Pro o contro le nuove proposte per il Tfr?
Redazione - 05-07-2005
Pubblichiamo due interventi, tra i molti che girano in rete, sull'argomento: uno è favorevole e l'altro contrario. Il tema, comunque, è estremamente importante e vale la pena soffermarsi un po' a riflettere, soppesando e mettendo a confronto le diverse posizioni. Per sapere cosa succederà nelle nostre tasche, ma più ancora quale stato sociale va d'accordo con le Riforme in atto, pensioni comprese.

  • IL SILENZIO DEI COLPEVOLI

    Più del 50 per cento dei lavoratori dipendenti in Italia ignora quale percentuale del proprio salario vada ogni mese alle casse dell'Inps come contributo previdenziale. Un altro 15 per cento sottostima abbondantemente (di almeno un quarto) l'entità di questo prelievo. Un lavoratore su due crede che i contributi versati all'Inps alimentino un suo fondo personale cui potrà attingere all'atto del pensionamento. I giovani coinvolti dalle riforme Dini, Amato e Prodi, sovrastimano le loro pensioni future e non di poco: pensano di avere diritto tra il 10 e il 20 per cento in più del loro ultimo salario.

    Disinformazione voluta

    Questa estesa disinformazione si spiega col fatto che i Governi che si sono succeduti in questi anni non hanno fatto nulla per assicurare una migliore informazione ai propri cittadini. Probabilmente perché temevano che gli elettori li avrebbero puniti una volta compreso di quanto le loro pensioni erano state ridotte. Oppure perché hanno pensato - è questa l'interpretazione più benevola - che una corretta informazione sui trasferimenti operati dalla previdenza (il fatto che i contributi servono a pagare le pensioni di altri) avrebbe corrotto il patto intergenerazionale implicitamente posto in essere dalle pensioni pubbliche. Si offrono più dettagli sulle riforme pensionistiche all'estero che in Italia: non c'è ad esempio un sito del Governo che illustri con esempi concreti di quanto varieranno le prestazioni di chi si troverà intrappolato nello "scalone" del 2008 introdotto dalla riforma Maroni-Tremonti.
    Questo silenzio consapevole, meglio colpevole, dei Governi ha costi elevati. Costa agli attuali contribuenti perché induce un comportamento passivo, inerziale: l'85 per cento dei lavoratori sostiene di non avere incrementato i propri piani di risparmio dopo riforme che hanno ridotto le loro pensioni future. Potranno avere brutte sorprese quando si ritireranno dalla vita attiva. Induce inerzia anche nell'azione dei Governi perché l'opposizione alle riforme che sarebbero necessarie per accelerare la transizione a un sistema pensionistico sostenibile (e non più solo pubblico) si nutre proprio di disinformazione. Chi è più informato è maggiormente favorevole a innalzare l'età di pensionamento o a ridurre le prestazioni. Insomma, la disinformazione serve solo ai Governi che vogliono lasciare tutto com'è, a dispetto delle generazioni più giovani e di quelle future.

    Il silenzio-assenso

    Il decreto sul trasferimento del Tfr ai fondi pensione varato venerdì scorso dal Governo è la misura dei costi della disinformazione. Giusto puntare ad alimentare col Tfr la previdenza integrativa. Ma i lavoratori che già adesso possono trasferire il Tfr ai fondi pensione non lo fanno. Soprattutto i più giovani non ne percepiscono i vantaggi in termini di diversificazione del rischio e di rendimenti attesi più alti. Il Governo si appresta allora a fare tre cose per evitare che l'operazione smobilizzo del Tfr nei fondi pensione sia un flop. Primo, introdurrà agevolazioni fiscali molto forti: le prestazioni di previdenza integrativa verranno tassate al 15 per cento, meno del primo scaglione Irpef, peraltro in controtendenza con l'armonizzazione del trattamento fiscale della previdenza integrativa a livello europeo (che prevede di detassare contributi e rendimenti e tassare le prestazioni). Secondo, compenserà in modo generoso le imprese che perderanno il Tfr, come se non avessero nulla da guadagnarci da questa operazione. Terzo, introdurrà il silenzio-assenso per cui, in difetto di scelta esplicita del lavoratore, il Tfr verrà devoluto a un fondo di categoria (se esiste) oppure a un fondo a contribuzione definita presso l'Inps.
    Con una migliore informazione non ci sarebbe bisogno di agevolazioni fiscali che introducono nuove asimmetrie di trattamento e graveranno pesantemente sui bilanci futuri, né di compensazioni così generose per le imprese (a regime si tratta di più di un miliardo all'anno, di cui non si è trovato ancora copertura). Non ci sarebbe bisogno neanche del silenzio-assenso perché apparirebbero ovvi, soprattutto ai più giovani, i vantaggi del trasferimento del Tfr alla previdenza integrativa.

