Con il Governo Amato del 1992 e successivamente con con quello Dini ci si è avviati verso la privatizzazione della previdenza pubblica tant'è che si è pure pronosticato la fine della previdenza pubblica tra il 2008-ed il 2010 . Oggi il Governo Berlusconi vuole dare il colpo di grazia alla previdenza pubblica avviata come abbiamo detto nel 1995 il tutto con il beneplacito dei sindacati complici di questo scippo ai danni dei lavoratori.
Nei prossimi mesi si definiranno non solo l'assetto del nostro sistema previdenziale, ma avranno conseguenze di rilievo per l'intero sistema economico.
Si tratta dunque di una questione rilevante, anche ai fini del programma del nuovo governo che verrà dopo le elezioni del 2006
Pochi giorni fa, con l'annuncio di Maroni dello slittamento a settembre - ad un mese dal termine ultimo fissato nella legge delega - del decreto sul trasferimento del TFR ai Fondi pensione e dell'avvio della procedura del silenzio/assenso a gennaio 2006, si apre una fase importante e decisiva per tutti coloro che non intendono rassegnarsi a questo furto con destrezza perpetrato ai danni dei lavoratori e ideato dal governo di centro-destra per ingrassare la speculazione finanziaria attraverso l'avvio forzoso della cosiddetta previdenza integrativa.
I tempi, per il governo e per i lupi di ogni sorta che si aggirano famelici intorno ad una torta calcolata nell'ordine dei dieci miliardi di euro, sono sempre più stretti e la possibilità che la delega salti - anche per le difficoltà economiche del Paese (da dove tireranno fuori le risorse per gli incentivi di compensazione alle imprese chiamate a rinunciare al finanziamento a tasso iper- agevolato costituito dal TFR?) - diviene una possibilità da non scartare.
E' in questi mesi che si rende allora necessaria una forte azione che, svelando i reali giochi in atto, faccia montare l'opposizione sociale, prima al varo del decreto e poi, se mai il decreto verrà pubblicato, al trasferimento del TFR nel Fondi.
Preliminarmente a ciò e perché una qualunque campagna possa essere realmente incisiva occorre però fare chiarezza sulle mistificazioni insite nella stessa terminologia adottata per far passare nelle coscienze delle persone l'intera operazione.
Si dice che per recuperare il taglio delle pensioni pubbliche diviene necessario avviare la "seconda gamba" previdenziale costituita dai Fondi pensione e che il sacrificio del TFR è indispensabile per garantire ai futuri pensionati una pensione integrativa.
I Fondi pensione però, a dispetto del nome, non erogano alcuna pensione. I Fondi pensione accumulano semplicemente il capitale versato dai lavoratori cercando di farlo fruttare attraverso speculazioni di borsa. Quando un lavoratore va in pensione riceve dal Fondo pensione quel capitale accumulato e nient'altro (anzi, ci paga le commissioni) così come avrebbe da qualunque altra forma di risparmio gestita. Il lavoratore ha a questo punto la possibilità di farsi spalmare quel capitale negli anni - sulla base della speranza di vita ufficialmente accettata - avendo come unica rivalutazione possibile quella prevista per un qualunque deposito bancario.
Questa operazione la si potrebbe fare, negli stessi identici termini, con il TFR (sempre che il lavoratore non abbia dovuto impiegarlo a copertura di periodi di disoccupazione).
E allora perché il lavoratore dovrebbe preferire ingrassare i Fondi pensione?
Il TFR è certo ( se la ditta che lo ha accantonato fallisce lo eroga l'apposito fondo istituito presso l'INPS), ha un rendimento garantito (1,5% l'anno più il 75% dell'inflazione) e copre i lavoratori dai rischi di perdita del lavoro.
I Fondi pensione sono soggetti ai rischi connessi alla svalutazione delle monete, ai rischi di iperinflazione (tutt'altro che remoti nell'arco dei 40 anni di vita lavorativa di ogni persona), ai rischi di gestioni fallimentari o truffaldine dei capitali i cui esempi sono sotto gli occhi di tutti e, se il lavoratore ha scampato da questi rischi, alle oscillazioni e alla volatilità delle borse in connessione con le capacità speculative dei gestori finanziari.
In pratica, nessun Fondo pensione può garantire al lavoratore che aderisce neanche la restituzione del capitale versato e nessun Fondo può ipotizzare attese di rendimento tali da compensare - tolte le spese a carico del lavoratore - i rischi a cui sottopone il capitale versato.
Perché un lavoratore dovrebbe allora preferire un Fondo pensione al TFR?
Qualcuno dirà che al capitale nel Fondo pensione a favore del lavoratore concorrono anche i versamenti del datore di lavoro stabiliti nella contrattazione collettiva.
Affermazione vera ma parziale: i versamenti che i datori di lavoro erogano nei Fondi pensione rientrano nel costo del lavoro concordato in fase contrattuale, sono nella voce costo del lavoro e lo sarebbero comunque se quei fondi finissero direttamente in aumenti salariali o (perché no?), ad incremento dello stesso TFR (anzi credo che quest'ultima sarebbe un'ipotesi particolarmente bene accetta dalla imprese visto il suo utilizzo come forma di finanziamento agevolato). Ergo, pompare i Fondi pensione o rimpinguare i salari dei lavoratori, anche tramite un incremento del TFR è solo una scelta sociale e sindacale.
