Privati
Chiara Loda - 10-12-2005

Periferia milanese. Un ragazzo tira calci ad un pallone.
E' tutta la mattina che va avanti e in ogni colpo ci mette rabbia,
troppa rabbia. E' in ferie forzate, poiché la sua classe è in gita.
Ma lui non è andato: troppo costoso. E aiuti dalla scuola zero.

Cambio lo scenario. Un'auto costosa. Madre, padre e figliolo a rimorchio ben vestiti e pettinati. In tasca hanno un assegno di circa 500 euro e sono indecisi su come investirlo. Le proposte in lizza sono o una cena fuori tutti insieme o un nuovo cappotto per il pargolo (poverino, non può andare sempre in giro con gli stessi tre).

Non ci sarebbe nulla di male se il sopraccitato assegno non fosse un "buono scuola", quindi soldi pubblici, costituiti anche dalle imposte del ragazzo che non va in gita. Di questo equo e simpatico trattamento possiamo ringraziare il presidente della Lombardia Formigoni (e tutte le regioni che hanno seguito il suo esempio) che ha istituito i fantomatici buoni scuola, ossia un rimborso per le spese scolastiche alle famiglie. Da questo conteggio sono esclusi libri, mense, trasporti, materiale didattico e gite d'istruzione. Insomma, per farla breve, rimangono solo le tasse scolastiche e le rette delle scuole private. Ma la spesa minima, almeno in Lombardia, per avere diritto a un rimborso è di 206 euro e, ricordando che le tasse d'iscrizione alle scuole pubbliche raramente arrivano a queste cifre, indovinate un po' a chi vanno tutti i fondi? La colpa di chi è?

Della Moratti, solo e soltanto sua.
E invece no, vi è un altro imputato, una persona che prima di lei ha avviato il processo di finanziamento agli istituti privati. E si tratta di un uomo della sinistra: Luigi Berlinguer, precedente ministro della pubblica istruzione. Con l'inizio del suo mandato, infatti, la finanziaria aveva previsto un taglio sull'istruzione pubblica di 4.600 miliardi di lire in tre anni e, allo stesso tempo, si inserivano finanziamenti di simile entità per le scuole private. Questa manovra è piaciuta così tanto alla destra che, arrivata al governo, ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia. Del resto ad un bacino di elettori appartenenti ad un ceto medio-alto, costituito prevalentemente da imprenditori e liberi professionisti, piace l'idea di ricevere, di tanto in tanto, qualche regalino extra.
Infatti chi manda i figli in una scuola privata con i buoni scuola è gente che la retta riusciva benissimo a pagarsela anche prima. Insomma, dato che questi simpatici contributi vengono elargiti senza alcun controllo sulla qualità degli istituti (avanti dunque a Cepu, diplomifici e cinque anni in uno vari) le mie tasse contribuiranno a comprare il diploma di qualche rampollo tanto ricco quanto lavativo. Che bellezza, questa cosa giova particolarmente al mio umore.


