Sul palco di Piazza Farnese salgono coppie di uomini, coppie di donne. Parlano di sé, della loro vita privata, e nello stesso tempo parlano di politica.
Sembra di essere tornati indietro nel tempo. Quando dal tuo personale disagio di discriminata, di non garantita, di reificata o oppressa, con assoluta naturalezza, risalivi ai condizionamenti culturali, alle colpe del sistema. Anche a Milano sembra di essere tornati indietro: centomila persone sfilano in difesa della libertà delle donne di diventare madri consapevolmente quando vogliono, se vogliono, come vogliono e senza rischiare la vita in pratiche clandestine. Per molte è una replica: per gli stessi motivi manifestavano già 30 anni fa. Per altre è un debutto, perché molte sono le ragazze. Alle più vecchie fa piacere e malinconia, nello stesso tempo: speravano d'averglielo fatto per sempre, alle loro figlie, questo regalo che si chiama legge numero 194 e sancisce il rispetto per chi mette il proprio corpo, la propria emotività e affettività, al servizio di un altro essere umano. Invece no. Nel nostro paese niente è per sempre. Trent'anni fa c'era la Democrazia cristiana, braccio secolare del Vaticano, che tuonava contro l'aborto, il divorzio, l'omosessualità, a favore della famiglia regolare, una-santa-ipocrita-indissolubile. E ovviamente eterosessuale.
Oggi, a Democrazia cristiana declassata, il Vaticano si serve da solo, non manda avanti un Fanfani o un Andreotti, mette in campo direttamente il Papa, i Vescovi e i Cardinali. Alza la voce, oggi, il Vaticano, semina pulpiti dappertutto, minaccia scomuniche, impone regole, intimidisce i suoi, i poveri credenti che, non di rado, sono omosessuali, oppure convivono non sposati, oppure non se la sentono di portare avanti una gravidanza indesiderata e non ricevono un briciolo di comprensione per le loro difficoltà.
Il Vaticano intimidisce i cattolici e infastidisce tutti gli altri, tutti quelli che credono nella libertà e nella democrazia, nel rispetto reciproco e nella pietà e nell'amore, e cercano di vivere da giusti e da buoni, senza la magnifica scorciatoia della religione rivelata, coi suoi dogmi e le sue prescrizioni. Per manifestare questo fastidio, per reagire a questa intimidazione, a Milano, piazza Duomo non conteneva tutta la folla «gioiosa e determinata» (Emma Bonino) che premeva sotto lo striscione «Siamo uscite dal silenzio» e, a Roma, Piazza Farnese era già piena alle due e mezza di donne e di uomini, di bambini, di famiglie venute a testimoniare che non esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B, cittadini regolari benedetti dalla Chiesa e perciò titolari di diritti e cittadini trasgressivi e irregolari, che si devono arrangiare da soli, non possono legalizzare le loro unioni, non possono aiutarsi a vicenda né essere aiutati dallo Stato. C'è un'atmosfera calda, a Piazza Farnese, nonostante il freddo e azzurro pomeriggio di gennaio. Circola una certa commozione, la gente si toglie i guanti per battere le mani.
Ci sono ragazzi che si baciano e signore anziane che li guardano sorridendo. Ci sono ragazze che si tengono strette abbracciate e fissano il palco dove altre coppie si «pacsano» in pubblico matrimonio, con la fiducia con cui si guarda un altare, un luogo simbolico dove celebrare un futuro sereno. C'è un banchetto dove si raccolgono firme per «salvare la Costituzione italiana», quella dove si legge che tutti i cittadini sono uguali, senza differenze o discriminazioni. C'è una fila interminabile di donne e di uomini che, documento di identità alla mano, aspettano per firmare. Circola una certa determinazione, una volontà positiva, allegramente spavalda: nell'attesa del proprio turno sono in parecchi a chiamare, col cellulare gli amici: «Mi vedi? Sono sotto il cartello, c'è un punto dove si può firmare per la Costituzione».
C'è, in piazza, a Roma come a Milano, la società matura e responsabile, consapevole e battagliera, che si è vista in questi anni, a testimoniare la sua indignazione, a dire i suoi no, a prendere le distanze dalla ribalderia dilagante. Mentre uomini e donne, dal palco, parlano di diritti e d'amore, Roberto Calderoli, ministro di questa Repubblica, si lascia andare alla seguente confessione: «Questi culattoni hanno nauseato». L'onorevole Buttiglione, più sobriamente, ribadisce che lui, loro, hanno a cuore non che «gli omosessuali possano sposarsi» ma che possano sposarsi «i giovani», che possano avere una casa e possano «fare figli», perché «senza bambini l'Italia muore». Noi, che un po' di nausea la proviamo da un pezzo per le volgarità del ministro leghista, i figli li facciamo volentieri, anzi, siamo dell'idea di allargare la possibilità di produrli e allevarli anche alle coppie maledette dal Vaticano. Quello che ci preme è migliorare un po' lo stato di salute dell'Italia, prima di riempirla di bambini. Una buona madre, una, cioè, che ha scelto liberamente di essere madre, sta bene attenta a dove vanno a giocare.
Lidia Ravera