Ovviamente lo stesso discorso vale per le agevolazioni fiscali utilizzate come cuneo per imporre la finanziarizzazione della previdenza.
Non c'è una sola ragione che giustifichi la rinuncia del TFR da parte dei lavoratori: non è certo attraverso il sistema dei Fondi pensione e della speculazione finanziaria (che non produce ricchezza ma semplicemente la ridistribuisce verso l'alto sottraendola alle persone e ai paesi più deboli), che si garantisce una pensione adeguata ai futuri pensionati.
L'unica strada percorribile è quella di una nuova previdenza pubblica che si finanzi con quel sistema a ripartizione fondato sulla solidarietà tra le generazioni che non si regge, come hanno tentato e ci hanno fatto credere negli ultimi quindici anni, sul denaro, ma sul lavoro e sulla capacità di questi di produrre ricchezza e benessere sociale.
Di questo e su questo dobbiamo parlare ed interrogarci nelle prossime settimane e nei prossimi mesi se vogliamo realmente vincere questa battaglia
La truffa del silenzio/assenso
Il grimaldello utilizzato per far saltare resistenze, perplessità e la, seppur non ancora pienamente esplicitata, opposizione dei lavoratori, è quello del silenzio/assenso nel trasferimento del TFR dei lavoratori ai fondi pensione contenuto nell'ultima controriforma delle pensioni di Berlusconi.
CGIL-CISL-UIL, così come il centrosinistra, ritengono inevitabile e necessario un forte ridimensionamento del sistema previdenziale pubblico, però, essendo consapevoli dell'antipopolarità di tale scelta padronale e liberista, preferiscono lasciarla fare a Berlusconi, senza disturbare più di tanto il manovratore.
In più CGIL-CISL-UIL, perfettamente consapevoli dell'"ineluttabilità" delle "magnifiche sorti e progressive" della previdenza complementare, che va ad affiancarsi ed in linea tendenziale a sostituirsi a quella pubblica, avevano già da tempo deciso di investire in questa direzione.
Da qui, dopo un qualche traccheggiamento soprattutto cigiellino rispetto alla troppo sputtanata proposta originaria del governo e della CISL circa l'obbligatorietà del trasferimento delle liquidazioni (TFR) dei lavoratori all'interno dei fondi pensione, i confederali e Maroni hanno convenuto insieme sulla bella trovata del silenzio/assenso, completamente capovolta rispetto alla precedente e consolidatissima prassi, per cui in futuro, se un lavoratore vorrà mantenere il proprio TFR, quindi restare nella situazione attuale, dovrà fare esplicite dichiarazioni al datore di lavoro e all'ente previdenziale di riferimento (INPS, INPDAP,...).
Anche uno sciocco, purchè correttamente informato, comprenderebbe la portata dell'inganno e della truffa; si gioca sulla disinformazione, sulla distrazione, sulla superficialità di tanti, per trasferire comodamente milioni di liquidazioni nei fondi pensione.
In tal modo CGIL-CISL-UIL entrano direttamente in concorrenza con finanziarie, assicurazioni, banche, per cercare di convogliare il TFR, che costituisce parte del salario differito dei lavoratori, all'interno dei fondi di categoria chiusi (da loro cogestiti con la parte datoriale), piuttosto che in quelli aperti.
La controriforma Berlusconi/Maroni sulle pensioni, L. 243/2004, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 6/10/2004, da quella data il governo ha un anno di tempo per varare i decreti attuativi, in particolare quello che regola i fondi pensioni e la loro stretta connessione, tramite il famigerato meccanismo del silenzio/assenso, con il trasferimento ad essi del TFR; dal momento del suo varo, i lavoratori avranno sei mesi di tempo per comunicare all'azienda e all'ente previdenziale di appartenenza la loro indisponibilità ad aderire ai fondi pensione, in caso di silenzio si troveranno scippato il proprio TFR, che andrà a costituire la polpa dei fondi pensione.
Sono stati già quantificati i finanziamenti per il decreto attuativo (20 milioni di euro per il 2005; 200 milioni per il 2006; 500 milioni per il 2007), che, non avendo trovato posto nella Finanziaria 2005, forse si pensa, da parte del governo, di inserire nell'imminente decreto sulla competitività.
Il governo ha rispetto ai fondi pensione una posizione sostanzialmente "egualitaria", tutti sullo stesso piano: fondi aperti, fondi chiusi, polizze individuali.
