Le declinazioni di multicultura
Laura Tussi - 24-08-2005
Dall'approccio assimilazionista, alla ghettizzazione,all'utopia dell'integrazione

Elaborato dell'intervento di Luisa Riva (Docente di storia e filosofia -Liceo scientifico L. Cremona- Milano) presso l'UCIIM di Milano

Le pluralità della contemporaneità.

Il costituirsi stesso delle società come entità organizzate trae origine e giustificazione nel tentativo di realizzare una qualche unità rispetto alla contemporanea presenza costitutiva di molte persone e alle diverse collocazioni e funzioni di ciascuna di esse.
La contemporaneità vive però il suo essere pluralistica come un fatto sostanzialmente nuovo e come un problema pieno di rilevanti conseguenze.
Si possono abbozzare dei cenni relativi al fenomeno migratorio attuale risalendo in Europa al periodo fra la fine del XIX sec. e l'inizio del XX che fu caratterizzato da una fase di forte incremento demografico che trovò sfogo nell'emigrazione verso altri continenti, più di 60 milioni di persone emigrarono, apportando in questo modo flussi di uomini e di idee con la mobilità etnico-sociale degli ultimi decenni fondata sui bisogni primari di sussistenza, sopravvivenza alla fame, alla tutela dei diritti umani. L'interdipendenza dei mercati portò alla diffusione di merci e di beni, condusse alla pervasività di informazioni solo apparentemente omogenee, da un lato spingendo a condivisioni sempre più ampie e generali, ma dall'altro esse si sovrappongono senza piani preordinati ad antiche e tenaci differenziazioni generando nuove tensioni, particolarismi e lacerazioni. I processi educativi sono costretti a riflettere sulla loro natura dinamica mentre si riflette sulla riformulazione delle identità.
Parlando di diversità e di presenza dello straniero in una terra con strutture, condizioni e tradizioni consolidate, si possono formulare e si può tentare di spiegare diversi termini e definizioni come l'accezione di multiculturalità come fatto sociale statisticamente rilevabile, che implica il convenire, entro i confini di un medesimo spazio geopolitico, di differenti etnie o comunità o singoli individui provenienti da culture antropologiche differenti.
Il concetto ha dunque carattere di indicatore sociologico.
Toccando invece gli argomenti relativi alla transculturalità e all' interculturalità, si fa riferimento a due diverse strategie regolative della complessità esibita dalle situazioni multiculturali. L'una si propone di rimuoverla col sottolineare quelle costanti antropologiche che attraversano le culture, l'altra si rapporta alla complessità multiculturale tentando piuttosto di valorizzarne la dinamica complessità disequilibrante delle identità individuali e collettive costituite, aspirando a nuove possibili sintesi, continuamente riaperte, di umanità e cultura.
Una definizione possibile di interculturalità potrebbe essere questa:
"La messa a punto di nuove strategie educative e socializzatrici capaci di rendere le nuove generazioni ( e non solo loro!) atte a trarre profitto dalla situazione multiculturale, capaci di instaurare un clima propizio all'interpenetrazione di tutte queste culture, senza cancellare l'identità specifica di ciascuna"

Approcci pedagogici

L'UNESCO ( a partire dal 1976) tratta di questi argomenti: multicultural education, intercultural education, anti-racist education, education of minority.
In Italia negli stessi anni si discute e si approntano politiche di Educazione allo sviluppo (anni '60-'70 lotte di liberazione, Nord-Sud del mondo), educazione alla mondialità ( alla pace, ai diritti umani, all'ambiente, anni '80 crescita del volontariato, ong), tematiche che in seguito si accentueranno negli approfondimenti concettuali inerenti l'Educazione, la pedagogia interculturale (anni '90 emigrazioni).
Gibson opta per un' educazione multiculturale che come pluralismo culturale vuole salvare e valorizzare le diverse culture etniche e aumentare il potere delle culture di minoranza in un multiculturalismo benevolo-ingenuo un'educazione multiculturale che inserisca e integri nella cultura dominante gli studenti appartenenti a culture diverse, che nella classificazione di Patte corrisponde a educazione multiculturale limitata che ha l'obiettivo di insegnare agli studenti appartenenti alla maggioranza la tolleranza verso i compagni delle minoranze etniche e rimediare in parte ai loro svantaggi soprattutto linguistici.
Patte con l'accezione educazione multiculturale ampliata intende correggere, o evitare che si formino, atteggiamenti etnocentrici degli studenti presentando loro materiali e contenuti provenienti dai diversi gruppi culturali.
Obiettivo è la preparazione di tutti gli studenti a diventare cittadini socialmente attivi di una società dove sono presenti culture diverse.
I diversi tentativi fatti sono stati le scuole separate, le classi separate, le classi con quote, in un'ottica di assimilazione e ghettizzazione con i pro e i contro.
A tutto questo seguono numerosi altri interventi , la linea che emerge non è quella di un'integrazione di tipo assimilativo ( per la quale non è rilevante la conoscenza dell'altro) ma una direzione di tipo interattivo che significa integrare i saperi e aiutare a crescere per inserirsi in una società con una concezione dell'identità sempre più complessa. La legge delega 53/2003 invita alla valorizzazione della persona umana nel rispetto delle differenze e dell'identità.

