L'ultima classifica sulla libertà di stampa appena pubblicata da Rsf vede l'Italia al 42° posto. Gli Stati Uniti dietro
Che la libertà di stampa in Italia abbia conosciuto momenti migliori, i più sensibili questo problema l'hanno percepito già da qualche anno. Del resto era stato tutto ampiamente previsto: il controllo diretto o indiretto della maggior parte dei canali televisivi e delle relative risorse pubblicitarie da parte di un solo gruppo finanziario, che ha anche una posizione di forza nella carta stampata e si lega oltretutto al governo del paese, si sa, non aiuta il pluralismo dell'informazione. Ma
ritrovarsi al 42° posto, dietro il Costa Rica, nella quarta classifica mondiale sulla libertà di stampa appena resa nota da Reporters sans frontières, è una cosa che sorprende anche i più pessimisti.
Ai primi posti l'Europa del Nord. Ci si può in parte consolare scoprendo che gli Stati Uniti sono scesi nell'ultimo anno di oltre venti posti, finendo due lunghezze dopo di noi, soprattutto a causa
dell'arresto di Judith Miller, giornalista del New York Times, e degli interventi giudiziari che hanno messo a dura prova la tutela della segretezza delle fonti d'informazione. Un problema che ha fatto perdere qualche posto anche al Canada (21°), dove i provvedimenti che indeboliscono la protezione delle fonti finiscono per trasformare talvolta i giornalisti in collaboratori della giustizia. Fra le democrazie occidentali figura in regresso anche la Francia (30°), a causa delle perquisizioni nelle sedi degli organi di informazione, dell'accentuato controllo sull'operato dei giornalisti e della creazione di una lista di nuovi reati a mezzo stampa. Sono in compenso europei i primi dieci paesi in classifica.
Al primo posto troviamo la Danimarca, seguita da Finlandia, Irlanda, Islanda, Norvegia, Olanda, Svizzera, Slovacchia, Repubblica Ceca, Slovenia. Il primato del continente australiano e dell'America latina spetta rispettivamente alla Nuova Zelanda e a Trinidad & Tobago, al 12° posto a parimerito, mentre in Africa primeggia il Bénin (25°) e in Asia la Corea del Sud (34°).
In Asia i maggiori problemi. Agli ultimi tre posti ci sono la Corea del Nord (167°), l'Eritrea (166°) e il Turkmenistan (165°), nei quali, per l'assenza di organi d'informazione privati, la libertà di espressione è praticamente nulla. I giornalisti della stampa ufficiale si limitano a divulgare la propaganda di regime e ogni tentativo di deroga è severamente represso. Basta una parola di troppo, un commento leggermente difforme dalla linea stabilita o magari soltanto un nome scritto male per finire in galera o essere travolti da una spirale di pressioni psicologiche, intimidazioni e controlli permanenti da parte del potere. In linea generale si può dire che il continente dove è più difficile l'esercizio della libertà di stampa sembra oggi quello asiatico, sia nella parte orientale, dove spiccano per demerito Birmania, Cina, Vietnam e Laos, sia in quella centrale (Turkmenistan, Uzbekistan, Afghanistan e Kazakhstan) e nel Medio Oriente soprattutto Iran, Irak, Arabia Saudita e Siria). In questi paesi, infatti, la repressione governativa oppure la violenza dei gruppi armati impediscono la libera espressione degli organi d'informazione. Per quanto riguarda in particolare l'Irak, dall'inizio di quest'anno sono stati uccisi almeno 24 professionisti dell'informazione, mentre dall'inizio della guerra, nel marzo del 2003, le vittime sono in tutto 72.
Qualche sorpresa positiva arriva invece dall'Africa e dall'America latina: fra il 25° e il 45° posto troviamo infatti, oltre al Bénin e al Costa Rica, la Namibia, il Salvador, Capoverde, Mauritius, il Mali e la Bolivia.
Sergio Lotti