In gennaio Maroni, per accattivarsi le simpatie padronali, nella bozza di decreto aveva anche inserito la proposta di far scegliere direttamente ai datori di lavoro la destinazione del TFR del lavoratore che non avesse espressamente optato per un fondo di riferimento; in realtà il suo tentativo ha sortito l'effetto opposto, spingendo la Confindustria ad avvicinare sempre più le sue posizioni a quelle del sindacato; ciò si spiega sia per la necessità padronale di rafforzare i buoni rapporti recentemente ritrovati -pronuba la presidenza di Montezemolo- con CGIL-CISL-UIL, sia con l'interesse che la parte datoriale ha oggi (se proprio deve rinunciare ad utilizzare la liquidità del TFR dei lavoratori) a privilegiare, tra i fondi, quelli chiusi, in cui si troverebbe, sia pure in condominio con i sindacati, direttamente in cabina di regia.
Nonostante stiano cercando di fare in fretta, non riescono però a far andare al posto giusto tutte le tessere di questo ineffabile mosaico. Non sono sicuri che i lavoratori ci cascheranno; non sono sicuri di rastrellare la massa finanziaria sufficiente a far partire in grande stile l'operazione.
Ed allora le sparano grosse; così il viceministro dell'economia Baldassarri (AN) arriva a proporre, per rimpinguare i fondi, non solo l'utilizzo del TFR che il lavoratore maturerà dal momento della sua adesione, ma addirittura l'intero TFR già maturato nel corso di tutta la sua precedente attività lavorativa; Maroni dal canto suo rilancia, suggerendo di dar maggior slancio ai fondi finanziandoli con i soldi degli ammortizzatori sociali; sono delle boutades che però indicano comunque la necessità di superare la soglia oltre la quale non c'è più la certezza dei diritti, nemmeno quelli già acquisiti, dei lavoratori.
Oggi CGIL-CISL-UIL-UGL-CONFINDUSTRIA-CONFCOMMERCIO-CONFARTIGIANATO-CONFAPI hanno ormai raggiunto l'accordo per un avviso comune delle parti sociali sulla previdenza complementare, subito inviato al governo, basato essenzialmente su questi punti (come si ricava dal documento redatto in merito dall'Assofondipensione):
a) rinvio alle parti sociali e quindi alla contrattazione per quel che riguarda la gerarchia delle forme integrative cui destinare il TFR, trasformando la non opzione del lavoratore "silente" in adesione al fondo chiuso di categoria;
b) detassazione sul rendimento dei fondi chiusi e sulla loro portabilità (vale a dire eguali facilitazioni fiscali garantite tramite contrattazione nel caso di passaggio da un fondo all'altro in seguito al mutamento del posto di lavoro e della posizione previdenziale del singolo lavoratore);
c) compensazioni adeguate per i datori di lavoro secondo le indicazioni contenute nella legge delega (facilitazioni creditizie soprattutto per piccole e medie aziende, riduzione del costo del lavoro tramite la fiscalizzazione degli oneri sociali e magari anche con nuove forme di decontribuzione, eliminazione del contributo al fondo di garanzia del TFR presso l'INPS); d) estensione della previdenza integrativa a tutti i dipendenti pubblici.
L'avviso comune costituisce un manifesto ideologico, di stampo neocorporativo, che segna un punto di non ritorno nella miserabile commistione d'interessi che lega datori di lavoro e sindacati confederali e (post)fascisti in una specie di lobby "liberista", che sottolinea la divaricazione stellare nel mondo del lavoro tra rappresentati e rappresentanti, che potrebbe avere -se non gli si risponde con adeguate e generalizzate iniziative di lotta- delle conseguenze materiali devastanti sul futuro di milioni di lavoratori.
Al di là delle divergenze tra sindacati/padroni da un lato e governo dall'altro, il tentativo comune è quello di arrivare al varo del decreto entro giugno, in modo da smaltire entro la fine dell'anno (i famosi 6 mesi entro cui ci si deve pronunciare) la pratica del silenzio/assenso e rilanciare alla grande con i fondi chiusi all'inizio del 2006.
CGIL-CISL-UIL e compagnia cantando non si pongono minimamente il problema dell'antidemocraticità dell'attuale formulazione del silenzio/assenso, sostengono che tale meccanismo è perfettamente legittimo e garantisce ampiamente la facoltà di scelta dei lavoratori.
Costoro dimenticano che, alcuni anni fa, la legge sulla donazione degli organi, aveva originariamente stabilito che, in caso di silenzio da parte dell'interessato, si procedesse, automaticamente, dopo la morte, all'espianto degli organi. Allora bastarono alcuni opinionisti a sottolineare il pesante vizio antidemocratico di quella legge incurante delle volontà dei singoli; ci fu un dibattito a mezzo stampa e la legge fu cambiata, introducendo l'obbligo di un'esplicita dichiarazione preventiva del singolo per procedere post mortem all'espianto.
Noi non possiamo assistere passivamente all'espianto delle nostre liquidazioni, per cui dobbiamo far di tutto per far saltare questa formulazione truffaldina del meccanismo del silenzio/assenso.
La peculiarità del Pubblico Impiego e della scuola
Nel Pubblico Impiego i fondi pensione sono ancora assenti, se si eccettua la recente costituzione nel settore scuola di Espero. Le liquidazioni dei lavoratori sono però calcolate in maniera diversa e con altri strumenti.
