Società dello Spettacolo e totalitarismo televisivo
Non possiedo il televisore e quindi guardo molto di rado la televisione. È stata una decisione quasi contemporanea a quella che qualche anno fa mi ha fatto rinunciare a nutrirmi di cadaveri. La motivazione è analoga: purificarmi nel corpo (vegetarianesimo) e nella mente (basta con la tv).
Da un articolo di
Curzio Maltese apprendo che Berlusconi sta apparendo in moltissimi programmi televisivi e radiofonici. Era prevedibile. Di più, era inevitabile. Questo soggetto, infatti, non è solo il massimo imprenditore della pubblicità televisiva in Italia; non soltanto è arrivato al potere e lo mantiene tramite il possesso diretto di tre reti (caso unico in Europa) e quello sostanziale di almeno cinque; di più:
Berlusconi è la televisione.
Lo è nella finzione costante della sua natura; lo è nel linguaggio popolare, diretto, efficace che sempre la caratterizza; lo è nella menzogna che la costituisce perché ciò che dice la televisione è quasi sempre falso in quanto del tutto costruito e manipolato. Ma soprattutto della televisione possiede l'immensa, inestirpabile volgarità.
Non aver capito tale identificazione ha condotto l'Ulivo alla disfatta del 2001 e temo ne prepari un'altra per le prossime elezioni. Gli italiani, infatti, vivono ormai in un mondo totalmente finto, dove il potere della scatola televisiva e delle sue icone è profondo, assoluto, pervasivo dell'esistenza quotidiana. L'intelligenza politica e il fiuto antropologico di Berlusconi questo lo sanno perfettamente e quindi da qui ad aprile il personaggio apparirà sempre e ovunque.
Nei cinque anni del suo governo l'Ulivo non emanò una legge liberale che impedisse a un singolo soggetto di possedere più di una rete televisiva. Questa omissione - secondo me consapevole e voluta (e lascio immaginare perché...) - ha prodotto la catastrofe del berlusconismo trionfante. Poiché come scrive il filosofo
liberale e
anticomunista Karl
Popper, «ora, è accaduto che questa televisione sia diventata un potere politico colossale, potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che parla. E così sarà se continueremo a consentirne l'abuso. Essa è diventata un potere troppo grande per la democrazia». Infatti la produzione televisiva mondiale ha un solo grande obiettivo: vendere merci e servire gli interessi delle imprese. E quindi l'umanità sta consegnando se stessa a un potere economico posto al di fuori di ogni controllo e volto alla trasformazione dell'
homo sapiens in un essere capace solo di acquistare oggetti, in quello che
Giovanni Sartori ha chiamato
homo videns.
Guy Debord, filosofo anarchico situazionista, già negli anni Sessanta sapeva che la televisione è il dominio della rappresentazione sulla realtà, la confusione costante dei due livelli fino alla loro totale compenetrazione, che cancella i limiti del sé e del mondo, del vero e del falso: «la realtà sorge nello spettacolo e lo spettacolo diventa la realtà. Questa reciproca alienazione è l'essenza che sostiene la società esistente» ("
La société du spectacle", Gallimard, aforisma 8).
E infatti tra tutte le forme dello spettacolo contemporaneo è soprattutto la televisione a costituire l'ininterrotto discorso che la folla solitaria e i suoi padroni intrattengono su se stessi, il dominante specchio autoelogiativo di un sociale divenuto autistico e totalitario. Un'immensa allucinazione collettiva sembra fare del
mezzo televisivo il suo stesso
scopo. Tale spettacolo «è il sole che mai tramonta sull'impero della moderna passività. Esso avvolge la superficie della terra e la inonda della propria gloria» (Debord, aforisma 13).
Una gloria volgare, quella
vanagloria di cui Berlusconi è intriso. E con lui milioni di italiani.
Alberto Giovanni Biuso,
11 gennaio 2006