L'utopia della convivenza pacifica e rispettosa delle diversità

La dialettica unità/pluralità risulta la condizione naturale, biologica dell'uomo che rivela la sua impossibilità a vivere al di fuori di qualsiasi rapporto con l'altro. La socialità/pluralità è per l'uomo un fatto originario e perciò universale.
Accanto a tale constatazione vi è però il riconoscimento della singolarità o unicità come caratteristica altrettanto strutturale, originaria e perciò universale dell'uomo. Ogni singolo soggetto ha bisogno di riconoscersi come tale, diverso da qualsiasi altro individuo.
Come cita Amos Oz "siamo tutti penisole...." (da Contro il fanatismo).
La dialettica unicità/pluralità è constatabile sia a livello sociale sia individuale. Ciò ha costituito sempre un problema. (politiche che cercano di realizzare il massimo di unità o, al contrario, di pluralità: centralismo/federalismo, integralismo/cultura liberale o anarcoide)

La tolleranza e le sue ambiguità

L'interesse oggi per le tematiche relative al concetto di unità/pluralità è legato al timore che la presenza di una molteplicità di culture all'interno dei nostri confini, sia politici sia culturali, comporti una distruzione della nostra identità. Ma se la categoria della pluralità ha sempre accompagnato la storia dell'uomo perché oggi sta diventando un problema?
Da una parte si sta diffondendo nella nostra società la convinzione che, se per un verso la tolleranza illuministica nei confronti della pluralità intesa come diversità costituisce ormai un pericolo per la propria sopravvivenza, per un altro verso il recupero di una esplicita tendenza verso l'unità, l'unicità intesa come difesa rispetto all'attacco della molteplicità, conduce troppo spesso ad una inaccettabile intolleranza.
Per uscire dall'ambiguità è forse bene mettere in evidenza che non si stabiliscono rapporti fra culture, ma fra soggetti.
Un riferimento di Cacciari, appare in un suo articolo sul Foglio "La tolleranza è antiquata parliamo di riconoscimento", quindi non occorre più dare spazio al relativismo, ma alle possibilità della ragione comunicativa

Il problema dell'identità: il contributo dell'analisi fenomenologica

"L'identità di ogni persona è costituita da una moltitudine di elementi che non si limitano ovviamente a quelle che figurano sui registri ufficiali" Amin Maalouf , L'identità, ed. Bompiani.

Concependo l'identità in modo dinamico, la prospettiva fenomenologica ci permette di svelare gli equivoci e le mistificazioni di ideologie oggettivistiche (sua pars destruens) attraverso un nuovo sguardo, ci porta inoltre ad individuare un sapere capace di arginare il relativismo scettico, nichilista e distruttivo, offrendo la possibilità di fondare un sapere che pone dei paletti concettuali (sua pars costruens) con l'individuazione delle direzioni intenzionali originarie.. (Bertolini, L'esitere pedagogico. Ragioni e limitidi una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, La Nuova Italia 1988, nel testo sono indicate cinque direzioni intenzionali originarie: sistematicità, relazione reciproca, possibilità, irreversibilità, socialità).
In una prospettiva fenomenologica l'uguaglianza trova la sua ragion d'essere innanzitutto nel fatto che nel Mondo della vita i soggetti sono tutti sullo stesso piano e hanno la medesima dignità e valore. Non esistono soggetti più soggetti di altri. Quindi l'istanza dell'uguaglianza è in sé, immediatamente percepibile in un'ottica fenomenologica. Tutti i soggetti sono poi portati all'apertura verso l'altro, ciò in virtù della struttura essenzialmente relazionale e intersoggettiva dell'esistenza.( Intenzionalità : coscienza di..., l'opzione verso l'altro non è una scelta, ma una necessità strutturale dell'uomo.)
Anche la differenza ha la sua rilevanza proprio a partire dalla centralità del soggetto che significa dare credito alla differenza (riferimenti a Lévinas: il tema del volto dell'altro).