I dipendenti pubblici a tempo indeterminato assunti prima del 31/12/2000 sono a regime TFS (Trattamento di Fine Servizio), quelli a tempo determinato assunti a partire dal 30/5/2005 e quelli a tempo indeterminato assunti dopo il 31/12/2000 sono invece già adesso a regime TFR.
Si sono sviluppate a partire dal '95 una contrattazione ed una legislazione di sostegno finalizzate ad armonizzare le regole fra settore pubblico e privato e a creare le condizioni ottimali per la costituzione e lo sviluppo dei fondi pensione.
La Legge 335/'95, la L. 449/'97, la L. 448/'98, l'Accordo Quadro Nazionale tra Aran e CGIL-CISL-UIL del luglio '99, il DPCM del 20 dicembre '99 costituiscono alcune tra le principali fonti normative e pattizie che hanno istituito il TFR per i nuovi assunti e consentono la possibilità di trasformare il TFS in TFR solo se però contestualmente si aderisce ad un fondo pensione. Il termine per quest'ultima opzione è stato via via spostato contrattualmente; ora è stato fissato al 31/12/2005, ma nulla toglie che possa slittare ancora.
Per i dipendenti pubblici il TFS equivale ai 13/12 dell'80% dell'ultimo stipendio lordo (negli enti locali e nella sanità si calcola sull'80% della media dell'ultimo anno di stipendio), vale a dire l'86,66% dell'ultimo stipendio moltiplicato per gli anni di servizio (non solo quelli effettivamente prestati, ma anche quelli riscattati). Il TFS non è salario differito (come il TFR), bensì salario previdenziale istituito per legge, gode di un trattamento fiscale più favorevole (solo il 40% del TFS è tassato) rispetto al TFR.
Ora non è il caso di innescare una querelle infinita, tendente a dimostrare che il TFS sia economicamente più conveniente del TFR, perché molto dipende dal trend dell'inflazione.
Ma per tutti i dipendenti a regime TFS conviene mantenere tale forma di liquidazione, perché, qualora oggi optino per il TFR, automaticamente si troverebbero in un fondo pensione (infatti non è possibile scegliere il TFR senza aderire ad un fondo pensione).
Diverso è il caso dei neoassunti, che oggi già sono a regime TFR; essi a tuttora non sono vincolati ai fondi pensione, almeno finchè non scatterà il meccanismo del silenzio/assenso.
Per i "neoassunti" (a partire dal 30/5/2000 quelli a tempo determinato, dopo il 31/12/2000 quelli a tempo indeterminato) che scelgono di aderire ai fondi pensione, automaticamente tutto il TFR maturando (il famoso 6,91% dello stipendio) più l'1% dello stipendio, più l'1% versato dall'amministrazione di appartenenza confluiscono nel fondo di riferimento; in più l'amministrazione pubblica aggiunge un versamento/bonus dell'1% per un anno se l'adesione avviene entro il primo anno di operatività del fondo, o dello 0,5% sempre per un anno se l'adesione avviene entro il secondo anno di vita.
Per gli assunti a tempo indeterminato entro il 31/12/2000 che scelgono la previdenza complementare, la quota che confluisce nei fondi pensione è costituita da un versamento dell'1% dello stipendio, a cui si somma il versamento di eguale entità dell'amministrazione di appartenenza, a cui vanno aggiunti il 2% dello stipendio trattenuto dalla quota del TFR maturando e l'1,5% trattenuto dal TFS precedentemente maturato, infine c'è da addizionare l'1% o lo 0,5% elargito per un anno dall'amministrazione se l'adesione ai fondi avviene entro il primo o il secondo anno di vita della loro operatività. Le quote da prelevare sul TFR e versare ai fondi potrebbero variare in seguito a sopravvenuti accordi in sede contrattuale. Al momento attuale non è ancora del tutto chiaro se, all'atto dell'eventuale entrata in vigore del meccanismo del silenzio/assenso, tutto il TFR maturando dei vecchi assunti passerà ai fondi pensione.
Devono ancora sciogliersi alcuni problemi di carattere giuridico per armonizzare la disciplina del trasferimento del TFR ai fondi già nei fatti definita per il settore privato con quella del settore pubblico. Se si applicasse subito la stessa regola del silenzio/assenso del settore privato al settore pubblico ed in particolare ai dipendenti in regime TFS, cosa ne sarebbe del TFS? Un conto è dire da oggi che chi non dichiara nulla vede il suo TFR trasferirsi al fondo pensione; ma chi invece ha il TFS e non dichiara nulla, come fa il TFS a trasformarsi in TFR? E' chiaro, specie dopo lo scempio del silenzio/assenso, che lor signori la gabola tecnica sono in grado di trovarla, ma intanto devono farlo.
Le nostre indicazioni non possono che essere semplici e chiare: per chi è in regime TFS mantenerselo stretto altrimenti si va a finire dritti nei fondi pensione; anche per chi è in regime TFR -quei neoassunti verso cui più martellante è la campagna della previdenza complementare- non optare per i fondi, non farsi infinocchiare dalle mirabolanti promesse di un'altra pensione che sostituisce la parte amputata a quella pubblica; perché nulla è certo, anzi no, l'unica cosa certa è che si ritroveranno con una pensione pubblica miserabile e senza TFR; in quanto poi alla pensione integrativa è stato calcolato che, per arrivare a 900 euro mensili, occorre, a inflazione ferma, versare qualcosa come 5.000 euro all'anno e con gli stipendi e i salari attuali per i più giovani è come chieder loro la luna.
