La circolare n.84 sul portfolio con la quale il MIUR ha inviato alle scuole il modello di documento di valutazione da adottare ha riaperto nuovamente la discussione sulla religione cattolica.
E' tutto un coro di critiche (dalla Flc Cgil ai vari movimenti e comitati) sul fatto, tra l'altro, che la valutazione dell'insegnamento della religione cattolica e/o delle attività alternative è diventata parte integrante e costitutiva della scheda stessa. Ricordiamo che prima la valutazione di questi insegnamenti veniva fatta a parte, su un foglio "allegato" alla scheda. Ora, si può anche immaginare un ennesimo blitz del Miur che, considerata l'opportunità di proporre un modello comune sul territorio nazionale per ovviare alla cosiddetta "scheda fai da te", ha pensato bene di inserirci dentro anche l'I.R.C. e le AA.AA. (tanto per usare la terminologia per sigle oggi tanto di moda).
In realtà ci sarebbe da osservare che la "scheda fai da te" rimane comunque, nel momento in cui non sono definiti e resi prescrittivi gli stessi indicatori, gli stessi standard formativi validi per tutti gli alunni (le scuole possono scegliere e indicare liberamente gli "apprendimenti attesi" tra gli esempi desunti dagli obiettivi specifici delle Indicazioni nazionali o altro). In pratica, di comune c'è solo lo "scheletro", la parte grafica (i titoli, per intenderci, delle varie discipline più il comportamento).
Ma secondo noi non è questo il problema principale. Se ci pensiamo bene il fatto che ad un alunno la valutazione della religione o dell'alternativa venga consegnata all'interno del documento o su foglio a parte, non cambia - nella sostanza - le cose. E' del tutto secondario. Non è questa infatti la vera "illegittimità".
Nel momento in cui le norme in vigore consentono che l'insegnamento dell'I.R.C. - vale a dire l'insegnamento di una confessione religiosa, quella cattolica nella fattispecie - sia incardinato dentro l'orario scolastico base (in questo senso "obbligatorio") il resto viene di conseguenza.
Si ha un bell'arrampicarsi sui vetri poi a sostenere con sottili distinguo che non è l'ora di religione cattolica ad essere obbligatoria e vincolante per tutti (ci mancherebbe!) ma piuttosto che l'insegnamento dell'I.R.C. è considerato materia in orario obbligatorio e che invece la facoltatività riguarda la scelta da parte della famiglia di avvalersene o meno, optando in questo secondo caso per le cosiddette "attività alternative"...
Di questo passo si arriva all'ossimoro degli "insegnamenti obbligatori e opzionali" (come sta scritto appunto nel documento di valutazione), evidente contraddizione in termini.
Altro ancora è poi pretendere che questa stessa scheda venga utilizzata anche da istituti scolastici non statali ma equiparati alle scuole pubbliche e gestiti da altre confessioni religiose (come ad es. le scuole ebraiche): qui al danno si aggiunge la beffa...!
Ma per tornare alle scuole statali, da cui eravamo partiti, vogliamo allora dire con chiarezza che il vizio di fondo sta altrove? Vogliamo dire che, da quando la religione cattolica non è più religione di Stato o "fondamento e coronamento" e principio ispiratore di tutto l'insegnamento (
v. Programmi didattici per la scuola primaria del 1955), in una scuola pubblica e statale, dove convivono diverse etnie, culture e credenze religiose (a maggior ragione in una società sempre più multietnica), tutto ciò diventa semplicemente anacronistico e discriminante?
Quello che va rivisto allora non è tanto il documento di valutazione, ma le norme concordatarie e derivati che collocano l'ora di religione cattolica nell'orario scolastico di base. Se ne è reso conto e lo ha recentemente affermato persino Gennaro Acquaviva, il principale collaboratore di Bettino Craxi all'epoca della trattativa per la revisione dei Patti Lateranensi del 1984 che portò alla storica firma del Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica.
Abbiamo pensato (ingenuamente?) che una via d'uscita onorevole potesse essere quella di collocare l'ora di religione nelle ore facoltative-opzionali previste dalla stessa riforma Moratti, chiamando finalmente le cose con il loro nome. Ma, com'era da aspettarsi, nessuno ha ripreso seriamente in considerazione questa ipotesi. Il Polo e la maggioranza di governo meno che mai, ma neppure le principali forze di opposizione.
Possiamo capire che per diverse forze politiche, anche del centro sinistra (pensiamo in primo luogo a Margherita e Ds, ma non solo) sia politicamente inopportuno o non "conveniente", soprattutto in fase preelettorale, porre questa questione. E possiamo anche capire che vi sono ben altri problemi più urgenti, sul piano sociale, economico, ecc. Ma non ci si può nascondere dietro a un dito. In questo caso forse hanno ragione i radicali e lo Sdi: se si vuole andare al fondo del problema (di questo ma anche della querelle sul crocefisso nelle aule e dintorni), il nodo sta lì. Inutile girarci attorno. Altrimenti tanto vale lasciare le cose come stanno, scheda inclusa, con buona pace del cardinal Ruini e delle gerarchie ecclesiastiche.
