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Manganellate notturne al presidio No Tav
l'Unità on line - 07-12-2005
La denuncia del sindaco di Venaus: «Manganellate a tutti, giovani e anziani»

«Sono entrati con una forza bruta e hanno manganellato tutti pensionati, donne, giornalisti, alcuni assessori comunali con fascia sono stati presi a calci e la fascia strappata». Non hanno quasi parole i manifestanti No Tav per descrivere lo sgombero violento del presidio contro l'Alta velocità avvenuto nella notte da parte delle forze dell'ordine. «La polizia è entrata, ha colto tutti nel sonno e le manganellate non sono state risparmiate a nessuno - racconta il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano- Insieme ai più giovani c'erano anche persone di 70 anni, neppure loro sono stati risparmiati».

Di quello che era stato il quartier generale dei no-tav in questi ultimi giorni, dalle tende alla cucina da campo dal doposito della legna a quello delle vettovaglie, non resta più nulla: tutto è stato spazzato via dalle ruspe dopo che le persone che si erano fermate per la notte, un centinaio, erano state caricate e brutalmente allontanate. Almeno 15 persone sarebbero state ferite. «In ospedale sono finite 12 persone - dicono dai Comitati di Lotta Popolare No Tav Valle di Susa - fra i più gravi un ragazzo che colpito al capo che ha perso conoscenza subito un giornalista di Torino cronaca e un fotografo di repubblica». E sono ancora i Comitati a diffondere i particolari dell'aggressione notturna: «La prima carica della ruspa è stata guidata dal vice questore Sanna, che, rivolto ad un ragazzo che stava sulla barricata, ha gridato "Uccidilo, uccidilo».

Immediatamente dopo il blitz, per dare l'allarme, è scattato o l'ormai consueto invio di sms. Così si è formato di nuovo un presidio poco più in su verso Venaus, ma i valligiani si trovano in una situazione di smarrimento perché «se pure ci si aspettava da un momento all'altro la possibilità dello scombero, nessuno di noi avrebbe però potuto immaginare un uso così spietato delle violenza contro le persone colte nel sonno - racconta ancora, con voce rotta dall'emozione e dalla rabbia, Nilo Durbiano- quanto è stato fatto, con la complicità delle tenebre deve essere andato molto più in là di quelli che devono essere stati gli ordini ricevuti, se all'alba è stato impedito alle tv di poter entrare per far vedere lo scempio commesso sul campo del nostro presidio».
Intanto nella valle è stato dichiarato lo sciopero e sono iniziati una serie di blocchi stradali e ferroviari. «Una violenza del genere non la avevo mai vista né mai avrei potuto immaginarla- dice Durbiano- quanto successo stanotte è davvero l'ultimo atto che dimostra quanto la democrazia nel nostro paese sia stata per l'ennesima volta calpestata. Tutta l'Italia dovrebbe ora riflettere perché si tratta di una vergogna per tutti noi italiani».



Tonino Cassarà

l'Unità


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 Peacelink    - 06-12-2005
E' emergenza democratica. I loro progetti non passeranno

Sui "crani refrattari" il manganello dei ricchi: vergogna! Solidarietà alla Val di Susa!

Poco fa una carica violenta e assurda contro gente inerme, una carica a freddo, preordinata. "L'alta velocità" vuole trapanare un monte pieno di uranio e amianto, vuole violare la volontà di un'intera valle

L'alta velocità, sostenuta da Berlusconi e da Prodi, mostra il suo vero volto repressivo e sui "crani refrattari" è calata la violenza del manganello.

Un potere politico-economico oligarchico ci vuole imporre un progresso che tale non è.

Ci vuole imporre i profitti dei soliti ricchi che contano più della testa e delle idee, della salute e delle speranze di donne, uomini e bambini nonviolenti che a mani alzate andavano incontro ai poliziotti.

I ricchi possono far affluire nelle casse dei partiti del manganello molto più di quelle mani alzate, di quelle mani pulite.

Ma, lo dice la nostra Costituzione, la sovranità appartiene al popolo.

Una sola parola: vergogna!
Alessandro Marescotti

 Federico Repetto    - 07-12-2005
Il sito www.notav.it e' stato sabotato e adesso e' quasi del tutto inagibile.
Si riesce giusto a leggere il "chi siamo", che dice che il sito e il movimento notav sono indipendenti e estranei ai partiti...
Lascio a voi la domanda di chi possa aver sabotato il sito. Forse quelli che lasciano in giro per la Val Susa ordigni rudimentali, o quelli che accusano i notav di essere infiltrati dagli anarchico-insurrezionalisti? (a meno che bombe e accuse non provengano >dalle stesse fonti...).
Credo che sarebbe opportuna una campagna on line per una reale liberta' in rete e un concreto sostegno al sito del movimento notav della Val Susa da tutti quelli che amano la liberta' di comunicazione.

 dal Blog di Beppe Grillo    - 09-12-2005
Pubblico la lettera di un francescano della Val di Susa, Beppe Giunti, è lunga, ma vale la pena di leggerla tutta.