Intanto con grande battage pubblicitario nelle scuole è diventato operativo il fondo Espero sostenuto da CGIL-CISL-UIL-SNALS-GILDA-ANP (Associazione Nazionale Presidi), tutte insieme appassionatamente, quando si tratta di lucrare sui soldi dei lavoratori. Sono stati debitamente formati un migliaio di funzionari e attivisti sindacali, trasformati in promoters finanziari in cerca di allocchi da prendere all'amo nelle assemblee organizzate ad hoc dai sindacati di stato (stavolta è proprio il caso di dirlo, tanto più che, per sponsorizzare i loro fondi, hanno ottenuto una deroga dall'amministrazione che consente loro di sforare il tetto di 10 ore annue di assemblea); mentre le segreterie delle scuole sono state invase da 14 tonnellate di materiale cartaceo di propaganda (a detta dei promoters medesimi).
Per Espero valgono più o meno le stesse regole dei fondi del settore privato: l'adesione è libera, come è libera la recessione... ma prima di cinque anni d'iscrizione non puoi recedere; dopo otto anni di iscrizione puoi chiedere l'anticipo di una parte di quanto maturato per sostenere spese importanti (acquisto prima casa, particolari cure mediche,...) debitamente documentate; la quota di adesione (una tantum) è di Euro 2,58; la quota associativa è fissata annualmente dal consiglio di amministrazione e (bontà loro) non può superare lo 0,12% della retribuzione annua. Per essere operativo il fondo deve raggiungere almeno 30.000 adesioni e i piazzisti di fondi devono far presto per evitare la tagliola del 31/12/2005, data ultima (però trattabile!) per il passaggio dal TFS al TFR.
Nella scuola sperimentano le probabilità di successo, per il settore pubblico, dei fondi pensione; nella scuola abbiamo cominciato ad organizzare la resistenza per ricongiungerci con la lotta che sta partendo nel settore privato ed estenderla a tutto il pubblico impiego.
E utile quindi ribadire con forza che non bisogna aderire a nessun fondo pensione e da gennaio far partire gia' la lettera per pronunciarsi sfavorevolmente alla adesione del fondo. Bisogna scendere in campo e attivarsi per informare quanti piu' lavoratori e' possibile e portare a fallimento questa sciagurata proposta ai danni dei lavoratori, a tale proposito abbiamo approntato un
modello utile per indicare la propria volontà al datore del lavoro.
Gemmi Renzo - Delegato RSU per lo Slai Cobas della Penta Service (RE)
Red - 27-08-2005
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Da una lista didaweb una collega si pone un quesito che "giriamo" ai lettori di Frg
Presso una sede Inpdap di Roma distribuiscono un fac-simile di richiesta per esplicitare il proprio dissenso a tramutare il TFR in fondo pensionistico, si dice che deve essere consegnato entro dicembre. Io non sono andata personalmente, l'ho avuto giro posta da una collega, faccio un copia-incolla di seguito. Mi fate sapere se anche a qualcuno di voi risulta qualcosa di analogo?
Grazie, E. R.
All’I.N.P.D.A.P.
Prestazione di Fine Servizio e Previdenza Complementare
Oggetto: trattamento di fine rapporto – diffida
La sottoscritta……………………………………..nata a ………………… il …………… in servizio Presso……………………………………………………...……………..in relazione alle normative vigenti
COMUNICA
Espressamente la propria volontà di mantenere il sistema di trattamento attuale e di non aderire al trasferimento dei contributi ad esso destinati presso i fondi pensione diversi.
La presente comunicazione va intesa come espressione di volontà nelle more della emanazione dei decreti attuativi delle citate norme; chiede altresì che vengano comunicate al proprio domicilio le eventuali variazioni di disciplina introdotte da successive norme regolamentari.
Domicilio:……………………
DATA: FIRMA
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il Mondo - 28-08-2005
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Semaforo rosso per i fondi pensione: tre su quattro sono battuti dal tfr
In perdita la gran parte delle linee di investimento azionarie, con punte negative per Eurorisparmio internazionale di Gestnord ( 34,65% dal 1999) e per Previgen valore Gencapital ( 32,09% dal 2000) fondi & gestione previdenza a confronto il rendimento dei prodotti aperti.