L'articolo ci perviene da Scuolaoggi.org - Red
Federico Manzoni - Brescia - 06-01-2006
|
No: non è il Concordato il vero problema.
Il problema è invece una certa ottusità laicista che si rifiuta di riconoscere un dato obiettivamente inconfutabile.
Ossia che la conoscenza della religione cattolica, soprattutto in un contesto come quello italiano, costituisce un imprescindibile dato culturale:
che dunque va conosciuto e insegnato.
Infatti, il Concordato dell'84 fa riferimento all'Insegnamento della Religione Cattolica come parte costitutiva del patrimonio culturale dello studente.
Così chiarendo che non si tratta di un appendice di catechismo nelle aule delle scuole dello Stato.
Peraltro, logica conseguenza dell'assunto per cui la religione cattolica è parte del patrimonio culturale italiano sarebbe non già la facoltatività di tale insegnamento, ma la sua obbligatorietà (alla stregua, cioè, delle altre discipline).
Pertanto, se una contraddizione del Concordato va rimossa, è quella per cui gli studenti possono decidere di non avvalersi di un insegnamento che costituisce patrimonio della propria cultura. |
DON FRANCESCO MARTINO - 08-01-2006
|
C'è un problema di fondo oggi nella Scuola Italiana: cresce il numero degli studenti che hanno una "GRAVE IGNORANZA" del fatto religioso, e quindi fenomeno grave in una società multietnica in cui ci si incontrerà (o scontrerà) presto con diverse culture religiose. Il fatto è favorito dall'opzione "del nulla" proposto ai non avvalentisi l'IRC. Questo fatto ostacolerà il dialogo e la compensione con il "diverso" e rischia di portarci a "derive razziste" che non sono degne di un paese civile. Credo che anche per un ateo, un laico, sia fondamentale, per dialogare, conoscere il fatto religioso: sarebbe importante credo anche per l'Associazione Dedalus proporre una vera alternativa all'IRC, quel famoso insegnmento "laico" di Cultura Religiosa, obbligatorio come l'IRC e vincere lì la battaglia, in nome di una maggior formazione e non di una seplice "guerra di religione". |
Lucia Dainese - 08-01-2006
|
Rispetto al commento del 6-1-06 nel quale si parla di "ottusità" laicista. Mi pare che l'"ottusità" ci sia sì ma, in questo caso, da parte del commentatore "cattolico". Ricordo che la nostra Costituzione italiana, artt. 3-7-8, parla espressamente di libertà delle confessioni religiose, di indipendenza fra stato e chiesa cattolica, di rispetto delle diverse razze e religioni. Ricordo che in Italia non esistono solo i cattolici, ma anche i protestanti, gli ebrei, i musulmani, gli agnostici, gli atei ecc. ecc. Lo stato italiano è uno stato laico e così dovrebbe essere anche la sua scuola: aperta a tutti e per tutti. Non nascondo che il fatto religioso esista, ma è un fatto religioso in sé che non è solo "cattolico"! Sottoscrivo pienamente che il vero problema della nuova scheda ministeriale sta nel Concordato. E' qui il problema. Nel fatto che la chiesa cattolica, non si sa per quale motivo, sia in Italia la chiesa privilegiata. Solo perché lo Stato vaticano è a Roma? Perché negli anni è stato un potente stato che ha fatto il buono e il cattivo tempo?
Io penso che il fatto religioso sia molto importante, ma come tale vada affrontato, discusso, studiato all'interno della propria chiesa. Ci sono diverse chiese in Italia che hanno stabilito un'intesa che chiarisce i loro rapporti con lo stato italiano. Nessuna di queste ha preteso l'"obbligatorietà opzionale" (anch'io concordo con Dedalus sulla contradditorietà dei termini) del proprio credo religioso all'interno della scuola. L'insegnamento religioso sia fatto all'interno delle chiese e, eventualmente, se proprio si vuole, usando i locali scolastici, ma al di fuori dell'orario scolastico obbligatorio. Non è forse la religione cattolica facoltativa? Lo sia fino in fondo. I cattolici non sono forse in grado di organizzarsi in tal senso? Se non hanno la possibilità di insegnare la religione cattolica all'interno della scuola "laica" di che cosa hanno paura, di non fare più proseliti? Ma dove è finito il ruolo di questa chiesa (grande e "potente") e della famiglia, pensa forse il "cattolico" che ha scritto il commento che solo la scuola "pubblica" possa salvare la sua religione?
|