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Vizi e difetti di casa nostra
Repubblica Bari - 19-09-2005
La più antica e diffusa specialità degli italiani brava gente

Ma come siamo abili a scambiare vizi e virtù

Basta salire a bordo di un treno e, durante la monotonia del viaggio, assistere impassibili alla retorica di quei discorsi fini a se stessi

«Credo che il difetto maggiore degli Italiani sia quello di parlare sempre dei loro difetti». È una pensosa opinione di Flaiano. Se gli scompartimenti dei treni di tutta la rete ferroviaria italiana potessero parlare, renderebbero testimonianza di interminabili e monotone conversazioni che danno ragione a questa constatazione. Ci rifletto da tempo e sento di condividerla quasi del tutto. Ma ho capito solo da poco la ragione di quel «quasi». È vero: noi italiani e noi meridionali, segnatamente, parliamo assai, troppo, dei nostri difetti, istilliamo compatimento sorridente negli stranieri che ci ascoltano e vedono lamentarci e strapparci le vesti od ogni buona occasione con meticolosità e voluttà autofustigatrice. E dei nostri guai rintracciamo cause e origini nella nostra natura fallacissima e avariata che sembrerebbe avocare a sé le disgrazie. Insomma, per dirla chiara «ce le chiamiamo». E, quindi sono quasi del tutto d´accordo con Flaiano. Quasi. Perché si aggiunge a questo difetto ingente quello ancora più antipatico, sul quale il genio indagatore di Flaiano non si sofferma, dell´accontentarci di magnificare i nostri difetti, tanto da renderli simpatici.

Qualche vigile e più pensosa anima si spinge fino a vituperarli sconsolatamente come si fa con avarie fisiche o naturali irrisolvibili. Si invoca la fatalità per restare con le mani in mano. Le chiacchiere cominciano sempre col funesto incipit: «Noi italiani siamo fatti così». Seguono profluvi di aria fritta e fine della conversazione. Stazione di Foggia. Per Spinazzola si cambia. Scesi dal treno dei luoghi comuni, ci si aspetterebbe dai viaggiatori della retorica, un poco di solerzia e di immaginazione per dar di piglio almeno a un difetto, ad un errore, ad un malfunzionamento. E riparare, aggiustare, provvedere. E invece niente. Niente di niente. C´è, quindi, come dicevo, un difetto peggiore di quello individuato negli italiani da Flaiano ed è quello di considerare chiusa la partita sfogandosi con la constatazione indignata, con la ragionevole riflessione, con la lamentazione. Anzi, un difetto aziona e spiega l´altro, quello dell´arrendersi inoperosi. Questa lunga premessa è premessa ad una riflessione.

La bella stagione è bella e andata e, con i rigori autunno-inverno, non i rigori della minacciosa finanziaria, ma quelli fisici, meteorologici, geologici, si sta in ansia per il nostro territorio che, poi, è il Bel Paese, landa particolarmente bella del pianeta. Tutto andrà benissimo e alacremente lo difenderemo. D´accordo. Ma, Dio non voglia, dovesse arrivare un acquazzone particolarmente violento, spero ci vengano risparmiate le resipiscenze che sono peggio dei guai. Meglio dirlo prima, meglio ancora, invece, dei guai. Quello che è insopportabile è il coro di critiche al "non fatto", al "non deciso", al "non speso", al "non organizzato" con l´inevitabile accompagnamento di ovvie melensaggini giornalistiche e di atteggiamenti irresponsabili di "quelli che".

L´appassionante esercizio dello scaricabarile, specialità tutta italiana, contempla virtuosismi da guinness. Come se nessuno sapesse nomi, cognomi e indirizzi. Come se nessuno sapesse chi, perché, con quali metodi ripugnanti e con quali scopi abbia massacrato il territorio, disboscato selvaggiamente, cementificato le coste, cambiato le colture, lordato per sempre i fiumi. Come se nessuno sapesse che sono loro i colpevoli di certe sciagure e che hanno nomi, cognomi, recapiti e appartenenze politiche. Nelle chiacchiere a bordo del lentissimo treno del Sud nessuno menziona le responsabilità di chi costruisce sull´acqua, sul fango, sulle pendici franose. E questo vada detto dentro e fuor di metafora. Nessuno ricorda le colpe di chi si arrangia lucrando l´arraffabile e infischiandosi dei rischi, pretendendo di costruire, sopraelevare, sbancare dove dovrebbero essere alberi e pietre. Il più sordido degli egoismi particolaristici ha prodotto la cultura perversa della ricorsa al benessere consumistico più variopinto e dissennato ai danni della cosa e della vita pubblica. È un mascalzone chi lottizza le pendici di un monte franoso, ma è altrettanto colpevole chi accetta di comprare, poi, la palazzina e di andarvi ad abitare. Salvo, poi, a prendersela con lo Stato che non glielo ha impedito. Stato che, naturalmente, ha le sue colpe. Ma non tutte. La sorte e gli eterni difetti degli italiani c´entrano poco.

Michele Mirabella
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