Digos: ecco il rapporto-choc
Carlo Bonini - 01-05-2002
NAPOLI - Questura di Napoli. "Il dottor Tarantino, per favore". "Non è più da noi. Trasferito. Lo trova al commissariato di Nola". Commissariato di Nola. "Il dottor Tarantino, cortesemente". "E' in ferie".
Il dottor Paolo Tarantino, già capo della Digos di Napoli, è oggi un'ombra lontana. Ma non lo sono, a ben vedere, le ragioni che devono averlo allontanato da via Medina il 23 aprile, soltanto ventiquattro ore prima che il questore, Nicola Izzo, venisse informato dal Procuratore Agostino Cordova di quel che stava per abbattersi sui suoi uffici. Per trovarle - queste ragioni - è sufficiente scorrere le 136 cartelle e gli allegati della ad oggi inedita richiesta di misure cautelari della Procura di Napoli per gli otto funzionari della squadra Mobile travolti dall'Affare "Raniero". In queste pagine, si rintraccia la "disgrazia" di Tarantino. Che poi significa le scomode verità di un'operazione pianificata, le curiose coincidenze di cui è rimasto vittima quando, forse, qualcuno tra i suoi colleghi ha capito che si era messo a scrivere alla Procura della Repubblica qualcosa di troppo. Che, volontario o meno che fosse, il suo zelo nel ricostruire i fatti del 17 marzo 2001 stava illuminando angoli destinati a rimanere bui.
Il drappello - Il 28 gennaio scorso, il Procuratore aggiunto Paolo Mancuso e i suoi sostituti Francesco Cascini e Marco Del Gaudio si rigirano per le mani l'apodittica comunicazione con cui il capo di gabinetto della Questura, dottor Marangoni, su indicazione del questore Izzo, suppone di "chiarire" chi, come e perché, il 17 marzo 2001, metta in piedi la micidiale routine che prevede il rastrellamento di feriti nei pronto soccorso cittadini per avviarli alla caserma Raniero. Scrive Marangoni: "Fu disposto che l'approfondimento delle eventuali responsabilità individuali a carico delle persone coinvolte in fatti violenti verificatisi nel corso della manifestazione, nonché la trattazione degli atti di polizia giudiziaria, fossero effettuati presso la caserma Raniero". E' l'affermazione dell'ovvio. Di qualcosa che i tre magistrati già sanno. Quella nota nulla di nuovo dice. E' un velo opaco in cui è difficile non solo rintracciare singole responsabilità, ma persino individuare un punto da cui cominciare a cercarle.
Servirebbe un input diverso. Che arriva il 2 febbraio. E' una nota di Paolo Tarantino. Nitida come meglio non potrebbe essere. I magistrati ne fanno pieno tesoro. E così la riassumono a pagina 15 della loro richiesta di misure cautelari: "Le persone giunte al pronto soccorso sono state spesso fermate all'uscita delle sale di medicheria e condotte, coattivamente, presso gli uffici di polizia dei singoli ospedali. In questi locali sono stati controllati i documenti di identità di tutti i feriti e dei loro accompagnatori. Ad alcuni di loro sono state chieste sommarie informazioni sull'origine delle loro lesioni. Qualcuno è stato sommariamente perquisito. Tutti, nonostante pochissimi fossero privi di un documento di identità, indistintamente e gradualmente - prima a gruppi di tre persone, poi in numero maggiore - sono stati condotti a bordo di auto della polizia presso la caserma Raniero dove era confluito personale della Squadra mobile".
Non può sfuggire l'importanza delle informazioni che Tarantino gira ai pm. Contrariamente a quanto spiega Marangoni - e ancora ieri ripeteva Izzo in un'intervista al Corriere della sera - l'operazione "Raniero" non ha nulla dell'arrangiato. Non è un piano messo insieme alla buona dopo i disordini di piazza Plebiscito per far fronte all'inatteso flusso di fermati. La routine è studiata, programmata nei giorni precedenti la manifestazione. Chi è incaricato di farla marciare la rispetta: A) I feriti vengono fermati secondo un unico criterio: essersi presentati al pronto soccorso con lesioni a prescindere da come se le siano provocate. B) Sono pressoché tutti identificabili. C) La Digos viene esclusa dall'accesso alla "Raniero". Al punto che Tarantino, nella sua nota, ricorda persino che soltanto due dei suoi uomini "occasionalmente, accompagnarono alcune persone prelevate dall'ospedale Vecchio Pellegrini": gli agenti Molitierno e Catalfamo.
