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Basta flirt tra Chiesa e certa politica
l'Unità - 02-12-2005

Intervista a Padre Bartolomeo Sorge
a cura di Maurizio Chierici

«E la concentrazione patologica dei media e dell'informazione in poche mani».

Troppi silenzi. Sono le preoccupazioni di Bartolomeo Sorge il quale non disarma la speranza: «C'è una frase bellissima di Paolo VI: oggi la gente non crede più alle parole. All'origine della grande crisi è proprio la non credibilità delle promesse. La gente vuole ascoltare solo testimoni perché chi non parla con la propria vita parla a vuoto».
Sorge è il gesuita che ha attraversato trent'anni di storia italiana con analisi puntuali, mai reticenti, spesso controcorrente, nessun peccato di ambiguità. È stato direttore di Civiltà Cattolica a Roma per 12 anni; dal '85 al '96 superiore e direttore del Centro Studi Sociali dei gesuiti di Palermo dove ha fondato l'istituto di formazione politica Pedro Arrupe dove tuttora insegna dottrina sociale della Chiesa. Dal gennaio '97 dirige Aggiornamenti Sociali a Milano, rivista che accompagna criticamente i problemi nei quali ripieghiamo la nostra vita. Sta per lasciare la responsabilità della rivista Popoli a Stefano Femminis, primo laico a governare una pubblicazione della Compagnia del Gesù: è un mensile che guarda il mondo. La chiarezza degli interventi di Sorge, i suoi saggi, i suoi libri (ultimi: I cattolici e l'Italia che verrà e Per una civiltà dell'amore. La proposta sociale della Chiesa) sono punto di riferimento al quale si aggrappano fedeli ai quali non bastano le parole di consolazione, ma insistono nel misurare la loro inquietudine con gli affanni di una politica che continua a deluderli. Un anno fa, su Aggiornamenti Sociali, Sorge si diceva preoccupato per il «silenzio dei vescovi».

Da qualche mese i vescovi parlano, e parlano tanto. Parlano per affrontare gli argomenti sui quali Sorge si augurava intervenissero?
«La mia preoccupazione era, ed è, che, al di là degli interventi sui problemi particolari, i nostri vescovi esprimano una valutazione etico e religiosa sui problemi di fondo della difficile transizione del paese. Sulla grave emergenza democratica (non basta dire che la devolution recentemente varata è poco solidale); sull'implicazione della laicità (riconoscendo anche di fatto ai fedeli laici la loro responsabilità ed evitando anche solo la apparenza di cercare il favore dei potenti di turno). E sulle due principali culture politiche che si confrontano in Italia, non basta dire che sono entrambe legittime perché democratiche; ai fedeli e ai laici preme sapere qual'è più conforme alla Dottrina sociale della Chiesa: quella liberale o quella sociale e popolare?».

Parlano anche i politici: all'improvviso cristianesimo e Stato hanno l'aria di marciare a braccetto verso le elezioni. È un cammino democraticamente corretto?
«Non solo sono perplesso, ma contrariato dalla ostentazione con cui, da qualche tempo, da una parte e dall'altra, si moltiplicano gli 'incontri cordiali' tra leader politici e autorità religiose. Da un lato, mi fa piacere sapere che il mondo laico oggi riconosce l'importanza sociale della religione. Lo sostiene ufficialmente perfino l'articolo 52 del trattato costituzionale europeo. D'altro lato vedo il pericolo gravissimo di vicendevoli strumentalizzazione sia da parte dello Stato, sia da parte della Chiesa. Anche per questo, i frequenti inviti ufficiali a tenere lezioni e prolusioni, rivolti da istituzioni ecclesiastiche o da movimenti cattolici a vertici istituzionali o a rappresentanti di partito (tutti di una medesima tendenza politica) può dare l'impressione che si stia instaurando in Italia un neo-collateralismo mascherato».