Pedagogia dialogica

Il dialogo rappresenta uno strumento per arrivare alla conoscenza.
Ricoeur intende il dialogo in un' accezione che può essere utile nella pratica pedagogico-didattica come "scambio di memoria" che consente di tradurre per gradi una cultura che non si conosce ("straniera") nelle categorie tipiche della nostra cultura e presuppone un "trasferimento nell'ambiente culturale dalle categorie etiche e spirituali dell'altro". Il dialogo e la memoria, attraverso la "funzione narrativa" (una delle sue maniere più comuni di manifestarsi) consente che avvenga lo scambio fra le regole, le norme, le credenze, le convinzioni che "fanno l'identità di una cultura". Il dialogo interculturale dovrebbe impedire di restare spettatori indulgenti di fronte alle incongruenze di una cultura (la propria o un'altra). Sia in ambito sociale sia educativo-scolastico il problema non è tanto la varietà o la "dualità" delle culture, quanto piuttosto la loro coordinazione. Il dialogo (e perciò la discussione, l'argomentazione) intende come prima cosa riconoscere il rispetto dell'interlocutore per il semplice motivo di rendere possibile il dialogo stesso. Per Ricoeur il linguaggio è "autofondativo" nel senso che si presuppone da solo e per poter discutere bisogna che siamo d'accordo sul rispetto dell'altro che molto probabilmente sarà in contraddizione con noi nella discussione. Ma se c'è il dialogo vuol dire che siamo d'accordo sul rispetto reciproco. Se riusciamo a trasporre questo concetto filosofico sul piano della pedagogia ed applicarlo in ambito educativo pluriculturale, fino a farne la base di una metodologia di lavoro, non è difficile comprendere che l'insegnamento ne riceverà benefici. Troviamo testimonianza dell'importanza della funzione mediatrice del dialogo nelle opere di scrittori esuli: chi è totalmente immerso in una cultura, senza aperture, senza dialogo non riesce vederne gli aspetti negativi. Le degenerazioni di una cultura possono emergere attraverso il dialogo con chi, vivendo come esule all'interno di quella cultura, può giudicarla in quanto da straniero, sente di non appartenervi completamente, avendone una propria.
Todorov in La conquista dell'America si chiede come abbiano potuto gli invasori europei avere la meglio sulla moltitudine degli indigeni americani. Pur tenendo conto di diversi fattori: armi sofisticate, squilibrio tecnologico, divisioni fra gli indigeni, possesso di cani e cavalli, europei visti come essere sovraumani, un fatto così epocale non sembra poter essere sufficientemente spiegato senza aggiungere un elemento che per Todorov è decisivo: una qualità intrinseca alla cultura europea, che non apparteneva invece alle popolazioni indigene "la capacità degli europei di capire gli altri, di essere "elastici" e mutevoli". Una capacità che contiene in sé la abilità di entrare in contatto, di far proprio il linguaggio dell'altro, di impossessarsene, di improvvisare. Per Todorov questa è la caratteristica più tipica degli occidentali che ha permesso loro di imporre il proprio modo di vita, perché essendo riusciti a entrare dentro la lingua e le culture degli indigeni, hanno saputo poi piegarli ai loro voleri. Ma poiché ciò è avvenuto con la violenza della conquista Todorov auspica che ciò insegni un'altra strada: un dialogo in cui nessuno ha l'ultima parola, in cui nessuna delle voci riduca l'altro allo stato di semplice oggetto.

L'atteggiamento ermeneutico

L'educazione interculturale esige un lavoro continuo di interpretazione, da parte di chi insegna o di chi guida un gruppo di adolescenti o adulti in formazione, a incrociare punti di vista diversi nell'intento di farli convivere senza conflitto, richiede una capacità interpretativa continua che consenta di "disgelare le procedure e i contenuti del discorso, recuperando all'analisi il non detto, l'escluso ciò che è stato posto fuori del cerchio magico del discorso istituzionalizzato. L'ermeneutica ci permette di compiere questo aggiramento perché rende possibile un processo cognitivo destrutturate che sveli il nascosto e lo riporti nell'ambito del giudizio".

La citazione finale è di Lévinas "C'è un vecchio testo talmudico che mi ha sempre impressionato: Dio è del tutto straordinario. In effetti per battere moneta gli Stati ricorrono a un calco. Con un calco unico essi fanno molti pezzi tutti somiglianti. Dio, col calco della sua immagine, arriva a creare una molteplicità dissimile. Degli io, unici nel loro genere."

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Emanuela Cerutti    - 24-08-2005
Todorov fa pensare. Se stesse dialogando con Marcos, della Selva Lacandona, Chiapas, ai diversi fattori elencati per i pellerossa dovrebbe aggiungere qualcosa: ad esempio il saccheggio del legname delle foreste, o del caffè, del mais, del gas e del petrolio che l'Occidente capitalista opera sul sud messicano. Elementi che, già soli, non fanno venire in mente la capacità comunicativa di un ipotetico uomo occidentale (difficilmente distinguibile, tra l'altro, da quella di un barbaro macedone orientale che ci vollero degli elefanti per fermare nella sua sete di conquista), ma semplicemente i suoi propositi dominatori. Se la differenza razziale è una premessa, sarà difficilissimo giocare con i prefissi e i suffissi che mascherano la parola cultura. E, alla fine, rischieremo ancora una volta di vedere, nella foresta il selvaggio: buono, ma sfortunato, a differenza nostra.