Attenti ai fondi pensione aperti: la strada delle performance è sdrucciolevole e c' è il serio rischio di incidenti di percorso. Meglio insomma rallentare l'andatura e procedere con cautela, soprattutto in vista della decisione che tutti i lavoratori dipendenti dovranno prendere nei prossimi mesi sulla destinazione del proprio trattamento di fine rapporto (tfr): continuare a tenerlo nelle casse dell' azienda, con la certezza di un rendimento stabilito per legge nel 75% dell' inflazione Istat più l' 1,5% annuo, oppure
versarlo appunto in un fondo pensione e legarlo all'andamento dei mercati secondo la linea di investimento prescelta, rischiando anche di veder diminuire il capitale. Quello che è successo finora in molti casi. I risultati dei primissimi anni di vita dei prodotti previdenziali aperti non sono infatti incoraggianti. Almeno secondo il confronto elaborato dal Mondo tra le performance di tutti i fondi pensione aperti esistenti a fine 1998, 1999 e 2000 e la rivalutazione del tfr al netto dell' imposta sostitutiva dell' 11% (introdotta nel 2001). Ebbene: dal 29 dicembre 2000 al 29 aprile scorso neppure un fondo su quattro è stato capace di battere la performance del tfr, 54 prodotti su 234 linee di investimento totali; un po' meglio va allungando il periodo di un anno: dalla fine del 1999 sopra il tfr è il 28%, ma con una quarantina di linee esistenti in meno; sovrapponendo le due classifiche, inoltre, promossi in entrambi i periodi sono in tutto appena 50, pari al 21% del totale (vedere tabella qui sotto e nelle pagine seguenti). Classifica a parte, invece, per i 46 prodotti esistenti già a fine 1998 (vedere tabella a pagina 58): oltre la metà dei pionieri del settore ha vinto sul tfr,
anche se non tutti sono stati capaci di mantenere la performance relativa positiva negli anni successivi. "Ci stiamo scontrando con dati poco incoraggianti dei fondi pensione aperti, anche se con
differenze al' interno delle stesse famiglie di prodotti",
conferma Marcello Rubiu, vicepresidente della società indip!endente di analisi Norisk, "mentre i fondi negoziali sono più stabili nelle performance. Ma il tasso di sostituzione del tfr sommato agli effetti della riforma Dini non è sufficiente a garantire i bisogni di previdenza complementare degli italiani: c' è bisogno
di investire sui mercati finanziari". In particolare, a segnare il passo, con risultati anche fortemente negativi, sono però proprio le linee azionarie: solo una, AlMeglio azionario di Alleanza assicurazioni, è stata capace di superare il tfr sulla doppia distanza
(non esisteva nel 1998), con un guadagno addirittura quasi doppio da fine 1999, mentre tutte le altre mostrano il segno negativo, con punte del 34,65% di Eurorisparmio azionario internazionale di Gestnord sui cinque anni e mezzo e del 32,09% di Previgen valore Gencapital di Generali vita sui quattro anni e mezzo. Ma sotto il tfr si trovano anche tanti obbligazionari e addirittura monetari, e in zona negativa una buona fetta dei bilanciati. Nonostante i nomi dei prodotti contengano in più di un caso termini come garanzia, prudenza, protezione, conservazione, stabilità, sicurezza o serenità. "I fondi pensione aperti sono nati in un periodo particolare per i mercati finanziari", giustifica i dati Alessandro De Carli,
responsabile fondi pensione aperti di Sanpaolo Imi am, "prima la bolla della new economy, poi il peggior Orso dal 1929: il 2003 è stato l' unico anno in cui l'azionario ha fatto meglio dell'obbligazionario. In ogni caso, sono stati cinque anni eccezionali. Dal 1973 a oggi, invece, rispetto al Bot che ha reso circa il 10% l'anno, l' indice mondiale delle Borse in lire ha fatto il 5% in più, ovvero circa il 15% annuo. E vale la pena di considerare", sottolinea De Carli, "che un punto percentuale in più significa avere il 9% in più in dieci anni, il 20% in 20 anni e il 32 33% in 30 anni". Anche per Claudio Tosato, vicedirettore generale di Montepaschi am, "il periodo è relativamente poco significativo ai fini di un confronto tra fondi pensione aperti e tfr. Sia perché si tratta di linee d' investimento consigliate per archi di tempo superiori almeno ai 10 15 anni, dunque per lavoratori a cui manchino almeno 20 30 anni alla pensione, sia perché abbracciano un triennio di Orso di Borsa che, in base alle statistiche, è un fatto relativamente raro". Mentre Erik Stattin, amministratore delegato Intesa previdenza, commenta: "La storia degli ultimi cinque anni ha dato
ragione alla logica del tfr, ma per chi ha un arco temporale più ampio le statistiche dicono che potenziali rendimenti nel lungo periodo vengono più dalle azioni e dal rischio. Lasciare il tfr in azienda con
l' attuale calcolo di rivalutazione", insiste Stattin, "è una scelta altamente prudente e garantita ma non è detto che sia l' ideale per esempio per un giovane che si avvicina al mercato del lavoro con un orizzonte di 40 anni, mentre il fondo pensione offre un mix di linee più aderenti all' arco temporale e al profilo di rischio rendimento". Un' analisi su cui concorda Andrea Mencattini, direttore generale di Generali vita: "L' investimento azionario è redditizio in un orizzonte temporale lungo, che è proprio quello del fondo pensione, mentre la situazione dei tassi che si è venuta a creare negli ultimi anni è stata tale da premiare il meccanismo di calcolo del tfr. Ma questo scenario non sarà per sempre.
