Sciogliendo i fili della maschera
Ilaria Bernocchi - 01-10-2005


Lui sta salendo la scalinata della scuola in una mattinata di fine settembre, in cui il sole illumina blandamente il grigiore del marciapiede.
Lo zaino gli pesa sulle spalle, carico di volumi che nel corso della lezione risulteranno quasi inutili, sostituiti dalle lunghe spiegazioni degli insegnanti.
Inutili, ma guai a non esibirli: fanno parte di quei vuoti rituali di cui spesso la scuola si serve: appoggiare compitamente il tomo sul bordo del banco, cercare la pagina giusta, aprire il blocco appunti e poi perdersi pure nei propri pensieri. Basta poco, dopotutto, per far contenti certi insegnanti e questo Lui lo sa bene.
Lui non è un allievo qualunque: è L'Allievo. In quello strano ecosistema chiamato classe, fatto di sudore e lucidalabbra alla ciliegia, di carta e odore d'inchiostro, di sguardi amici e voci nemiche, Lui è La Scienza. Non ricorda più chi gli abbia affibbiato questo nomignolo, ma che importa: ormai è stato deciso, la sua parte è questa, e deve studiarsi bene le battute. Gli ritorna in mente Pirandello, ognuno di noi è indefinito e l'unico modo per relazionarsi è indossare una maschera. Questa è la sua. Una bella maschera, certo, sempre sorridente, sfumata di umiltà, disponibile e pronta ad esibire intelligenza e studio.

L'Altro è stato più sfortunato: la sua è una maschera tragica. La bocca ostinatamente serrata durante le interrogazioni, le guance spesso rosse di vergogna e umiliazione, le mani torte nervosamente, la testa bassa, gli occhi facili a inumidirsi di lacrime. L'Altro se ne sta rannicchiato nel banco in ultima fila, chino sui fogli e timoroso di intervenire quando l'insegnante chiede. Anche quando studia. Perché, nonostante la bocca chiusa, L'Altro studia: studia in cucina, mentre la madre prepara il sugo e ogni tanto lo interroga, senza capire né le domande né le risposte, perché lei la fortuna di andare a scuola non l'ha avuta. Ma davanti all'insegnante non c'è niente da fare, i pensieri svaniscono, le parole si accavallano confusamente in bocca, le guance diventano calde di rabbia e frustrazione trattenute. Meglio tacere e incassare, ancora una volta.

Arriverà poi il turno del Bischero. Ma tanto lui se ne frega. La sua è una maschera dai tratti duri, la bocca curvata in un sorrisetto strafottente, la schiena mai aderente alla sedia, le gambe allungate sotto il banco, i libri in disordine, la voce sempre troppo alta e il cellulare occultato non troppo bene nell'astuccio.

Tutti e tre ogni mattina (per Il Bischero almeno una mattina su due) timbrano regolarmente il loro cartellino all'entrata di scuola, ripassano veloci le battute e si preparano ad entrare in scena: il pubblico si aspetta la solita pièce, se si scambiassero i ruoli tutto andrebbe a rotoli, e chi li capirebbe più questi benedetti ragazzi? Ma le maschere prudono, tutte e tre allo stesso modo, e a tutti e tre verrebbe voglia di togliersele e gettarle via: Lui vorrebbe poter stare con gli amici senza sentire il peso della propria bravura, senza doversene quasi vergognare, perché a volte certi pozzi di scienza si comportano da carogne, è vero, le loro maniere ossequiose li rendono sgradevoli, è vero, ma spesso sono solo intimiditi e terrorizzati all'idea di restare soli, con i loro quaderni ordinati e i loro dieci firmati e controfirmati. Non fanno altro che cercare di sopravvivere nella scuola, come tutti gli altri, e pagano il prezzo della loro bravura con l'emarginazione ingiusta dei compagni, spesso incapaci di andare sotto la scorza.

L'Altro vorrebbe finalmente poter dimostrare di avere studiato, vorrebbe poter sputare addosso a quelli che lo guardano con commiserazione, insegnanti compresi, bisbigliando ipocritamente che "poverino, rischia una bacata". Vorrebbe essere lodato e non dare più dispiaceri a casa, dove dopo ogni colloquio con l'insegnante, che si ostina a parlare di "scarso impegno" e di "ulteriore esercizio", scoppia inevitabilmente una bufera.

Il Bischero ogni tanto vorrebbe poter mostrare un po' di interesse per lo studio, qualche lezione gli è anche piaciuta, tipo quella sui due innamorati che stavano all'Inferno, perché avevano messo due corna d'alce al marito di lei. Qualche domanda gli era anche venuta in testa, tipo: perché invece di soffrire per l'eternità non erano fuggiti lontano? Ma forse all'epoca di Dante la gente non era tanto furba, e poi tutti riderebbero se lo chiedesse.

A volte ci hanno provato le maschere a mostrare i loro occhi, quelli veri, al pubblico in sala: quando in classe è arrivata Lei. Timidamente hanno sciolto fili: Lui le ha proposto un cinema, L'Altro le ha regalato un libriccino di poesie (quante volte Prévert è venuto in soccorso agli innamorati?), Il Bischero ha provato a comporre una frase che suonasse romantica, con lo sperpero di rose, primavere e stelle che è tipico dei poeti alle prime armi. Ma appena sono saliti sul palcoscenico il pubblico ha riso sguaiatamente, si è divincolato sulla poltrona di velluto rosso e i tre non ce l'hanno fatta: una ripetizione troppo pedestre della lezione di letteratura, un singhiozzo al momento sbagliato, il suono del cellulare traditore, il gesso si è nuovamente impossessato dei loro lineamenti.
Lui arriva in cima alle scale, Il Bischero si sta facendo l'ultima sigaretta e L'Altro sta ripassando la lezione, perché "oggi lo catta in fisica sicuro". Tanto è inutile, si ripeterà la solita scena muta.
Lui si gira verso la strada e, per un istante, vorrebbe scappare lontano.

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 musica    - 02-12-2005
non mi piace

 tiziana    - 25-09-2007
Mi piace molto...soprattutto mi interessa la parte del Bischero.
Non so se ritrovarci me stessa o il mio innamorato.
Ma perche' dobbiamo portare delle maschere inutili?
non potremmo essere noi stessi...e' difficile...vero?
un saluto
tiziana