breve di cronaca
I nostri successi per la valorizzazione del capitale umano
Istruzione.it - 03-07-2005
Istruzione e formazione, tutti i "numeri" dell'Agenda di Lisbona
Il Ministro Letizia Moratti al convegno della Fondazione Biagi:
"Meno abbandoni, secondo ciclo, potenziamento del Life long learning e lauree scientifiche"


Il Ministro Letizia Moratti è intervenuto stamani (29 giugno 2005 - ndr) al Convegno sul tema "Scuola, Università, lavoro dopo la riforma Biagi", organizzato a Modena dalla Fondazione "Marco Biagi" dell'Università di Modena e Reggio Emilia, nel corso del quale ha tra l'altro illustrato le iniziative del Miur per formare e valorizzare il capitale umano e il capitale sociale in una sempre più stretta integrazione tra politiche del lavoro e politiche educative e formative.

Dopo aver sottolineato alcune delle intuizioni del giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse, e in particolare il principio che pone la persona al centro del sistema sociale, delle politiche per l'educazione e delle politiche del lavoro, "recepita con quella personalizzazione dei percorsi formativi, più rispondenti alle diverse esigenze degli studenti, che sta alla base della riforma del sistema dell'istruzione e della formazione", il Ministro si è soffermato sui risultati ottenuti in questo settore dall'Italia a seguito del processo avviato con il Consiglio europeo di Lisbona del 2000.

"Abbiamo operato attivamente per assicurare una più elevata qualità del sistema educativo", ha affermato il Ministro. "Tra i principali interventi realizzati dal 2001 ad oggi, rispetto alle cinque aree ritenute prioritarie dall'agenda di Lisbona, vogliamo evidenziare la diminuzione degli abbandoni precoci; il completamento degli studi secondari o superiori con l'introduzione di un sistema unitario articolato in due percorsi di pari dignità, quello dei licei e quello dell'istruzione e formazione professionale; l'innalzamento dell'obbligo scolastico e l'opportunità di alternanza scuola-lavoro; e inoltre le iniziative finalizzate alla diminuzione del numero dei quindicenni con scarsa capacità di comprensione della lettura, all'incremento degli immatricolati nelle lauree scientifiche, con un apposito progetto, e il potenziamento del sistema di Lifelong learning".

I dati citati dal Ministro Moratti rilevano, per esempio, una riduzione significativa del numero degli abbandoni in ambito scolastico e formativo prima dei 18 anni, ottenuta grazie ad una forte politica di orientamento coordinata dal Comitato nazionale per l'orientamento in collaborazione con enti, livelli istituzionali, agenzie formative e soggetti rappresentativi delle istanze del territorio: si è passati dal 25,3% del 2000, all'attuale 20%, rispetto ad una media europea dell'18,8%.

I percorsi di alternanza tra scuola e lavoro hanno dato, inoltre, la possibilità di utilizzare a fini educativi e formativi il potenziale presente nel sistema imprenditoriale e di avvicinare gli studenti al "fare" e all' "agire" e in particolare al mondo della produzione e del lavoro. Ancora, i percorsi di istruzione/formazione di durata triennale e quadriennale finalizzati al conseguimento di una qualifica professionale, definiti ed attivati in tutte le realtà regionali, sulla base dell'accordo quadro stipulato il 19 giugno 2003 tra Miur e Conferenza Unificata, hanno riguardato, sino ad oggi, circa 90 mila giovani che erano fuori dal sistema scolastico. Sono state inoltre rafforzate, attraverso progetti mirati, le iniziative a sostegno degli alunni in difficoltà, che hanno consentito di recuperare un consistente numero di insuccessi e di abbandoni scolastici e di incrementare il numero dei diplomati (oltre il 72%), avvicinandolo alla media europea.

