breve di cronaca
Trasecolante Letizia
Diario.it - 28-10-2005
Martedì 25 ottobre erano seduti davanti a Montecitorio. Lei, dentro, raggiante assisteva all'approvazione della sua riforma scolastica. Gli studenti fuori protestavano e si beccavano pure qualche manganellata. Lei, dentro, proprio non capiva il motivo di tanto baccano

Il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti, madrina della riforma della scuola che è stata approvata martedì 25 ottobre a Montecitorio, da dentro il Palazzo assediato stupiva: "Non comprendo il motivo di tanto malcontento", "E' una riforma che non è stata capita".

Seduti per terra, davanti alla Camera dei deputati, alcuni rettori, docenti, ricercatori degli atenei di tutta Italia. C'erano gli studenti, quelli dell'università e quelli delle medie superiori. C'erano molti genitori di questi ultimi. E' la quasi totalità della scuola pubblica italiana a essere contraria alla riforma Moratti, con una compattezza che non si vedeva da anni.

Un primo motivo di protesta riguarda l'introduzione del precariato nel sistema della ricerca universitaria. Il nuovo ricercatore sarà solo a tempo determinato. I contratti avranno la tipologia "tre anni più tre". Per i 21 mila ricercatori di ruolo attualmente impiegati nelle università è previsto l'esaurimento entro il 2013, dopodiché potranno andare in pensione, oppure diventare professori associati (se supereranno il concorso), oppure ottenere l'ambiguo titolo di "professori aggregati". Ritorna il concorso unico nazionale per la docenza, abolito nel 1987.

L'Unione degli universitari (Udu) lamenta la riforma dei corsi di studio cosiddetta a "Y". Questa norma permette agli atenei di distinguere tra studenti di "eccellenza" e altri di "non eccellenza". Dopo i primi 60 crediti formativi (Cfu), comuni a tutti i corsi di laurea appartenenti a una stessa classe, gli studenti possono essere indirizzati su due percorsi di studio differenti, in base al loro curriculum. I più meritevoli seguiranno a quel punto un corso di studi più formativo, gli altri un percorso più orientato verso il mondo del lavoro. Sempre secondo l'Udu, questa riforma rende l'alta formazione sempre più un privilegio e non diritto.

Altro motivo di protesta è la riforma del ciclo secondario degli studi. A tredici anni lo studente dovrà scegliere tra il sistema del liceo e quello della formazione professionale. Per quest'ultimo è prevista la possibilità di alternare periodi di studio ad altri di lavoro.

L'accusa principale che gli studenti rivolgono questa riforma è di riportare la scuola italiana indietro di cinquant'anni, al tempo delle scuole ad avviamento professionale, al tempo in cui, cioè, in cui lo studio era considerato il privilegio di pochi fortunati. Per tutti gli altri, meglio non perdere tempo e partire subito con il lavoro.

Sui siti internet delle associazioni studentesche affiora la mappa di una protesta capillare, fatta di occupazioni, autogestioni, manifestazioni locali. C'è chi fa i complimenti per la buona riuscita di un'iniziativa: "Bravi ragazzi", "Mai visto un corteo così". C'è chi si lamenta della poca informazione sull'argomento e vorrebbe essere più informato. Alcuni si lamentano dei propri rappresentanti di istituto, che potrebbero fare di più. C'è chi dolcemente incita gli altri studenti: "Ribellatevi sempre", "Coinvolgere, coinvolgere e coinvolgere!", "Non date retta a chi vi dice che gli scioperi sono fatti solo per non andare a scuola, servono a qualcosa di più importante".

Ma non è solo la Riforma Moratti a essere motivo di scontro. Nel panorama dell'Università, la riforma Berlinguer (più nota attraverso la formula del 3+2), approvata durante la legislatura di centrosinistra, è oggi più che mai criticata. I promotori la descrivevano come un cambiamento studiato per avvicinare i corsi universitari italiani agli standard europei, attraverso una riduzione dei tempi di studio e un più veloce inserimento nel mondo del lavoro. Le associazioni studentesche denunciano in particolare il modo in cui i vari atenei hanno adottato la riforma Berlinguer. Le accuse sono svariate.

L'Università è considerata un mero "esamificio", il titolo triennale si è rivelato in molti casi insufficente per accedere al mondo del lavoro. A causa della frequenza obbligatoria che molti atenei impongono, dei blocchi d'accesso, delle rette più elevate, le lauree specialistiche sono diventate, secondo l'Udu e altre associazioni, delle lauree d'élite.

