Clem manca. Mancano insegnanti, o forse sarebbe meglio dire maestri, come lei, che pur non avendo spazio in una scuola autoritaria e meritocratica, un'idea di scuola, di didattica alternativa ce l'avevano.
Leggo avidamente e con spasmodica curiosità le testimonianze su di lei, cercando, però, di soffermarmi sulle sue parole, di somatizzarle, con la speranza di ritrovare, anche nella realtà scolastica di oggi, qualcosa dei suoi insegnamenti, un'eredità che sembra atrocemente essere andata perduta.
Clementina Calzari Trebeschi è stata un'insegnante sia di scuola media che di scuola elementare, e poi all'allora istituto magistrale "Gambara". Lì non ha potuto finire l'anno perché è stata uccisa nella strage di piazza Loggia, ma il segno che ha lasciato nelle sue allieve è profondo. Clementina non era soltanto un'insegnante di lettere, era anche una delle fondatrici del Sindacato Scuola CGIL, insieme a Livia Bottardi Milani, suo marito Alberto Trebeschi, la sorella Lucia e altri e una militante attiva del movimento rivoluzionario di quegli anni.
Incontriamo Lucia, la sua gemella, alla Fondazione Calzari Trebeschi, e parliamo fitto per un'ora e mezza di lei, di Clem e del loro lavoro di insegnanti. Ci racconta della scuola degli anni '60, quella che avevano frequentato loro, una scuola che non agevolava nulla, dove tutto doveva essere faticoso, di una pesantezza e una stupida rigidità. Non era un diritto, stare a scuola, era un privilegio che dovevi duramente conquistarti ogni giorno. La selezione era feroce e gli insegnanti avevano un atteggiamento fortemente autoritario, miravano a una scuola meritocratica, che mettesse in graduatoria gli studenti, distinguendo i più bravi dai meno bravi. Lucia la ricorda come una scuola che «non insegnava a pensare perchè bisognava riprodurre il pensiero degli insegnanti». Non c'era nessuna possibilità di evasione, di pensiero proprio, autonomo.
Alle superiori Lucia e Clem si erano separate: ragioneria e istituto magistrale. Anche qui gli insegnanti si dividevano in chi sapeva insegnare usando soltanto il proprio potere e la propria autorità, in chi era assolutamente indifferente e non incideva minimamente sugli alunni e -poche eccezioni- in chi coltivava sistematicamente il rapporto con gli studenti, ascoltandone le esigenze e aiutando una "consapevole formazione della loro personalità". Tali erano, per esempio, Mario Lussignoli e Renzo Baldo, insegnante e modello di riferimento per Clementina. Appuntava meticolosamente le sue lezioni, così diverse dalle altre, le riscriveva e poi ne discuteva con gli amici e i compagni. E con sua sorella, tanto che questa dice di aver frequentato anche lei le magistrali pur non essendo fisicamente presente.
Quando Clem inizia a insegnare, alle medie prima e alle superiori poi, trova la scuola esattamente tale e quale a come l'aveva lasciata. Con in più il fatto che la sua professionalità doveva subire un preside che aveva potere assoluto ed esercitava un fortissimo controllo sugli insegnanti, attraverso l'esame dei registri e dei programmi. Ed è con la critica verso quella scuola che «pretendeva molto e dava pochissimo», in cui non c'era la rielaborazione dei contenuti, e se volevi te la facevi da solo, quella scuola per cui era più importante il numero dei contenuti che la qualità, che iniziava a maturare l'idea di fare qualcosa di diverso, di sperimentare nuovi metodi di didattica. Clementina non voleva essere insegnante di una scuola dove c'era un apprendimento meccanico e nozionistico, dove il metodo di valutazione era arbitrario e quindi era nella direzione opposta che faceva andare le sue lezioni. Lei voleva capire a cosa un contenuto servisse a livello cognitivo prima di insegnarlo, voleva che i suoi studenti si appassionassero agli argomenti e per questo spesso al Gambara si trovava al pomeriggio con le allieve per decidere che cosa affrontare durante le lezioni. Le invitava ad andare a concerti, a teatro, al cinema, a conferenze, perchè "tutto" può essere cultura e arricchimento e non solo ciò che la scuola impone, perchè da alcune esperienze avrebbero potuto imparare molto più che da certi libri di scuola. E nonostante questo amore per l'insegnamento, Clem era in contrasto con l'idea molto banale che si dovesse essere "amici" degli studenti, come pensavano alcuni, perchè le sembrava quasi una presa in giro e un non rispetto nei confronti dell'individualità di ogni studente. Clem voleva usare la sua autorevolezza in modo intelligente, era legata anche ad alcune formalità che credeva potessero creare l'attenzione e la tensione giusta per mandare avanti la lezione, che poi poteva anche durare meno di un'ora. Pare proprio che il preside, solito ascoltare le lezioni dietro la porta, non condividesse questo tipo d'insegna-mento. Allora cominciavano gli scontri.
Certo, insegnare così è molto più difficile, più faticoso. Anche per quanto riguarda il rapporto con gli studenti, che pur guardavano a lei con grande affettività e fiducia, al Gambara aveva incontrato alcuni scogli. Forse Clem aveva pretese troppo alte, forse a quelle studentesse era stato ormai inculcato da anni come unico possibile un metodo di studio nozionistico. Certo i rapporti, soprattutto all'inizio, non erano sempre facili e solo dopo anche gli alunni più "diffidenti" incominciarono a rendersi conto dell'immenso apporto di quell'inse-gnamento che cercava di scardinare una scuola classista e vecchia, ostile a qualsiasi cambiamento o innovazione, comoda nei suoi meccanismi rigidi.
Già, perchè al centro del lavoro di Clementina c'era, dunque, l'osservazione attenta dei ragazzi e un profondo rispetto della loro personalità, insieme all'esigenza irrinunciabile di contribuire ad arricchirla, a renderla attiva e libera.
È estremamente difficile per noi oggi provare a immaginare come fossero realmente quegli anni, quali fossero i meccanismi della scuola, ma in alcune cose quella realtà non sembra proprio così lontana da quella attuale. La scuola, però, è fatta anche e soprattutto da persone, e allora persone che con coraggio erano determinate a insegnare in altro modo c'erano. Rischiavano, sempre, però non mollavano. Il vuoto che questi insegnanti hanno lasciato è profondo, ed è a maggior ragione imperdonabile che non si sia tentato di colmarlo e che pochissimi oggi siano così giustamente "az-zardati".
Forzando un pochino la storia e saltando volutamente i trent'anni che sono passati, è davvero cambiato per tutti il metodo d'insegnamento?
Certo c'era un clima diverso, le persone erano diverse, c'era un gruppo di insegnanti di sinistra, sempre una minoranza ma molto compatta e unita, politicamente attiva, che guardava alla scuola di don Milani e cercavano, se non nella scuola almeno nelle loro classi, nella didattica, di essere rivoluzionari.
Clementina era tra questi.