Ma torniamo alla giustificazione ufficiale di questi decreti, ossia "ciascuno è libero di educare suo figlio come meglio crede, e lo stato deve favorire in ogni modo l'esercizio di questo diritto". Ma ovviamente sì, signori miei, aiutiamo chi desidera spedire la prole in un istituto dove gli studenti non hanno né assemblee né rappresentanti e dove la parola "manifestazione" non ha diritto di cittadinanza. E anche gli insegnanti, in un simile clima di desolazione, possono fare ben poco, visto che questi non sono assunti tramite concorso bensì per chiamata nominativa. In parole povere il preside è legittimato a prendere o a sbattere fuori chi gli pare e piace. Alla faccia della democrazia che dovrebbe essere appresa sui banchi, qui non la si trova neanche andandola a cercare col lanternino. Anche il ministro Moratti è assai sensibile a questo problema, tanto che ha deciso di istituire una sorta di par-condicio: meno diritti di rappresentanza e libera espressione anche a studenti e insegnanti delle scuole pubbliche, così siamo tutti uguali e nessuno si lamenta. Tra coloro che non piangeranno vi sarà sicuramente Confindustria, che avrà a che fare con una futura classe di lavoratori poco avvezza a riunioni sindacali e scioperi, quindi alla lotta per il riconoscimento dei propri diritti. Beh, non c'è che dire, sembra che i gestori di scuole private siano stati abbastanza favoriti dall'operato dello Stato in questi ultimi anni. Ma al nostro governo è sempre premuto dimostrare che non vi è limite al peggio (o al meglio, a seconda dei punti di vista) e così, il diciassette agosto scorso ha promulgato il decreto di legge numero 196. Ecco a voi in cosa consiste ciò: se prima, in base al decreto legislativo 504, risalente al 30 dicembre '92, erano esentati del pagare l'Ici chiese, oratori, conventi e monasteri, adesso questo privilegio (altre parole per definirlo non sarebbero troppo lusinghiere) è esteso a scuole private, case di cura, ristoranti e foresterie appartenenti ad istituzioni cattoliche. Parlando in soldoni, trecento milioni di euro all'anno di tasse che se ne vanno. Ma la cosa bella è che questo provvedimento ha valore retroattivo, quindi, quando da decreto diverrà legge, a queste strutture saranno restituiti i contributi versati all'Ici a partire dal 1993. E poi vengono a dire che la situazione finanziaria italiana è disastrata e che tutti si adoperano per sistemarla. Se le cose stanno così, cari esponenti del governo, o siete in mala fede o siete deficienti (una cosa non esclude l'altra) visto che anche il mio criceto, nel poco probabile caso venisse chiamato a risanare questa situazione, lo farebbe meglio di voi, poco ma sicuro. Così una scuola cattolica non solo vedrà i suoi alunni agevolati da buoni scuola, ma nemmeno pagherà le tasse. Non so perchè ma ho l'impressione che questo tipo di istituti, magari di infima qualità, sorgerà come funghi dopo un temporale, Il vaticano ringrazia e promette di ricambiare a tempo debito, vedi elezioni.
Ci sarebbe un altro piccolo dettaglio, ossia l'articolo 33 della costituzione italiana, che dice che "enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato". Ma sappiamo tutti che per questo governo (e purtroppo anche per quello precedente) tali sottigliezze hanno importanza piuttosto relativa. Penso all'America, a quell'America fatta da una parte di istituti privati di alto livello da cui esce chi nella vita "combinerà qualcosa", dall'altra di scuole "parcheggio" pubbliche, dove vengono piazzati i ragazzi provenienti dai ceti socio-economici più deboli in attesa che adempiano all'obbligo scolastico e vadano a cercarsi un lavoro. Non vorrei mai che la scuola italiana facesse una fine simile, che fin dal giorno in cui ti iscrivi in prima elementare (se non all'asilo) sai già in che direzione molto probabilmente andrà la tua vita.
Torno ai due ragazzini, al ricco e al povero. A quest'ultimo è stata rubata (perché di un vero e proprio furto si parla) la gita scolastica. La riforma ha sottratto a lui un'importante occasione di crescita a livello sia culturale che personale. Una scuola che dice: ‹‹Mi dispiace, caro mio, ma la gita è solo per chi può pagarsela›› è una scuola che prepara ad una società classista dove da un lato ci sarà chi si sentirà superiore a causa della propria disponibilità economica, dall'altro chi penserà, a causa delle umiliazioni e dei calci nel sedere ricevuti sin da piccolo, di essere un cittadino di serie B. E queste convinzioni sono prodotte dall'istituzione, che dovrebbe invece adoperarsi nel lato opposto.
Questa è una storia Italiana, seppur con qualche elemento di importazione. E' una di quelle storie che si raccontano a testa bassa, con in bocca una punta di disgusto. E con poca speranza nella sinistra, che manterrà intatti molti punti della riforma Moratti, a cui sono state fatte tante critiche ma poche controproposte concrete. Vedo il domani come un tunnel, e guardo avanti. Vi sarà luce in fondo? Io per adesso non ne vedo.


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