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L'assedio allo Stato laico
Repubblica - 07-01-2006
Era prevedibile. Dopo la sconfitta del referendum sulla procreazione assistita è partito in modo massiccio l´attacco alla legge 194. Era prevedibile, forse inevitabile. E tuttavia è necessario ragionare su una scelta che, anche per le sue modalità, sembra preannunciare non solo un attacco alla libertà femminile ma una messa in discussione di quel principio di laicità che della libertà femminile è condizione e presupposto. Solo uno Stato laico infatti può consentire, non considerare «reato» ciò che per la Chiesa è «peccato».

Divorzio, aborto, convivenza fuori del matrimonio sono comportamenti ormai diffusissimi nel nostro paese. Nessuno li considera reato, anche se la Chiesa li condanna. Ma fino a non moltissimi anni fa, fino alla fine degli anni 60, gli stessi comportamenti erano perseguibili penalmente: la donna che avesse commesso adulterio o si fosse sottoposta ad aborto poteva esser portata in Tribunale e condannata secondo le norme del Codice Rocco.

È molto ampia la materia nella quale la distinzione tra «peccato» e «reato» è accettata, considerata normale. Per lo meno nel mondo occidentale, dove il processo di secolarizzazione, che è l´altra faccia del processo di emancipazione/liberazione della donna, è andato ormai molto avanti. (Diversa la condizione della donna nel mondo islamico, dove le norme della legge vengono ricavate direttamente dal Corano)
Ma restiamo nel nostro paese. Nel mondo occidentale, di cui facciamo parte, la laicità dello Stato si è affermata intrecciandosi (ne è stata insieme condizione e conseguenza) con il processo di liberazione della donna, del suo corpo e della sua intelligenza. Il processo di laicizzazione della società e di emancipazione della donna hanno fatto giustizia di antichi lacci, divieti, superstizioni, tabu e norme vecchie da secoli. Si pensi, per fare un esempio, alla capacità della donna di procreare che, nel corso degli anni, è stata sottratta dai vincoli naturali e trasformata in una scelta responsabile.. "Quanti ne vogliamo, quando li vogliamo" era la parola d´ordine delle donne in un´epoca in cui era persino vietata la propaganda degli anticoncezionali (che del resto ancora oggi la Chiesa condanna).

Ma se l´autonomia femminile è l´altra faccia, fa tutt´uno con il principio della laicità dello Stato, allora è motivo di allarme l´attacco che a questa autonomia viene portato, in modo sempre più esplicito, da parte delle forze della destra e dalla Chiesa. Il tono, la violenza con la quale viene attaccata oggi la legge sull´aborto sembra annunciare una vera e propria offensiva delle gerarchie per la riconquista delle posizioni perdute nei decenni passati. Carlo Casini, presidente del Comitato per la Vita, dichiarava recentemente: "Per adesso non intendiamo abrogare la legge 194". Per adesso, appunto. Ma domani, perché no?

Chi ricorda come venne condotta, nel 1981, la campagna per la abrogazione della legge 194, non può non allarmarsi, oggi, di fronte alle immagini e al furore con cui si sostiene la necessità della inchiesta parlamentare sulla legge. Tutto esattamente come allora. Vengono dunque riproposte le immagini del sangue che cola, dei feti abortiti ("uno di noi" viene ossessivamente ripetuto) dietro le quali si profila, come ovvio, l´immagine della madre assassina.
Donne sempre sul banco degli imputati. Perennemente in stato d´accusa. Oggi indicate come possibili "assassine" se entrano in un consultorio e chiedono di abortire. Qualche mese fa, condannate come affette da "delirio di onnipotenza", nel caso chiedessero di far ricorso alla fecondazione assistita. Donne sempre sotto schiaffo. Le prime vittime di una campagna che tende a porre limiti, paletti, divieti al loro desiderio o al loro rifiuto della procreazione.

Ma non solo le donne. Perché se la libertà delle donne è l´altra faccia della laicità dello Stato, allora l´attacco alla legge 194 e ai valori perseguiti dal referendum sulla legge 40 (libertà procreativa e di ricerca scientifica) va letto come il preannuncio o l´inizio di un disegno più ambizioso, che ci riguarda tutti. Il disegno cioè di ridurre gli spazi della nostra recente e fragile laicità, ponendo limiti alla capacità e alla potestà dello Stato di legiferare su temi che definiamo «eticamente sensibili» su questioni che hanno a che vedere con la vita, la morte, la famiglia, la sessualità. Si tratta di temi già presenti da tempo nel dibattito pubblico, che nel dibattito pubblico sono destinati a occupare sempre più spazio e sui quali la politica dovrà cercare e trovare punti di accordo e convergenza. Con la prudenza e la saggezza necessarie ma senza far proprie le opinioni e le preoccupazioni, del tutto legittime naturalmente, della Chiesa cattolica.

Una non dimenticata sentenza della Corte Costituzionale chiede di prendere sul serio la laicità dello Stato anche in un paese come il nostro che, a differenza della Francia, non l´ha iscritta nella Costituzione. Il principio, detta quella sentenza, non implica indifferenza dello Stato di fronte alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia delle libertà di religione, in regime di pluralismo culturale e religioso. Questo significa, per dirla con le parole di uno studioso cattolico come Pietro Scoppola, che "ai cattolici e alla Chiesa si chiede di non scambiare il pieno diritto di cittadinanza della loro fede, con il diritto ad una piena rispondenza fra i propri principi e la legge dello Stato".

Ma è proprio questo principio che oggi, nei fatti, viene messo in discussione. Anche con una certa arroganza. La sconfitta del referendum sulla fecondazione assistita è stata valutata dalla Cei come il segno della possibile riscossa, come l´annuncio della fine di una fase storica, quella che si aprì in Italia più di trent´anni fa con la legge sul divorzio e il successivo referendum. E se Ruini si sbagliasse? Le ragioni di quella sconfitta, infatti non vanno ricercate solo né prevalentemente nell´appello della Cei. Ha giocato anche il declino dello strumento del referendum (dal 1995 nessun quesito sottoposto a referendum ha raggiunto il quorum), la complessità delle domande, una diffusa e, a mio avviso, ingiustificata diffidenza nei confronti delle promesse e delle conquiste della scienza e della tecnica. Certo, ha giocato anche l´invito della Cei all´astensione. Nessuno lo mette in dubbio. Ma sbaglierebbe chi valutasse quel risultato come il segno di una ripresa della religiosità nel nostro paese. Molti dati (matrimoni civili, frequenza alla messa, aumento delle nascite fuori del matrimonio), starebbero a dimostrare il contrario. E molte ricerche ci dicono che sulle questioni eticamente sensibili (aborto, diritti delle coppie non sposate, fecondazione assistita, eutanasia) l´Italia non è spaccata a metà tra oscurantisti e libertari, o tra laicisti e clericali. Ma è piuttosto alla ricerca di soluzioni ragionevoli. Non c´è insomma all´orizzonte nessuna guerra di religione su questi temi. A meno, naturalmente che il cardinal Ruini non voglia, come da alcuni segni appare possibile, dichiararla.

Miriam Mafai
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