Credo di capire: prolusione all'Università Lateranense di Casini, cardinale Ruini al fianco, e Fini invitato dall'Azione Cattolica all'incontro nazionale di Loreto, un anno fa. Ma dietro le maschere cosa c'è?
«È un dato che una certa borghesia, fino a ieri diffidente se non ostile alla Chiesa, adesso teorizza la necessità di una 'religione civile'. Alludo ai così detti 'atei devoti'. Ripeto: è positivo che oggi si riconosca l'importanza sociale della religione e il suo statuto pubblico. Ma c'è il rischio che i partiti e lo stato si servano della religione a fini politici e che la Chiesa, a sua volta, si serva della politica a fini religiosi. Sarebbe una forma nuova e più sofisticata della vecchia 'cristianità', quando il trono e l'altare, la croce e la spada, si sovrapponevano. Sarebbe uccidere la profezia della Chiesa e ridurre la religione a fenomeno culturale. Il Concilio Vaticano II ha definitivamente superato questa concezione strumentale dei rapporti tra Stato e Chiesa. La Chiesa - lo dice la costituzione Gaudium et spes - non pone la sua speranza nei privilegi che l'autorità civile può offrire; anzi, deve essere pronta a rinunciare anche all'esercizio dei diritti legittimamente acquisiti se, usandoli, dovesse perdere di credibilità».

Lei dice che l'Europa ha riconosciuto l'utilità sociale della religione: l'impressione suscitata dalle polemiche sul rifiuto di considerare nello statuto le radici cristiane del continente, fanno pensare il contrario...
«Era prevedibile che la citazione delle 'radici cristiane' non sarebbe entrata nell'articolato della costituzione, anche perché avrebbe potuto causare delicati conflitti interpretativi nel caso - per esempio - dell'ammissione in Europa di paesi di cultura e religione diversa - come la Turchia -. Il Preambolo, invece, essendo di natura storica e culturale, sembrava a molti il luogo adatto per ricordare l'influsso esercitato dal cristianesimo sulla nascita e la crescita dell'Europa e sulla sua civiltà, senza ciò negare l'apporto di altre culture, come quella ebraica, greco-romana, islamica, illuminista. Cancellare il cristianesimo dalla storia europea equivale a cancellare l' Europa. Ma nonostante il mancato richiamo esplicito le radici cristiane in realtà sono ben presenti nel trattato costituzionale. Infatti, i valori fondanti sui quali si basa l'Unione, elencati all'articolo 2 (dignità della persona umana, solidarietà, responsabilità sussidiaria) sono tutti di origine religiosa e cristiana, anche se ormai divenuti laici. La loro presenza nel Trattato vale molto più del riconoscimento formale delle radici cristiane».

Si è detto che la candidatura di Buttiglione alla Commissione europea sia stata respinta proprio per il suo insistere sulle radici cristiane. Lo stesso Buttiglione lo ha ripetuto tante volte lamentando che una presenza portatrice di valori cristiani non piaceva al laicismo di certi paesi. Davvero questo il motivo della bocciatura del ministro?
«Buttiglione non ha convinto con le sue risposte su diverse questioni la commissione esaminatrice. Per esempio: in tema di immigrati o di richiesta di asilo. Sul giudizio negativo della commissione ha pesato il fatto che Berlusconi non goda buona fama in Europa ed essere ministro del suo governo non ha certo giovato. Non si può escludere che le sue rigide dichiarazioni abbiano fatto il resto. Ma non è davvero il caso di farne un martire».

Quale significato dare alla decisione di papa Ratzinger di revocare la speciale autonomia concessa da Paolo VI ai francescani di Assisi nel 1969?
«La comunione ecclesiale è un bene fondamentale da salvaguardare sempre. È il comando del Signore. I carismi sono al servizio della Chiesa, non contro. Quando mettono in crisi l'Istituzione, in realtà la purificano e la fanno crescere. E viceversa. I 'no' dell'Istituzione purificano e rafforzano i carismi, anche quando fanno soffrire e riesce difficile capirli ed accettarli. Perchè da un lato non mi scandalizza la decisione del Papa e dall'altra i francescani hanno fatto bene ad obbedire. La profezia, quando è autentica, non si spegne con un decisioni amministrative. Piuttosto, accettandole, si ravviva».