    Come informare

    Ma come informare? Lo abbiamo proposto da tempo su questo sito. Mandando a tutti i contribuenti un rendiconto di quanto hanno versato e di quanto realisticamente potranno ottenere, proprio come si fa in Svezia, un paese che ha adottato un sistema pensionistico molto simile al nostro. Anche i sindacati giocano un ruolo importante nell'informare i lavoratori e nel coordinare le loro scelte. Se sono in pochi a trasferire il Tfr ai fondi pensione questi pochi correranno un rischio di licenziamento più elevato di chi non sposta il Tfr fuori dall'impresa. Bene che i lavoratori possano decidere, alla luce di cosa fanno i loro colleghi. Il coordinamento dei lavoratori è anche un modo per ridurre i veri costi per le imprese coinvolte in questa operazione: i costi amministrativi associati al dover trasferire i Tfr a una pluralità di fondi diversi.

    Un assenso rumoroso

    Insomma, quella del Tfr deve divenire un'occasione per fornire un bene pubblico - informazione su come funziona il mercato dei capitali e la previdenza pubblica - a tutti i lavoratori. Se non ci sono le condizioni per un assenso rumoroso e consapevole, se non si riesce a coinvolgere il sindacato in questa campagna di informazione, se non si arriva a varare una riforma del risparmio che rassicuri chi si rivolge per la prima volta al mercato dei capitali, allora tanto valeva obbligare tutti i giovani lavoratori a trasferire il Tfr ai fondi pensione, anziché varare un'operazione che lascerà un'eredità pesante ai bilanci futuri. Non ci si illuda, peraltro, che il silenzio-assenso esponga di meno il Governo all'ira di chi dovesse un domani trovarsi con rendimenti dei fondi al di sotto delle aspettative (e del Tfr). L'assenso silenzioso è una forma di delega allo Stato di questa decisione, nella fiducia che sia incentivata la scelta migliore per il lavoratore. Se i lavoratori oggi più vicini alla pensione dovessero accorgersi di "averci perso" con il trasferimento del Tfr ai fondi pensione, si sentiranno traditi da un Governo che li ha incoraggiati su questa strada.

    Tito Boeri
    da www.lavoce.info

  • TFR/FONDI PENSIONI: IL RE E' NUDO

    Nelle 'migliori' (sarebbe meglio dire peggiori) tradizioni delle assolate estati italiane, il primo luglio il governo Berlusconi ha approvato il disegno di legge del ministro Maroni con cui si dettano le condizioni per sottrarre dalle tasche dei lavoratori il TFR e per far decollare quei Fondi pensione di cui i lavoratori italiani non vogliono neanche sentir parlare: nel 2004 l'incremento di adesioni ai Fondi ha registrato un patetico 1%.

    Se la possibilità di pattuizioni aziendali e 'tra lavoratori' previste nel decreto 'in deroga' (diciamo) al conferimento automatico del TFR dei lavoratori ai fondi chiusi, scatena lo scontento dei sindacati cogestori dei Fondi negoziali - perché nella piccola e media impresa (che rappresenta il 95% del totale!) la bassissima sindacalizzazione e la ricattabilità dei lavoratori lasciano ampi margini alle scorrerie dei fondi aperti e assicurativi - il decreto è tutto incentrato sul tentativo, da una parte, di corredare l'adesione ai fondi di alcuni vantaggi sino ad ora garantiti dal TFR (possibilità di anticipazioni e portabilità) e, d'altra parte, di rendere appetibile l'adesione ai fondi attraverso il sistema delle agevolazioni fiscali.