Sul fronte della diminuzione del numero dei quindicenni con scarsa capacità di lettura, sono stati realizzati, nel triennio 2001-2004, tre progetti pilota di valutazione degli apprendimenti in italiano, matematica e scienze, cui hanno aderito circa 9 mila scuole, ed è stato predisposto di recente un ampio programma nazionale per il rafforzamento degli apprendimenti di base.
Infine, un rilevante impegno strategico, finanziario, organizzativo e operativo ha riguardato le politiche per la formazione continua e lo sviluppo complessivo delle competenze dei lavoratori occupati, in un'ottica di Lifelong learning. Il trend è in notevole crescita, poiché la percentuale dei lavoratori in formazione, che nel 2000 era pari al 13,9%, ha raggiunto, allo stato, il 20%. Sono infatti in rapida evoluzione tutte le modalità di intervento formativo (in particolare quelle a domanda individuale) e gli strumenti rivolti a target specifici: donne, lavoratori interinali e con contratto atipico, lavoratori della Pubblica amministrazione. L'attività del Miur è stata in questo senso finalizzata al potenziamento e alla diffusione di un sistema organico e strutturato di educazione permanente, sia attraverso la costituzione di reti integrate tra i Centri territoriali permanenti (Ctp), sia attraverso apposite misure di sostegno agli istituti di istruzione secondaria sedi di corsi serali. Si è registrato un costante aumento dell'offerta formativa dei Ctp, con il coinvolgimento di oltre 400 mila soggetti, di cui 116 mila stranieri.

E' stato altresì potenziato il sistema di Istruzione e formazione tecnica superiore (Ifts), con l'obiettivo di innalzare i livelli di qualificazione e di alta specializzazione tecnica superiore dei giovani e degli adulti. Dal 1999 ad oggi sono stati attivati sul territorio nazionale oltre 2200 corsi, con un trend di sviluppo annuale di circa il 27% e con il coinvolgimento di circa 40 mila giovani. Gli indirizzi professionali maggiormente richiesti sono stati quelli dell'area Telematica, Informatica e Multimediale, del settore dell'Industria e dell'Agricoltura.

"Questi positivi risultati ci incoraggiano ad andare avanti con determinazione nell'ultimo scorcio di legislatura", ha concluso il Ministro Moratti. "Vorrei sottolineare con orgoglio che nel recentissimo Rapporto "Prospettive sulle Pmi e l'imprenditorialità", presentato giovedì scorso a Trento nel corso della Conferenza internazionale sullo sviluppo dell'imprenditorialità, l'Ocse ha espresso un giudizio fortemente positivo delle nostre azioni, in particolare per quanto riguarda l'alternanza scuola-lavoro e la Rete telematica del "Progetto impresa formativa simulata", che coinvolge oltre 800 imprese reali. Nel giugno 2004 operavano 477 imprese di formazione simulata e altre 280 entreranno in funzione nel corso di quest'anno, coinvolgendo complessivamente 12.000 studenti".

Roma, 29 giugno 2005
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 Redazione    - 03-07-2005
Apriamo la discussione partendo da quelle che Solomon Gursky, su La Voce, che ringraziamo per l'opportunità, chiama:

RILEVAZIONI SENZA QUALITA'

In aprile si sono svolte le rilevazioni del "Servizio nazionale di valutazione degli apprendimenti", organizzate e gestite dall’Invalsi.
Per la prima volta da quando sono stati organizzati i cosiddetti "Progetti pilota", nel 2001-2002, si è registrata nelle scuole una notevole opposizione alle rilevazioni, a diversi livelli e con diverse motivazioni. Allo stesso tempo, prese di posizione critiche sono state assunte da parte di organizzazioni sindacali, di associazioni professionali e di genitori, di comitati spontanei che si sono formati in questi ultimi due anni in opposizione alla legge di riforma della scuola promossa dal ministro Moratti.