Inoltre", continua Mencattini, "con il fondo azionario è
giusto fare il confronto con il benchmark: il nostro Previgen valore Gencapital ha un indice di riferimento espresso al 60% in valute diverse dall' euro ed è sopra al benchmark in maniera significativa". Danilo Masci, responsabile della previdenza di Arca sgr, introduce invece un altro elemento della discussione:
"Aderire a un fondo pensione", dice, "porta tutti gli
effetti del piano di accumulo tipico dei versamenti mensili di un lavoratore dipendente". E questo, come spiega Tosato, "permette di acquistare in ogni condizione di mercato riducendo i costi e i rischi dell' investimento". Una considerazione
valida, che però non sposta molto i risultati del confronto: con un piano di accumulo mensile dal 30 dicembre 2000 al 29 aprile 2005, 82 fondi su 234 risultano sopra il tfr (ridotto a una performance del 6,09% per effetto del pac), circa un terzo, ma con
guadagni quasi sempre dimezzati rispetto all' analisi sui pic (unico versamento), mentre le forti perdite delle linee azionarie vengono sì limate, ma restano comunque in territorio negativo. Il punto è però un altro. Ed emerge chiaramente da una risposta data
dagli italiani nell' ambito della ricerca su "Le attese e il
comportamento previdenziale degli italiani" condotta da Irsa ed Eurisko. In particolare, il 66% degli intervistati non è disponibile ad accettare un certo livello di rischio per i propri investimenti previdenziali a fronte di rendimenti competitivi, mentre il 66% vuole
soluzioni che garantiscano un basso rischio a costo di guadagni non elevati e addirittura il 71% è convinto che la previdenza complementare non debba aver nulla a che fare con la finanza. Un ritratto che sembra proprio ricalcare l' immagine dell' attuale impiego del
trattamento di fine rapporto. "Noi riteniamo", interviene
Giancarlo Biagini, responsabile della previdenza integrativa di Ras, "che i lavoratori si convinceranno a rinunciare al proprio tfr inazienda non solo e non tanto per una questione di rendimento finanziario uguale o auspicabilmente maggiore oppure di agevolazioni
fiscali incentivanti, ma soprattutto per una questione di previdenza, cioè di integrazione della pensione pubblica, quando sarà pensionato.
Questo richiederà nella maggioranza una presa di coscienza di una situazione reale che oggi non è percepita tanto più quanto più giovane è l' età dei lavoratori. Insomma", conclude Biagini, "il
processo di utilizzo del tfr fuori dall' azienda probabilmente richiederà un periodo medio lungo e non sarà immediato". La decisione su che cosa fare avrà però tempi più stretti. La bozza del decreto attuativo della legge delega 243 del 2004 (che scadrebbe il 6 ottobre prossimo) prevede infatti un periodo di sei mesi per scegliere se conservare il tfr in azienda (quello di nuova maturazione, non quello già accumulato) oppure destinarlo a una forma di previdenza complementare. Attenzione, però: il meccanismo scelto è quello del silenzio assenso. Se il lavoratore non esprime alcuna preferenze, il
tfr finisce direttamente in un fondo, con preferenza nell' ordine per i negoziali o di categoria e poi quelli aperti con adesione collettiva aziendale o ancora regionale. E solo nel caso estremo di assenza di forme pensionistiche cui il lavoratore sia destinatario, e in mancanza di scelta individuale, le somme andranno al fondo pensione istituito presso l' Inps. Per tenere il tfr in azienda, in tutti i casi, bisognerà comunicarlo esplicitamente, salva la possibilità di
ripensarci successivamente e di scegliere uno strumento di previdenza complementare. Che, rendimenti a parte, comporta in verità una serie
di vantaggi. A partire dalle agevolazioni fiscali, con deducibilità per i contributi aggiuntivi di lavoratore e datore di lavoro (fino a 5.164 euro l' anno) e pure sulla
prestazione finale, ritirare in un' unica volta oppure trasformate in rendita, con tassazione del 15% ridotto dello 0,30% per ogni anno di contribuzione dopo i primi 15, fino a un massimo di sconto del 6% (imposta minima del 9%), rispetto al tfr soggetto a tassazione separata, quindi differente per ogni lavoratore in base al proprio reddito, ma nella gran parte dei casi superiore al 15%. Non solo. "Un dipendente deve considerare anche il contributo del datore di lavoro", dice Masci, "che nel caso di non adesione alla previdenza complementare perderebbe". E Mencattini fa i calcoli: "Se io metto l' 1% anche il mio datore contribuisce con un altro 1%, entrambi non tassati, ovvero con un ulteriore guadagno". Solo questa somma, però, non basterebbe. "Il massimo che conviene mettere in un fondo pensione sono 5 mila euro l' anno", continua Mencattini, "ma in base alla media delle retribuzioni parliamo in effetti di una cifra aggiuntiva di mille euro nella migliore delle ipotesi, che per 25 anni diventerebbe di 25 mila: una somma non congrua
