Lo sguardo altrove. Preistoria di un giornale
Giulia Gamba - 13-10-2005

Nessuno cerchi un significato ulteriore per questo titolo e l'immagine che suggerisce.
Almeno per ora immaginate semplicemente uno sguardo di studente distratto.
Un bambino che lascia fuggire i suoi occhi lontano dal simulacro
di una maestra ormai dai contorni sfuocati e dalla voce indefinita. Non ancora sogno, ma disagio.
Non carico di progetto, ma certo di un rifiuto e di un bisogno, anche se disarticolati. E ora che l'avete immaginato, questo sguardo, questo bambino, provate a non pensare solo che "poverino, bisogna capirlo" o, al contrario, che "la scuola sta andando a rotoli" e "non vige più la disciplina di un tempo".

È un progetto nascente quello di un giornale che parli di questo sguardo e lo faccia prima di tuuto "essendolo".
Due occhi disorientati a cui si cerca di dare un senso, una direzione, appunto, quella di righe, colonne, carta stampata. Verso dove? Il titolo recita un dove altro da qui e ci indica subito un confine, un limite che si interpone tra il "qui" di chi guarda e il là dove è rivolto.un luogo un po' vago, solo un nome. Prima della meta, prima ancora di un percorso definito, questa preistoria si gioca sull'intreccio di movimenti e progetti ricchi quanto contraddittori.
Diamoci un punto interrogativo di partenza: perché la scuola spinge a volgere così fisso lo sguardo fuori dai suoi tempi e dai suoi spazi? Le sue mura possono essere una cortina di ferro, che fa entrare troppo poco mondo. Anche quando una classe ne è geograficamente e biologicamente piena, ognuno con la sua esperienza, si rischia di contenerlo, arginando questo groviglio di terre e storie e considerandolo spesso solo come una causa di " rallentamenti" o come una menomazione che richiede un "sostegno".
E attingendo metafore e immagini dalla distrazione scolastica si può fare delle pagine di scintilla aereoplani di carta che partano a legare questo mondo alla scuola, creando un gioco di "osmosi" proprio attraverso i suoi muri e le sue finestre.
Una scuola che si pone all'ascolto del mondo e non lo lasci soltanto ronzare fuori dalle sue finestre mal sopportandone le fastidiose intrusioni, implica un lasciarsi pungere, catturare da parole, eventi, persone.
E' un'antidoto contro l'autoreferenzialità, molto pericolosa per la scuola, del decidere da sé le domande prima di porsele.
Anche per questo il giornale, parlando della scuola, pensandone al tempo una o un milione possibili, non nasce e non si alimenta da sé, ma accoglie un'eredità, un testamento che si potrebbe qui simbolicamente identificare con l'azione di don Milani e gli scritti di Domenico Starnone.
Tra il milione di scuole possibili c'è anche quella di Barbiana, che lo è stata concretamente una possibilità, un'alternativa. Non la migliore, forse nemmeno auspicabile, ma non per questo archiviabile come esperienza sepolta. Può invece essere ancora interrogata, spiata nei suoi spazi e angoli ancora poco illuminati perché dibattuti,in quanto quello che conosciamo in modo più immediato del progetto di don Milani ci convince della sua forza, nonostante i dubbi, le crepe, gli anacronismi.
Se accanto a "Lettera a un aprofessoressa" si prendono i testi di Starnone riconducibili ad una sorta di diario di guerra di un insegnante ecco che sembra inopportuno e quasi ridicolo parlare di testamento. E' la nostra scuola, descritta in "Fuori registro" e "Solo se interrogato", esattamente la stessa istituzione, con le medesime comtraddizioni.
E Starnone appare un antieroe del ventunesimo secolo in questi racconti di insegnante un po' "contro", ma anche stanco, adagiato sui meccanismi sedimentati dell'istruzione superiore, abituato alle "nuove generazioni", proprio a questa etichetta data da chi guarda i ragazzi di oggi e si è forse dimenticato di essere stato precisamente come loro.
Eppure alcuni passi sembrano la descrizione così precise della tua quotidianità scolastica che quasi temi di essere spiato.E non puoi rinunciare a guardarti studente, così come lui si guarda insegnante, con un po' di severità e un po' di indulgenza. E l'eredità è fatta di uno specchio e di una sonora e amara risata.
Da qui la materia può prendere un po' forma, lo sguardo disorientato guadagna lucidità.
Da qui si inizia a scrivere davvero una storia, dopo questa preistoria un po' confusa, quasi un'era geologica in cui si sono stratificati significati e spessori che non si perderanno e non perderanno, speriamo, il loro senso erosi dall'incapacità, mai superata ma altrettanto mai insuperabile, di volgere lo sguardo altrove.


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