Il domani: un affare di città
Chiara Loda - 26-09-2005


Voci assonnate.
Qualcuno con la musica nelle orecchie.
Il gelo pungente delle cinque e cinquanta ad ottobre inoltrato.
E poi la corriera, a volte un po' in anticipo altre lievemente in ritardo.
Sono i ragazzi di S.Demetrio che, come ogni mattina, aspettano l'autobus per arrivare in città, quindi a scuola. Si arriva alle 7.10 per entrare alle 8.00. Col pullman delle sette riuscirebbero ad essere lì per le 8.10 ma il vice-preside ha detto no: l'istituzione ha determinate regole e non si fanno eccezioni per far poltrire "certa gente" più a lungo. Del resto lui "i paesani" non li ama in particolar modo: tra loro, e spesso anche con gli altri, parlano in dialetto strettissimo, fanno gazzarra nel cortile di prima mattina e poi, i loro genitori, chi li ha mai visti a qualche riunione? E neppure sono così diligenti, visto che lunedì (giorno dell'interrogazione-consegna del tema-compito in classe-etc.) sono bloccati dalla neve o da cataclismi vari, martedì c'è lo sciopero dei mezzi e per mercoledì ne hanno inventate un altro paio per proseguire il supplemento di feste. Ma a tutto c'è rimedio: un quattro a destra, una nota a manca e a giugno il motto è "bocciare il bocciabile".
Del resto lì a S.Demetrio di "sfaticati"ce ne sono tanti. E così, magari dopo un anno perso, andranno ad arricchire qualche "diplomificio", che in questo periodo sono più numerosi che mai, oppure smetteranno, tanto qualcosa da fare si trova sempre. Meglio ancora se al paese, tra novecentoquarantasette anime, piccole imprese di costruzione, la cava di marmo ad un tiro di schioppo e, opportunità soprattutto per i fanciulli, una firma nell'esercito e la pappa è assicurata. Una vita tranquilla: di giorno al lavoro, la sera al bar o, se c'è da festeggiare, tutti in pizzeria a parlare del cappello di Melissa, che sembra un gatto morto o di Stefano che per la centesima volta è caduto dalla moto, ovviamente senza possedere una patente né, soprattutto, l'età per ottenerla. E lasciate, per piacere, che gli altri facciano gli ingegneri, gli astronauti e le prime ballerine alla Scala: se non siete del tutto idioti l'avrete capito che idonei agli studi o ci si nasce o è meglio lasciar perdere. Certo che a S.Demetrio sono in tanti i cretini che non riescono a scuola. Chissà, forse lì, attraverso l'acqua o il cibo, passa il virus della "non-voglia-di-lavorare". O forse è un problema genetico a cui non si è ancora trovato rimedio.
Torno indietro nel tempo, esattamente nell'ufficio del poco comprensivo vice-preside. Ma la sedia si gira e al suo posto c'è un'altra persona. Qualcuno che capisce che la scuola non è uguale per tutti, perché Francesco, che abita dietro l'angolo ed è figlio di un ragioniere e di una maestra, e Alessandro, cittadino di S.Demetrio con genitori muratori non sono e non si può far finta che siano la stessa persona. E la scuola, l'istituzione, non dovrebbe avere un occhio di riguardo per quello più svantaggiato? Se ciò non accade, l'imputazione è grave: disillusione di minore. Ed è triste che nel 2005 questo crimine sia ancora socialmente accettato, ossia che un quattordicenne, spesso per fattori ambientali (non ci vuole una mente superiore per capire che il clima culturale di città sia più stimolante di quello di paese), non trovi nella scuola un luogo per sviluppare le sue vere potenzialità. Ricordo il brano "Il preferito", tratto da "Lettera ad una professoressa" di don Milani: si dice che lì, alla scuola di Barbiana, la disciplina era assai dura ma che l'ultimo della classe, quello che di solito veniva relegato all'ultimo banco, veniva circondato di attenzioni e il programma della classe si fermava fino a che anche lui non fosse riuscito ad apprendere. Faccio