per la previdenza integrativa. Ecco perché o c' è il tfr oppure non conviene". Un altro vantaggio, interviene De Carli, è "la valorizzazione della quota una volta al mese, che rende il fondo pensione più trasparente di altri prodotti, e la possibilità di switch tra differenti linee del fondo, in base per esempio alla propria vita lavorativa". Mentre per Masci, investire il tfr in un comparto di un fondo pensione non significa perderlo "ma non lasciarlo nelle mani del proprio datore di lavoro. Sotto certi aspetti", spiega, "le somme maturate nel tfr sono più tutelate in un fondo pensione, in quanto il datore di lavoro potrebbe
anche non essere in grado di pagare la liquidazione al momento della cessazione del rapporto di lavoro". Uguale osservazione esprime Stattin: "Il fondo pensione dà l' ulteriore certezza di avere i propri soldi separati dall' azienda, che potrebbe avere difficoltà economiche: nonostante il fondo di garanzia, si rischia di rientrare nel novero dei creditori senza
particolari certezze". Tutti elementi che entrano certamente in gioco nella decisione finale. Mentre nella scelta dell' eventuale categoria di linea di investimento più adatta al proprio caso, si parte come sempre dal proprio profilo di rischio, con un'attenzione particolare all' età lavorativa residua. "Se un lavoratore ha un orizzonte temporale di 20 anni e non ha almeno il 20 30% di componente azionaria in portafoglio previdenziale l'allocazione non è adeguata", suggerisce Mencattini. "Il tfr renderà comunque il 75% dell' inflazione più l' 1,5%. Allo
stesso modo", continua, "se un cinquantottenne investisse in un comparto azionario farebbe male perché la sua pensione è vicina: potrebbe anche andare bene, ma la scelta di fondo non sarebbe
corretta". Per De Carli, invece, "l' asset allocation
ideale è perlomeno bilanciata, con una componente azionaria nel benchmark". E quando si passa a individuare il singolo fondo su cui puntare, "entrano in gioco il proprio profilo di rischio, quindi il benchmark del prodotto, il mix di costi e soprattutto la capacità del gestore di produrre risultati nel lungo periodo". Un consiglio condiviso da Rubiu: "Alla fine conviene scegliere il fondo pensione aperto che abbia dato risultati positivi nei cinque anni precedenti, approfondendo lo stile di gestione e i costi. In particolare bisogna tenere conto delle commissioni, perché sono l' unica certezza. Mentre, per assurdo,
l' ideale sarebbe scegliere un fondo pensione passivo, che in Italia non esiste ancora, perché il prodotto attivo è una doppia scommessa: sui mercati e sul gestore". Il tema dei costi è in effetti particolarmente delicato. Su un arco temporale ampio come quello dei fondi pensione anche pochi punti base possono fare la differenza, mentre sul mercato c' è una forbice di commissioni annue di gestione che spazia da un minimo dello 0,45% fino al 2%. E gli stessi operatori stanno cercando soluzioni, spingendo in particolare verso i fondi aziendali, che permettono di mantenere i costi più bassi. "Per le
linee obbligazionarie, dati i livelli eccezionalmente bassi dei tassi d' interesse, non c' è dubbio che si stia ponendo un problema di costi", ammette per esempio Tosato. E aggiunge: "La possibilità di aderire ai fondi pensione aperti attraverso un
meccanismo di adesione collettiva pone tali prodotti in alternativa ai fondi negoziali di categoria, e offre anche un' ottima opportunità per la riduzione dei costi. Il nostro Kaleido recepirà miglioramenti in tema di revisione di commissioni proprio per renderlo competitivo rispetto ai fondi negoziali nell' ambito delle adesioni collettive". Mentre per Mencattini "i costi sono importanti, ma in modo bilanciato con il servizio. La nostra linea Previgen valore è destinata a liberi professionisti e lavoratori autonomi che hanno
bisogno di servizi personalizzati, ricorrenti e individuali, per questo costa di più, mentre Previgen global è studiata per le adesioni collettive e ha costi molto più bassi per un servizio fatto a livello aziendale e cifre complessivamente più elevate". E anche nel gruppo Intesa, racconta Stattin, "che ha voluto una
società dedicata alla previdenza per sviluppare maggiori competenze, l' offerta è segmentata per tipologia di mercato: Intesa MiaPrevidenza per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti,
PrevidSystem per le piccole e medie imprese, Intesa PrevidLavoro per le grandi aziende, oltre ai fondi dedicati alle reti distributive non captive". Biagini, infine, tira le somme guardando anche alle
proposte future. "Noi puntiamo su prodotti finanziari che risultino semplici, comprensibili e trasparenti per il lavoratore, che siano anche personalizzabili in funzione delle sue caratteristiche di risparmiatore. Per questo, la nuova generazione dei fondi aperti", rivela, "dovrà contenere pure comparti specifici che offrano garanzie e rendimenti simili e confrontabili con quelli del tfr in azienda. Anche se non credo sia solo questa la soluzione del problema".
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Redazione - 31-08-2005
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QUI è consultabile la tabella citata in precedenza, con il "trend" finanziario dei fondi aperti relativo agli ultimi cinque anni.
Ringraziamo Attac Italia per la collaborazione. |