"Molti amici della nostra Comunità stanno chiedendomi, a ragione, in queste ore perché io sia dentro la questione TAV, perché abbia marciato da Bussoleno a Susa, perché ieri mattina a Bussoleno mi sia posto in mezzo tra un reparto di polizia che tornava dal blitz notturno e la folla di persone comuni che voleva restituire manganellate e insulti.
Il motivo principale è che la fede cristiana non è una astrazione, una filosofia, ma la sequela di un Dio che si fa uomo, in un preciso contesto temporale e culturale. L’incarnazione è uno dei misteri principali della fede e il criterio centrale della sequela di Cristo.
Ne deriva che il credente non può “chiamarsi fuori” dalle situazioni che hanno in gioco valori, di qualsiasi tipo. La fede quindi non può avere una dimensione privatistica. In questi mesi sia l’insegnamento di papa Benedetto sia alcuni interventi della CEI ce lo hanno ricordato a proposito di chi vorrebbe la Comunità cristiana muta su interrogativi pesanti (matrimonio, usura, coppie di fatto).
Non ci sono dubbi per il credente: ogni realtà che coinvolga a vario livello scelte “umane” lo deve trovare presente.

Seconda motivazione, la grande e importante questione del treno ad alta capacità di trasporto merci (non è infatti principalmente treno ad alta velocità passeggeri, TAV è solo uno slogan per ambedue gli schieramenti pro o contro, la posta in gioco è se tenere gli scambi a sud delle Alpi tramite Genova e Marsiglia e Barcellona o lasciarli a nord su Rotterdam) tocca questioni del tipo suddetto?

Ritengo di sì: il metodo (democrazia partecipata che coinvolge i soggetti intermedi per il principio di sussidiarietà) è stato rovesciato (decisione di vertici economici-finanziari poi firma politica internazionale), al centro è stato messo il mercato non le persone; l’idea di “progresso” che viene esposta nei documenti “pro” non parla mai di qualità di vita ma di accrescimento di ricchezza; non è stato affidato ad un centro indipendente uno studio preliminare sulle conseguenze ambientali, economiche (del tipo: bilancio in passivo come per il tunnel della Manica per quante annualità?); la dimensione finanziaria dell’opera non esige che ci si chieda se in altro modo non si ottengono risultati equivalenti?

Le analisi tecniche che sono state elaborate da Enti su richiesta delle Comunità Montane della Valle sono disponibili da dieci anni, ora i cittadini hanno la percezione di non contare nulla.

Ho ritenuto inoltre che una mia presenza, come quella di tanti altri sacerdoti, sindaci, docenti dei licei della Valle, esponenti dell’associazionismo avrebbe potuto attenuare lo scontro mantenendolo in ambito di rispetto, ascolto, democrazia. Alla marcia dei 50.000 ho partecipato perché non era partitica, ma tenuta insieme dal sindaci che sono l’anello più vicino a me della Nazione; un ecclesiastico non può aderire a movimenti politici né iscriversi a partiti; ma qui si è trattato di un fatto di cittadinanza.

Purtroppo i fatti di ieri notte a Venaus, e prima molte dichiarazioni di persone responsabili del bene comune (questo io credo debba essere il nome nobile da riconoscere ai politici, per esempio il ministro Lunardi), il silenzio decennale della stragrande maggioranza degli organi di informazione nazionale ed ora il loro interesse folkloristico (i cartelli della marcia, i manganelli, i falò, la stanchezza dei poliziotti, la polenta ai presidi di Venaus), la scelta del responsabile del bene comune sotto il profilo dell’ordine pubblico (ministro Pisanu) di militarizzare la Valle e di ordinare il blitz (svoltosi con metodi vecchi da anni ’50, - Scelba docet? – di notte in silenzio ordinando ai fotografi di andare via, con l’insinuazione e pretesa giustificazione circa la presenza di infiltrati anarchici o comunque violenti, mai visti in Valle in questa occasione e che tuttavia sono spuntati a Torino dopo il blitz), la reazione emotiva dell’intera popolazione (ieri mattina sulla macchina del comune di Bussoleno con il microfono abbiamo fatto fatica – un sindaco un partigiano conosciuto qui e io – a frenare la violenza fisica) che impedisce di ragionare sui fatti sui dati e non sugli slogans; tutto questo rende faticoso star dentro la questione.

Ritengo di aver fatto e di dover continuare a fare questa piccola cosa perché sono frate, cristiano e cittadino.

Una riflessione finale, sfuggita ai più: l’intensità di riunioni, circolazione di documenti, confronti in piccoli gruppi e in assemblee, il mescolamento di identità culturali politiche religiose avvenuto in questa occasione manifesta qualcosa – al di là che si faccia o no questo monstrum ingenieristico – che punta diritto al ripensamento di quale modello di sviluppo vogliamo per le generazioni future; in questo la tradizione cristiana ha molto da dire (vedi le catechesi sul nostro continente di papa Giovanni Paolo II) perché in particolare l’Europa non sia quella dei mercati ma quella dei popoli,
perché lo spreco di energie diventi utilizzo ragionevole delle risorse, perché il consumo non sia il nuovo idolo al quale bruciare l’incenso.