Sono tornato dall'America Latina (continente che ospita la maggioranza dei cattolici del mondo) dove sacerdoti, vescovi, perfino qualche cardinale, confessano di soffrire la gestione romano - centrica di una Chiesa che non riconoscerebbe le realtà locali, e le emargina. È vero?
«La gestione romano-centrica si spiega con il primato affidato da Cristo a Pietro e ai suoi successori, e poi per il fatto che Roma è la sede dei papi. Una cosa, però, è il primato, un'altra il suo esercizio: centralismo romano, appunto. Il ministero dei successori di Pietro non fa del Papa il 'padrone' della Chiesa, ma 'il servo dei servi'. I vescovi non sono i rappresentanti del Papa, ma i successori degli apostoli. La richiesta di una maggiore collegialità episcopale non mette in discussione il primato, ma alcuni aspetti del modo di esercitarlo. Questo può cambiare, come ha detto Giovanni Paolo II. Papa Ratzinger, appena eletto, ha fatto capire che intende proseguire il discorso sull'esercizio del ministero di Pietro nel senso di riconoscere una maggiore corresponsabilità alle chiese locali. Aspettiamo un suo gesto concreto in questa direzione».

Bisogna dire che anche in America Latina la Chiesa si manifesta con approcci diversi nel rapporto coi fedeli: teologi della tradizione, teologi della liberazione. Semplificando: destra e sinistra. In Italia succede più o meno la stessa cosa. Ai sacerdoti che affrontano i problemi della società accanto alla gente, si contrappongono altri religiosi: sui giornali, in tv, libri e prediche, sostengono l'obbligo del buon cattolico di appoggiare le destre travestite da centro. Come spiega le tenerezze verso i potenti del momento ?
«A quanti rifuggono da un riformismo coraggioso e parlano dell'impegno politico dei cattolici in termini di 'moderatismo', chiedo semplicemente che studino la dottrina sociale della Chiesa. Nella Rerum Novarum di Leone XIII (pubblicata nel 1891) fino all'ultima enciclica sociale di Giovanni Paolo II, la Centesimus annus (1991), la dottrina sociale della Chiesa si è sempre dichiaratamente schierata per la solidarietà e in favore dei più deboli. Quindi agli antipodi del liberismo classico e del neo-liberismo odiermo. Come si può sostenere che i cattolici devono essere per definizione 'moderati'? La vocazione dei cattolici in politica non è affatto quella di formare l'ala 'moderata' dei diversi schieramenti. Lo stile cristiano di fare politica - è vero - comporta il rispetto dell'avversario e lo sforzo di capirne le giuste istanze rifiutando dei fare della politica l'assoluto; ma ciò non ha nulla a che vedere con il 'moderatismo' della politica conservatrice. Il Vangelo è esigente e 'rivoluzionario'. I cattolici in politica sono portatori di un modo riformista e solidale di intendere il servizio del bene comune: sempre attenti alle necessità dei meno favoriti, coerenti coi valori della fede e aperti alla collaborazione con tutte le forze del cambiamento. Pur rispettando il 'moderatismo' di chi milita in partiti conservatori di ispirazione neoliberista, una cosa però è certa: cento anni di dottrina sociale della Chiesa indicano chiaramente ai cattolici un cammino diverso».

Rodrigo Tomic, politico cattolico cileno, uno dei pochi a contrastare la morbidezza con la quale i compagni di partito in un primo tempo avevano accolto il colpo di stato del generale Pinochet, quasi sollevati dalla fine della «minaccia socialista» del governo Allende, ha scritto: «Quando si vince con la destra, è la destra che vince. Tra giustizia e ingiustizia non esiste il centro». Trent'anni dopo queste parole valgono per ogni paese?
«Mi permetterei di correggere la frase di Tomic. Più esattamente direi: quando si vince con chi non è profondamente democratico, vince sempre la dittatura (sia essa di destra o di sinistra). Pur essendo d'accordo che tra giustizia e ingiustizia non esiste il centro, tuttavia aggiungerei che tra l'una e l'altra esiste sempre la possibilità, anzi, il dovere, di lottare contro l'ingiustizia per far progredire la giustizia».

Guardando le foto in bianco e nero dei politici cattolici che hanno governato l'Italia, da De Gasperi a Moro, e guardando le foto a colori degli uomini oggi al potere, cattolici o cattolicanti, ha nostalgia del passato?
«Non del passato, ma degli uomini del passato. Ritengo ridicolo (oltre che offensivo per la loro memoria ) che qualche 'cattolicante' oggi osi dichiararsene erede».
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