Resta da capire di cosa abbia bisogno, oggi, la scuola italiana. Una riforma che davvero funzioni? Forse studenti e professori, dopo decenni di status quo, sono stanchi di vivere sulla propria pelle un cambiamento a ogni legislatura. La Riforma Moratti è pessima e classista, ma bisogna riconoscere ogni volta che qualcuno ha messo mano al meccanismo dell'Istruzione italiana le polemiche sono scattate quasi automaticamente.

Se la protesta un giorno diventerà richiesta, allora forse la Scuola cambierà dal basso. Non per volontà di un ministro, come è successo finora. Volete che Letizia Moratti ne sappia più di studenti e professori?


Mario Bonaldi

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 Maurizio Tiriticco    - 30-10-2005
In tutte le nostre università è in atto la protesta contro la riforma Moratti sulle carriere universitarie. Il percorso che si propone a chi aspira all’insegnamento universitario è costruito in modo tale che chi vi si accinge non solo è costretto a superare via via defatiganti gradini, non solo rischia di perdersi per strada caso mai perdesse un passaggio, ma addirittura, quando dovesse giungere alla agognata cattedra a tempo… ovviamente indeterminato, avrebbe più di quaranta anni di età!
Mi domando: perché all’estero non è così? Perché in tanti Paesi si è in cattedra giovanissimi, si ricerca, si insegna, vi sono certezze per il futuro, finanziamenti adeguati! Possibile che solo da noi sia così difficile affrontare una carriera universitaria? Nessuno nega la difficoltà di una carriera di tutto rispetto… si tratta di costruire il fior fiore dell’intelligenza di un Paese, ma la difficoltà dovrebbe essere nel percorso culturale, in ciò che si chiede concretamente di produrre, non negli ostacoli formali – e sostanziali, purtroppo – che una legge cervellotica dispone.
E forse non è un caso che, mentre per l’università pubblica gli impedimenti ed i laccioli legislativi si fanno sempre più numerosi, non passa giorno che non si apra una nuova università privata… la cui credibilità scientifica non sempre ha il massimo della trasparenza!
Se sempre più difficile si fa il percorso per la docenza universitaria, analogo discorso sembra valere per la formazione della dirigenza scolastica e per la formazione iniziale degli insegnanti della scuola. Il corso concorso per la dirigenza, già avviato in questo scorcio di estate, non è assolutamente un percorso agevole. Ai candidati viene proposto un cammino lungo e complesso: il superamento di due prove scritte, il superamento di due colloqui, uno di gruppo ed uno individuale, un corso di formazione, un esame finale che consiste nel superamento di una prova scritta e di una prova orale. Alla fine c’è il bagnomaria dell’inserimento in una graduatoria alla quale l’amministrazione attingerà, ovviamente nei limiti dei posti vacanti, per l’assunzione a tempo indeterminato dei… superstiti!
E non c’è da stare allegri neanche per la formazione iniziale degli insegnanti e per il loro reclutamento. Il decreto legislativo recentemente approvato in via definitiva dà vita ad un percorso lungo e non privo di ostacoli. Vediamo concretamente il processo che il decreto prevede.
I percorsi di formazione dei docenti che opereranno nelle scuole dell’infanzia, in quella del primo e in quella del secondo ciclo di istruzione e formazione, pur se necessariamente diversi nei contenuti e negli obiettivi, sono di pari durata e considerati di pari dignità. Tali percorsi si svolgeranno nei corsi di laurea magistrale istituiti dalle università (secondo le formule 3+2 o 1+ 4 od altre) oppure – nel caso in cui le materie di insegnamento riguardino attività artistiche e musicali – nei corsi istituiti dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. In ogni caso i percorsi hanno sempre una durata quinquennale.
“La formazione iniziale e permanente dei docenti è finalizzata a valorizzare l’attitudine all’insegnamento e la professionalità docente che si esplica nella competenza disciplinare e didattica, nella capacità di relazionarsi con tutte le componenti dell’istituzione scolastica e nel rispetto dei principi deontologici” (art. 1c. 2).
“Il percorso di formazione iniziale dei docenti è affidato alle università e alle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, che a tal fine si raccordano con le istituzioni di istruzione e formazione, ed è preordinato al conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento” (art. 1, c. 4).
Emergono due problemi: il rapporto che corre tra contenuti (e obiettivi) disciplinari e contenuti (e obiettivi) professionalizzanti; la natura del rapporto tra le università, o le istituzioni di alta formazione, e le scuole. Il tutto viene rimesso a successive decretazioni del Miur, ma… non sarà cosa facile ritrovare un produttivo bilanciamento tra competenze disciplinari, pluridisciplinari, professionalizzanti; né sarà facile assegnare alle istituzioni scolastiche ruoli e funzioni che non siano subalterni alle scelte operate dalle università.