Mentre scrivo, dopo aver di nuovo percorso le strade e aver incontrato decine e decine di persone comuni non terroristi posso riassumere il sentimento della popolazione con la parola “offesa”, per non essere stata ascoltata, per essere stata trattata come si usa con delinquenti violenti, per non essere stata capita.

Io sono stato offeso – ad un bivio per Mattie da Bussoleno - da uomini in divisa della mia Nazione e dopo essermi fatto riconoscere (testuale: “sei un animale, porta via queste bestie, io sono lo Stato…”) mentre tentavo una mediazione limitata e che poi ha protetto proprio un gruppetto di poliziotti, ma voglio ricordare l’insegnamento di san Francesco: l’insulto fa male a chi lo lancia, non a chi lo riceve.
Grazie se fate circolare, grazie se rispondete, grazie se ci aiutate a ragionare anche con critiche documentate e contrarie a quanto qui ho esposto."

Fra Beppe Giunti, frate Guardiano del convento di San Francesco di Susa


 Liberazione    - 09-12-2005
Una lotta che può vincere. Questo è quello che sempre più chiaramente emerge dalla mobilitazione dei cittadini della Valle Susa e di tutti coloro che li sostengono. Può vincere non solo perché è fondata sulla determinazione e sulla grande partecipazione dei diretti interessati, ma perché parla a tutti. E’ l’opposto di quella rivolta locale quale la definiscono tanti commentatori e tanti politici. Esprime, partendo dalla vita concreta della valle, problemi e sentimenti che sono di noi tutti. E’ il locale che diventa globale. Riguarda tutti la questione di quale sviluppo e di quali costi dello sviluppo. Un cartello dei manifestanti diceva: “Tra venti anni mio figlio andrà a Lione in due ore e io dovrò aspettare un anno per una Tac”. Ecco, in tanti sentiamo la rabbia per lo spreco enorme di risorse, spese per guadagnare tempo dove non è strettamente necessario, quando bisognerebbe spendere molto di più per migliorare davvero la qualità delle nostre vite. E questa rabbia è alla base di tante lotte che contestano la concezione dominante dello sviluppo.
Ma, oltre a questo e più di questo, c’è la questione della democrazia. Questa lotta suscita un così vasto e diffuso contagio, una così spontanea solidarietà, perché parla delle nostre libertà essenziali. Ci mette di fronte alla continua riduzione delle nostre possibilità di scelta, e al fatto che ogni decisione ci viene imposta dal mercato, dai poteri globalizzati, dalla crisi della politica. Così basta poco - un appello per sms, un’informazione passata di bocca in bocca - e decine di migliaia di persone, operai, studenti, cittadini si trovano a manifestare in Valle Susa.
Questa è la politica, la buona politica che viene dalla partecipazione diffusa delle persone. Ma cosa c’è dall’altro lato, da parte del potere politico ufficiale? Paradossalmente, mentre il locale della Valle Susa parla a tutti, il potere politico, che dovrebbe essere espressione dell’interesse generale, comunica solo con se stesso. Quello rischia di essere il vero luogo della chiusura localistica. Come si fa infatti a non capire che non è possibile che tante decine di migliaia di persone siano solo fuorviate da una cattiva propaganda o da poca informazione? E’ paradossale questa questione dell’informazione. In un paese dove la televisione è in mano a una sola persona e i grandi giornali, in quelle di pochi altri potenti, sono proprio coloro che comandano l’informazione che si lamentano di non essere capiti?
La verità è che sono loro che non capiscono e così rispondono in modo confuso, nervoso. Con la brutalità dell’intervento poliziesco, l’ottusa trasformazione di una grande vicenda popolare e di civiltà in una questione di ordine pubblico. Il ministro dei Trasporti ha minacciato le popolazioni della Valle Susa, intimando loro di mettersi il cuore in pace. Se lo metta lui.
Perché questo è il nodo della questione. Oramai è chiaro che chi vuole fare la Tav a tutti i costi si è messo in un vicolo cieco. Di fronte a questa resistenza non violenta e diffusa, a questo consenso popolare in tutto il paese, la Tav non si può fare. E qui c’è la crisi della politica. Perché anche l’altra parte, quel centrosinistra che oggi parla di dialogo, finora non ha proposto nessuna alternativa politica concreta alla militarizzazione della valle. E’ da apprezzare, naturalmente, che si condannino i brutali interventi della polizia. Ma non basta. Bisogna dire cosa si fa di alternativo e non semplicemente sperare che chi lotta prima o poi si stanchi. Perché questo non succederà.


Giorgio Cremaschi

 da Diario.it    - 10-12-2005
Noi della Valsusa? Siamo fuori dal tunnel

Altro che egoisti e localisti. Vivono da vent’anni in un grande cantiere. E ora hanno detto basta. Perché la nuova linea ferroviaria non serve. Perché temono l’amianto degli scavi. Perché sanno che i lavori stanno aprendo una nuova Tangentopoli, con vecchi protagonisti

di Gianni Barbacetto

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