    Quello che il decreto non fa, e non potrebbe fare, è risolvere la questione realmente dirimente che rende strutturalmente i Fondi pensione non concorrenziali rispetto al TFR, e questo al di là di ogni considerazione sulla natura di questi strumenti finanziari. Ovvero non viene fornita alcuna garanzia di rendimento che possa porre i lavoratori al riparo dai rischi insiti nel mercato finanziario.

    Il decreto 'pompa' un po' l'attesa di rendimenti senza poter intervenire su l'altra lama della forbice - il grado di rischio -, forbice che è l'unico strumento serio con cui dovrebbe essere valutato quello che è, né più né meno, un investimento finanziario a lunghissimo termine (40 anni!)

    Quello che si potrebbe dire è che 'il re si è denudato'.

    Qualcuno dovrebbe infatti spiegare ai lavoratori, stante il rendimento certo del TFR, perché questo - peraltro utilizzato dalle imprese per autofinanziarsi - debba essere tassato più del capitale che nei Fondi pensione finisce disperso sui mercati finanziari sparsi per il mondo.

    Perché le quote stabilite a carico dei datori di lavoro nei contratti collettivi divengano trasferibili 'per legge' da un tipo di fondo all'altro - anche aperto o assicurativo - ma non al TFR se il lavoratore decide di tenerselo.

    Queste domande si accompagnano a quella che riguarda il sapere dove saranno reperiti i 500/600 milioni di euro necessari a coprire - per il solo 2006 - il buco nei conti pubblici che produrranno le agevolazioni fiscali previste a favore delle imprese che perderanno la maggiore fonte di finanziamento costituito dal TFR. Agevolazioni che peraltro non risolvono il problema dell'accesso al credito delle aziende in crisi.

    In sostanza il decreto non ha spostato i termini della questione e svela ancora una volta come la cosiddetta previdenza integrativa, in specie sulla questione del TFR, non abbia nulla a che fare con il reddito dei futuri pensionati e abbia il solo scopo di pompare il mercato e la speculazione finanziaria sottraendo risorse dalle tasche dei lavoratori e, in realtà, anche dalle casse delle aziende produttive, introducendo specchietti per le allodole che dovranno pagare gli stessi 'poveri gonzi'.

    Ma la bramosia del ministro Maroni fornisce ai lavoratori un'inaspettata arma: mentre chi aderisce ai fondi pensione non può tornare al TFR, chi non aderisce nei sei mesi fissati dal decreto, potrà aderire ad un fondo in un qualsiasi momento successivo.

    E allora, comunque, perché un lavoratore dovrebbe cedere al ricatto dei sei mesi e all'imbroglio del silenzio/assenso'

    I lavoratori utillizzino questi mesi per chiedere e pretendere le risposte cui hanno diritto e per pretendere per il TFR i medesimi trattamenti fiscali e contrattuali inopinatamente proposti per i fondi pensione.

    Severo Lutrario
    da Attac Italia

    p.s. RENDIMENTI...
    ( tabella in formato pdf a cura di Severo Lutrario e Aldo Balestrieri)

    Nonostante le promesse per allettare i lavoratori a trasferire il TFR nei Fondi pensione, nessuno è in grado di prevedere quali congiunture, quali crisi economiche, politiche e sociali, quali innovazioni tecnologiche, quali capacità produttive influenzeranno l'andamento dell'economia dei quaranta anni lavorativi che aspettano chi oggi inizia a lavorare. Quello che però è certamente possibile fare è utilizzare i dati in nostro possesso per confrontare sulla base di questi il rendimento del TFR con le prestazioni che un eventuale Fondo pensione avrebbe dovuto ottenere per eguagliarlo nei passati quaranta anni. Cioè, se un operaio avesse iniziato a lavorare nel 1965 e andasse in pensione oggi, come si troverebbe se, nel 1965, avesse avuto l'alternativa del Fondo pensione?


      interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf