professionali. E' come se fossimo passati da una scuola troppo dipendente da da un centralismo culturale ad una scuola in preda all'egoismo utilitarista. Questa concezione dell'educazione dominante nell'attualità forma parte della visione di una umanità composta da piccoli soldati della guerra economica mondiale. Per questo motivo deve essere combattuta (46).
torna alla prima puntata
NOTE
(42bis) A parte testi del tipo di quello di bibliografia 3, di autori affascinati dalla scuola dell'impresa e dal mondo dell'impresa (tanto che il primo ha fatto anche il formatore aziendale), vi sono testi veicolati dalla casa editrice della CGIL Scuola e curati da emeriti rappresentanti della collaterale Proteo, che vengono consigliati nei corsi di aggiornamento per insegnanti. Un esempio è il testo di bibliografia 4, che è veramente vergognoso per il suo offrire la scuola di mercato come non discutibile ed in realtà non discussa. Ma la CGIL Scuola consiglia per la preparazione ai concorsi un altro testo (bibliografia 5) del newagista sociologo Edgar Morin ("
occorre smetterla con le spiegazioni razionalizzanti convincendoci che non c'è ordine nella natura, ma caos"; "All'origine generatrice della cosmogenesi si trova il disordine nella sua forma di evento, di rottura - la catastrofe - e nella sua forma energetica - il calore. In seguito i disordini si sono moltiplicati, nel e per mezzo del disordine delle trasformazioni, e le trasformazioni del disordine, nella e per mezzo dell'ineguaglianza dello sviluppo: il disordine dei disordini è diventato cosmogenico"), e la cosa la dice lunga sui livelli di preparazione di coloro che si occupano di queste cose in quel sindacato. Vi sono poi testi (bibliografia 6) patrocinati dal CIDI, altra organizzazione di sinistra. Oltre a questi vi sono poi una miriade di testi di autori cattolici che non cito (in gran parte fanno capo a Bertagna ed all'editrice La Scuola) e che, naturalmente, si schierano senza problemi con la modernità dell'impresa.
(43) Vedi Bibliografia n° 2, pagg. 337-340.
(44) Lisbona 2000: Conclusioni della Presidenza.
(45) Arthur Powell, Eleanor Parra, David K. Cohen, The Shopping Mall High School, Winners and Lasers in the Educational Marketplace, Boston, Houghton Mifflin Company, 1985.
(46) Vedi Bibliografia n° 2, pag. 401.
BIBLIOGRAFIA
Riporto qui dei testi che ho consultato e che non ho altrove citato:
1 - Giorgio Franchi, Tiziana Segantini,
La scuola che non ho. Per un politica della piena scolarità, La Nuova Italia, 1994
2 - Christian Laval,
L'école n'est pas une entreprise, Éditions La Découverte, París 2003.
3 - G. Bocchi, M. Ceruti,
Educazione e globalizzazione, Raffaello Cortina 2004.
4 - Mario Trombino (a cura di),
Itinerari per la professione docente, Valore Scuola 2000.
5 - Edgar Morin,
I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Raffaello Cortina 2001.
6 - G. Bozzi, C. Branduardi, F. Cappelli, W. Moro, M. Valagussa,
Dal progetto al processo, Mursia 1998.
Anna De Gennaro - 18-02-2006
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Segnalazione da Repubblica:
Italia: drop out record in Europa
Rapporto della Commissione sullo stato dell´istruzione. Per il 22% dei ragazzi solo un diploma inferiore
Scuola, record degli abbandoni l´Italia maglia nera in Europa
DAL NOSTRO INVIATO ANDREA BONANNI
BRUXELLES - Nel 2004 oltre il ventidue per cento dei ragazzi italiani tra i 18 e i 24 anni avevano solo un diploma di scuola media inferiore e non stava seguendo nessun corso di riqualificazione professionale. La media europea è molto più bassa, 15 per cento. Le punte minime di esclusione si registrano in Danimarca, con il 5 per cento, e con l´8 per cento in Svezia e Finlandia, che non a caso sono protagonisti del nuovo miracolo economico basato sull´elevato grado di scolarizzazione e di preparazione dei lavoratori.
Sono preoccupanti per il nostro Paese le cifre che emergono dal rapporto della Commissione di Bruxelles sullo stato dell´istruzione nell´Unione europea. Un indicatore che è considerato cruciale non solo per misurare il grado di maturazione sociale e culturale, ma anche e soprattutto per valutare il potenziale di sviluppo economico su un mercato globale dominato dalla necessità di produzioni con un sempre più elevato valore aggiunto di conoscenza e di competenze tecniche.
Del resto il ritratto preoccupante dell´Italia scolastica è confermato dal decrescente impegno del governo nell´istruzione.
Nel 2002 la spesa per l´istruzione è stata da noi pari al 4,7 per cento del Pil, con una leggera flessione rispetto all´anno precedente, l´ultimo del governo di centro-sinistra. Anche in questo campo siamo al di sotto della media europea, che nel 2002 è stata del 5,22 per cento con un aumento rispetto all´anno precedente.
Ancora più inquietante è il quadro che emerge da un rapporto che il Danish Technological Institute ha elaborato per conto della Commissione europea e che si può trovare sul sito delle istituzioni comunitarie
Tra i 26 paesi che nel 2003 hanno aderito ad un esame sul grado di apprendimento dei loro studenti, l´Italia arriva ventitreesima. Ed è forse utile ricordare che, oltre ai maggiori paesi europei, hanno aderito all´inchiesta anche Giappone, Stati Uniti, Hong Kong, Corea del Sud e Turchia. L´analisi prende in considerazione le capacità di lettura, di comprensione della matematica e di preparazione scientifica. Nel complesso, la Finlandia arriva prima, seguita da Corea e Hong Kong. Poi vengono l´Olanda, il Giappone, il Belgio, la Svezia, l´Irlanda e la Francia. L´Italia si classifica terz´ultima, prima di Grecia e Turchia, per capacità di lettura e comprensione del testo; va un po´ meglio per le scienze (ventesima) e arriva addirittura penultima in matematica: solo gli studenti turchi fanno peggio dei nostri.
Nel complesso, la media Ue si attesta su un punteggio di 495 per la capacità di lettura (Italia 476), 500 per le scienze (Italia 486) e 502 per la matematica (Italia 466).
Sempre secondo i dati della Commissione, l´Italia si classifica agli ultimi posti anche per quanto riguarda il conseguimento di diplomi di scuola media superiore. Nel 2004 solo il 73 per cento dei giovani italiani tra i 20 e i 24 anni aveva completato gli studi superiori, contro una media europea del 77 per cento.
L´obiettivo che si sono fissati i governi europei è quello di raggiungere l´85 per cento nel 2010.
Questi dati, che permettono una lettura non puramente economica delle ragioni che stanno dietro la progressiva perdita di competitività del sistema Italia sui mercati mondiali, sono confermati anche quando si guarda agli indicatori dell´"educazione permanente", cioè la riqualificazione professionale e scolastica dei lavoratori adulti. La percentuale degli italiani impegnati in corsi di qualificazione professionale era del 5,5 per cento nel 2000 ed è scesa a 4,7 nel 2003 per risalire al 6,8 nel 2004. La media europea è del 9,9 per cento. L´obiettivo fissato dalla strategia di Lisbona per la competitività è di arrivare ad una media del 15 per cento entro il 2010. Siamo a meno della metà del cammino.
Sabato, 18 Febbraio 2006 |
oliver - 22-02-2006
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Condivido totalmente le Sue perplessità, questa sterzata imposta al mondo della scuola è pericolosa perchè si dimentica che la scuola non deve rincorrere il mercato ma deve determinare una crescita culturale finalizzata all'acquisizione soprattutto di tecniche (scrittura, lettura, calcolo, ecc, ecc,). |