Il capo della Digos aggiunge dell'altro. Sulla scorta delle sue note, così la Procura descrive l'accoglienza riservata ai feriti: "Alle persone viene vietato di allontanarsi liberamente e di abbandonare le stanze in cui venivano raggruppati, le cosiddette sale del drappello. Vietato qualsiasi contatto con i difensori. Il macchinoso svolgimento delle operazioni costringe le persone confluite nell'ospedale a rimanere rinchiuse nelle sale del drappello dai trenta minuti alle due ore".
"Avvocato d'o cazzo" - Che Tarantino collabori lealmente con la Procura è evidente. Ma fino a che punto sia disposto a farlo è per gli stessi pm una scoperta. Sollecitato, è lui infatti a scardinare il primo muro di omertà. A "segnalare i nomi dei componenti della Mobile impegnati nella caserma Raniero". A raddrizzare i numeri degli ingressi (almeno 80 ragazzi e non 40 o 70 come vanno arronzando i ricordi di Solimene e Ciccimarra). Ed è ancora lui ad annotare con disciplinata puntualità circostanze apparentemente marginali che, incrociate con le testimonianze delle vittime del pestaggio, offrono illuminanti riscontri alla loro solidità. E' il caso del fermo di Lua Albano. Il 20 marzo scorso, Tarantino segnala alla Procura che dalle carte raccolte in questura la ragazza non risulta aver mai varcato la soglia della "Raniero". E' stata accompagnata e denunciata alla Digos, scrive. Se così fosse, vorrebbe dire che Lua, una delle testimoni chiave della Procura, mente ai pm. Ma Tarantino non è convinto, evidentemente, di quello che gli hanno riferito. Il 25 marzo si infila una seconda volta negli archivi. E trova la cartuscella che sostiene le parole della ragazza. Nuova nota ai pm: "E' vero, la Albano è stata prima alla Raniero e soltanto dopo alla Digos".
Già, i dettagli possono dire tutto. Accade per il giovane procuratore legale Andrea Cioffi. Tarantino, che ovviamente ignora la testimonianza raccolta dai pm, segnala di aver verificato che il ragazzo risulta "perquisito due volte" all'interno della "Raniero". Esattamente come Cioffi ha raccontato ai pm Cascini e Del Gaudio nel dar conto del suo incubo. Si legge a pagina 31 dell'incarto della Procura: "Cioffi non si trovava neppure alla manifestazione. Semplicemente incontra Allegra Nelli e l'accompagna in ospedale. Al drappello commette il grave errore di consegnare il tesserino di appartenenza all'Ordine degli Avvocati. Arrivato alla "Raniero", si sparge la voce che è stato preso un avvocato. I poliziotti non stanno nei panni. Lo chiamano alla scrivania dove devono essere consegnati i documenti, lo fanno inginocchiare, lo prendono in giro perché è avvocato. Riceve i primi schiaffi. Lo rimandano in fila. Dopo un po', la pantomima si ripete: di nuovo alla scrivania, di nuovo inginocchiato, di nuovo insultato: l'avvocato d'o cazzo..E che ti devo combinare. Per tre o quattro volte si ripete il teatrino. Lo portano in bagno. Lo perquisiscono una prima volta. Gli dicono di denudarsi, gli chiedono di fare piegamenti sulle gambe, poi lo lasciano uscire. Andrea tira un sospiro di sollievo e torna al suo posto, sempre inginocchiato. Ma dopo un po' deve tornare alla scrivania. Gli dicono che deve fare una seconda perquisizione". Due perquisizioni. Interrogato, lo dice Cioffi. Sollecitato e ignaro, lo certifica in buona fede Tarantino. Il ragazzo - è evidente - non racconta balle.
La sala torture - A metterle in fila, le informazioni girate da Paolo Tarantino alla Procura danno conto di fatti che non sarà facile aggirare: le testimonianze raccolte dai pm non appaiono figlie dell'invenzione, alla Raniero non finirono pericolosi estremisti, il piano che trasformò quella caserma in una "sala torture" venne studiato e qualcuno si preoccupò di verificarne il funzionamento. Ma le informazioni di Tarantino dicono anche dell'altro. Chi parla è fuori. Chi si sottrae al vincolo dell'omertà paga. La regola non ha risparmiato un brillante e stimato dirigente. Cosa potrebbe esserne di un semplice agente?

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 elena    - 12-05-2002
sono un cittadino disciplinato, rispetto le regole, pago le tasse volentieri sperando che i servizi migliorino e che prosperi una società ispirata alla solidarietà, ma non posso tollerare nemmeno l'idea che con il mio contributo un corpo dello stato non faccia, ma solo progetti azioni così disumane e arroganti. non possiamo allevare porci, deve essere fatta piena luce sui fatti, magari chiamando a risponderne anche l'ex ministro degli interni. elena