I corsi di formazione iniziale saranno a numero programmato in ordine al numero dei posti che si prevederà di coprire per concorso nelle scuole statali. Pertanto gli accessi ai corsi saranno possibili previo superamento di prove selettive indette in ambito regionale. Il percorso formativo sarà accompagnato e sostenuto da attività didattiche, comprensive di laboratori e attività di tirocinio.
La laurea magistrale, o il diploma di secondo livello, di competenza delle istituzioni di alta formazione, si conseguono, previa valutazione positiva del tirocinio, con la discussione della tesi e il superamento di un esame di Stato abilitante. Ci saranno apposite prove da definire con decreti del Miur.
I docenti abilitati saranno iscritti in un albo regionale. L’ufficio scolastico regionale assegnerà i docenti alle scuole sulla base delle necessità espresse dalle scuole medesime. Il dirigente scolastico stipula con il docente un contratto di inserimento formativo a tempo determinato. Si tratta di un contratto sui generis, nuovo e tipico del comparto scolastico.
Il docente svolge un anno di applicazione nella scuola sotto la supervisione di un tutor. Compiuto l’anno di applicazione, il docente abilitato discute con il comitato di valutazione del servizio (di cui all’art. 11 del Testo Unico del ‘94) una relazione sulle esperienze effettuate. La discussione si conclude con la formulazione di un giudizio e l’attribuzione di un punteggio.
Ai fini dell’accesso al ruolo organico, il Miur bandisce un concorso per titoli ed esami sulla base del 50% dei posti disponibili, considerando che l’altro 50% è riservato ai docenti iscritti nella graduatorie permanenti. Molto probabilmente i concorsi avranno luogo su base regionale.
Il percorso che un giovane dovrà effettuare è così complicato che… guai a perdere un solo passaggio! Il rischio è che questi ottenga un posto a tempo indeterminato solo dopo un defatigante e lungo cammino che non durerà meno di sei o sette anni!
E’ ovvio che, a fronte della formazione iniziale e del reclutamento attuali, che creano solo anni e anni di precariato, la formula tracciata dal decreto dovrebbe ridurre drasticamente (sic?) il precariato. Però… le maestre di un tempo cominciavano a insegnare a 18 anni, quelle di domani, se tutto va bene, a 27 o a 28!? E’ drammatico: in una società che richiede che lavorino teste sempre più giovani e ben fatte, la scuola, la nostra scuola, sembra proprio costituire un’eccezione!
Avremo docenti e dirigenti… di primo pelo, sì, ma alle soglie della vecchiaia? Che vi sia un sotterraneo disegno di scoraggiare le “vocazioni” all’insegnamento? Del resto, in un Paese in cui la maggioranza di governo sembra avere la scuola… in gran dispitto, per dirla con il poeta, ogni sospetto è legittimo. In un Paese in cui il liceo classico, per decreto, costituisce come sempre il massimo dell’offerta formativa per un giovane, a fronte di altri percorsi che, uno dopo l’altro, B, C, D, ecc. si impoveriscono sempre più di obiettivi e di contenuti, fino a legittimare una formazione professionale di serie Zeta, che cosa c’è da aspettarsi? Vengono creati percorsi di formazione per docenti universitari, dirigenti e docenti scolastici così complicati e defatiganti che solo pochi coraggiosi amanti dell’avventura potranno superare. Saranno pochi eletti per una scuola per pochi eletti!
E’ il disegno del governo di centro-destra!
Vi è un altro discorso, più tecnico che politico. Vi sarà una reale garanzia circa una oculata programmazione dei posti? Avanzo i miei dubbi! A tutt’oggi, il nostro governo si è dimostrato assolutamente incapace di progettare a lungo termine in ogni campo: dalle Grandi opere fallite alle Finanziarie preparate in pochi giorni da ministri creativi, contrattate a livelli di bassissimo profilo, tra ricatti e minacce di voti contrari!
In un mondo sempre più difficile, in cui la globalizzazione non riguarda solo lo spazio geografico, ma anche e soprattutto il tempo futuro, pensare alla grande, progettare e programmare con prospettive di lunga durata sarebbe assolutamente necessario, ma così non è! Una maggioranza che ha occhio solo per le tante Cirami non può avere occhi per progettare il futuro. La gravità della situazione è sotto gli occhi di tutti!
E’ per questo insieme di ragioni che, in primo luogo, vi è l’assoluta necessità di una svolta politica radicale! Solo allora il sistema di istruzione e i suoi addetti potranno veramente ringiovanire per costituire una effettiva ed efficace risorsa!
Se non è una certezza, è una sfida!