notare che questo libro risale agli anni sessanta, ma si vede che, affinché alcuni concetti prendano piede, si necessitano tempi molto dilatati. O forse, insinuo con una punta di delusione, sono gli insegnanti che preferiscono arrivare alla fine del programma e portarsi dietro l'anno dopo solo chi raggiunge senza sforzi la sufficienza, lasciando al palo con tanti saluti i più bisognosi. E qualcuno adesso potrebbe obbiettare: bisognosi proprio per niente, visto che a S.Demetrio (come in tante altre migliaia di paesini isolati) non esistono appartamenti bensì ville, molti hanno investimenti immobiliari e conti in banca fiorenti e svolgono tutti le loro attività, chi in modo onesto chi meno (lampante il caso di un agriturismo costruito coi fondi della regione e, grazie ad una truffa, mai aperto). Che ambiente piacevole, una società priva di cultura e dedita all'accumulo, dove a nessuno viene in mente di
concedersi un viaggio o un corso di storia dell'arte, ma solo di guadagnare ed ostentare "roba". E così vedi sfilare al bar ragazzi di sedici o diciassette anni che indossano tre stipendi di un operaio, cellulare escluso, e non si sono mai allontanati di duecento chilometri dal loro paesino, assecondando la logica del "tanto si sta tanto bene a casa, a che serve andare a spasso?".
L'unico momento nella vita in cui ci si concede un bel viaggio sono le nozze, perché se prima la gara a "chi sposa meglio" i figli si limitava al costo dell'abito da sposa, al numero degli invitati al ristorante e alla durata dei fuochi d'artificio, adesso il parametro aggiunto sono i chilometri di lontananza e i giorni d'assenza (alla faccia di due cuori ed una capanna).
Di chi è la colpa di questa situazione? Dell'ignoranza dilagante, mi risponderebbero con viso afflitto presidi e docenti.
Bene, cari i miei benpensanti, questa società è costituita dai ragazzi "di paese" che trovavate molesti, che non vi siete fatti nessuno scrupolo a bocciare ritenendoli più adatti a zappare o ai diplomifici, i genitori di questi sono i ragazzi degli anni sessanta che la scuola a loro tempo ha respinto e che adesso sono privi di mezzi culturali, non certo perché "sono nati male" ma a causa della scarsa attenzione e dell'insensibilità di "qualcuno". Ed è inutile mettere la testa sotto la sabbia e dire "non è colpa mia, sono stati vari fattori, io non ho potuto agire altrimenti". Se fate o avete fatto parte della catena che ha portato a questo risultato siete colpevoli, senza attenuanti.
Anche Alessandro, il figlio del muratore, è stato bocciato e a scuola non ci vuole più tornare. Si è stancato di orari impossibili e della professoressa che lo guardava schifata ogni volta che diceva per sbaglio una parola in dialetto senza comprendere che, se quella è la lingua che parli in casa, è impossibile non confonderti ogni tanto. Non ce la fa più a sentirsi il "paesano" di turno e ha deciso di ritirarsi.
Questa è una storia, per qualcuno nuova e per qualcun altro sentita troppo spesso. Magari c'è chi si immedesimerà nei ragazzi di S.Demetrio e vedrà questa istituzione scolastica che non facilita i ragazzi che da un lato hanno difficoltà a raggiungere l'istituto e dall'altra vengono da contesti socio-familiari di bassa istruzione. Un ragazzo che non viene stimolato, incoraggiato ad intraprendere sempre nuove mete è destinato, nella maggior parte dei casi, ad accontentarsi di quello che c'è, a guardare il suo piccolo interesse, senza mai domandarsi " Che cosa c'è dopo l'orizzonte?".
Ma perché la scuola, che non dovrebbe essere il festival del nozionismo bensì il posto dove si sviluppa una coscienza socio-politico-culturale di cittadino attivo, non gli ha insegnato a guardare oltre?



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