 Anna Pizzuti    - 27-08-2005
Se la differenza razziale è una premessa, sarà difficilissimo giocare con i prefissi e i suffissi che mascherano la parola cultura scrive Emanuela.
Un se fragile, visto che sempre più la differenza razziale è una premessa.
E Marcello Pera è il suo profeta.

Dall’ intervento di Marcello Pera, seconda carica istituzionale di questa povera Italia al Meeting di Rimini. Intervento accolto da vere e proprie ovazioni.

2. La crisi di identità dell’Occidente e l’Europa

Che l’Occidente sia il teatro dei nostri problemi, lo si comprende riflettendo su due fatti.

Primo fatto. Come entità economico-politica, l’Occidente è una zona di alto benessere materiale, caratterizzato da elevato tenore di vita, larga produzione di beni e servizi, ampia ricerca scientifica, imponente progresso tecnologico, fenomeni di espansione e globalizzazione dei mercati. Ma questo benessere economico dell’Occidente non è un elemento indipendente da altri; esso è legato a modi specifici di convivenza civile, ordinamenti giuridici, costituzioni politiche, codici, carte o dichiarazioni dei diritti. La forma istituzionale tipica che la combinazione di questi elementi assume è quella che si chiama democrazia liberale o liberaldemocrazia.

Secondo fatto. Come entità etico-spirituale, l’Occidente è una civiltà, precisamente la civiltà caratterizzata da quei valori e princìpi che oggi le liberaldemocrazie affermano. Sotto questo profilo, le cose vanno diversamente. L’Occidente è da tempo avvolto in un ciclo di crisi ricorrenti. Le liberaldemocrazie si sono scontrate nella prima guerra mondiale; rinate dalla strage, produssero nel loro seno fascismo, nazismo, comunismo; risorte dal massacro della seconda guerra mondiale e vinta la guerra fredda, oggi si trovano alle prese con un indebolimento o una perdita della propria identità culturale, soffocata dall’opulenza materiale oltre che minacciata dal fondamentalismo islamico.

La combinazione di questi due fatti produce una contraddizione. Mentre come entità economico-istituzionale l’Occidente si espande, come entità etico-spirituale si contrae. Per un verso propone, per un altro s’interroga sulla bontà di ciò che propone. In questa scissione tra progresso materiale e crescita spirituale, risiede precisamente la crisi dell’Occidente.

Dico “Occidente”, ma la questione riguarda in particolare l’Europa. Perché è in Europa che i segni della crisi sono più allarmanti. Guardiamoci attorno e abbiamo il coraggio di dire ciò che si vede. L’elenco degli allarmi è lungo.

In Europa si evita di menzionare in un progetto, poi abortito, di Costituzione le nostre radici giudaico-cristiane, e solo dopo tanti sforzi ci si richiama genericamente e banalmente alle «eredità culturali, religiose e umanistiche».

In Europa si condanna un politico - mi riferisco al “caso Buttiglione” - perché, in fatto di omosessualità, afferma i suoi convincimenti morali cristiani anche se si dichiara rispettoso della legge pubblica.

In Europa si perde il senso religioso dei nostri costumi e della nostra tradizione e si impedisce o si rende precaria l’esibizione pubblica di simboli di identità religiosa, compreso la nostra - e qui mi riferisco alla legge francese sul velo e alla sentenza della nostra Corte costituzionale sul crocefisso.

In Europa rinasce l’antisemitismo e sono più le critiche allo Stato di Israele - la cui esistenza continua ad essere negata da alcuni Stati islamici - che gli atteggiamenti di comprensione, salvo adesso qualche ripensamento tardivo e timido sulla politica del premier Sharon.

In Europa si approvano leggi che disgregano la famiglia e si mettono con arroganza e protervia al voto popolare i valori della persona e della vita - il riferimento, chiaramente, è alla legge spagnola sulle coppie omosessuali e al referendum italiano sulla fecondazione assistita.

In Europa si diffonde l’idea relativistica che tutte le culture hanno la stessa dignità etica, nessuna è migliore di un’altra, tutte sono buone e giuste.

In Europa si pratica il multiculturalismo come diritto di identità irriducibile di tutte le comunità, non importa se genera apartheid, risentimenti e terroristi di seconda generazione.

In Europa si alzano le bandiere arcobaleno anche quando si è massacrati, e si ritirano le truppe dal fronte della guerra contro il terrorismo anche quando il terrorismo fa vittime in casa nostra - il riferimento è alle marce della pace contro l’America e alla decisione spagnola sull’Iraq.

In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta all’immigrazione incontrollata, e si diventa “meticci”.

E così via, di allarme in allarme.