I motivi delle resistenze

Basta navigare un po’ in Internet per raccogliere un campionario dei motivi all’origine delle proteste che si sono manifestate nelle scuole. Alcuni di questi motivi sembrano francamente poco condivisibili, altri hanno ben diversa e più fondata motivazione. Tra i primi rientrano quelli che denunciano ipotetiche situazioni di stress a cui verrebbero sottoposti i "bambini" della scuola elementare; oppure quelli che sottolineano l’impossibilità e l’illegittimità di qualsiasi forma di rilevazione esterna, che non sia preventivamente negoziata e concordata con insegnanti e genitori. Altri motivi appaiono invece più fondati e più mirati.
Obbligatorietà delle prove. Da quest’anno la partecipazione alle rilevazioni è obbligatoria per il primo ciclo dell’istruzione (scuole elementari e medie). In realtà, non c’è alcuna circolare ministeriale che sancisca questa obbligatorietà. La comunicazione alle scuole è arrivata dall’Invalsi e sulla base della approvazione di alcuni provvedimenti normativi: la legge di riforma della scuola che prevede l’istituzione del Servizio nazionale di valutazione; il decreto legislativo con il quale è stato riordinato l’Invalsi, trasformandolo definitivamente (per ora) in Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione e della formazione; la pubblicazione delle Indicazioni nazionali, allegate al decreto legge 59/2004.
Ma in nessuno di questi documenti è sancita esplicitamente la obbligatorietà della partecipazione alle rilevazioni. Il Miur ha interpretato in termini di obbligatorietà quanto nel decreto istitutivo del Servizio nazionale di valutazione viene presentato in termini di "concorrenza": "(...) al conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1 concorrono l'Istituto nazionale di valutazione di cui all'articolo 2 e le istituzioni scolastiche e formative".
L’oggetto della rilevazione. Per la costruzione delle prove si è fatto riferimento agli Osa (Obiettivi specifici di apprendimento) contenuti nelle Indicazioni nazionali. Le Indicazioni sono allegate al decreto 59/04 e di fatto non si possono ancora considerare obbligatorie (anche in riferimento alla normativa vigente sull’autonomia delle istituzioni scolastiche).
Il campo della rilevazione. La rilevazione è limitata agli apprendimenti. Non viene utilizzato alcun questionario che consenta di interpretare i risultati conseguiti con le variabili socio-culturali di provenienza degli studenti. Il cosiddetto "questionario di sistema" a tutto aprile non era stato ancora inviato alle scuole e, comunque, non è prevista una sua utilizzazione per analizzare le variabili di contesto (scolastico) in rapporto ai risultati conseguiti dagli studenti nelle prove. Ulteriori critiche vengono rivolte all’attendibilità e alla trasparenza delle procedure di rilevazione, alla valenza culturale delle prove, all’uso dei risultati della rilevazione.

Le ambiguità e le contraddizioni

Queste critiche sarebbero già di per sé abbastanza rilevanti. In realtà la situazione è ancora peggiore, gli elementi di ambiguità e di contraddizione sono più numerosi.
Innanzitutto, permane l’ambiguità sull’oggetto delle rilevazioni. Leggendo i vari documenti normativi e i materiali pubblicati sul sito dell’Invalsi, di volta in volta si parla di Osa, di conoscenze e abilità, di competenze. Su questo punto specifico va ricordato che la legge di riforma riserva esplicitamente alle rilevazioni nazionali il compito di individuare soltanto le conoscenze e le abilità, ma non le competenze, la cui valutazione è spetta in modo esclusivo degli insegnanti.
In secondo luogo, anche se l’obiettivo dichiarato sembra essere quello di contribuire alla valutazione del sistema scolastico, la decisione di condurre una rilevazione non campionaria, ma censimentaria farebbe pensare alla volontà di utilizzare i risultati delle rilevazioni per valutare le singole scuole. Del resto, il ministro Moratti ha più volte affermato che, grazie al Servizio nazionale di valutazione, i genitori avranno utili elementi di giudizio per decidere a quale scuola iscrivere i propri figli.
In terzo luogo, il periodo dell’anno scolastico in cui vengono effettuate le rilevazioni è quanto meno singolare. Non siamo ancora alla fine dell’anno scolastico e quindi le rilevazioni non possono riferirsi a quanto gli studenti hanno acquisito nelle classi che stanno frequentando. D’altro canto, sono passati ormai troppi mesi perché le rilevazioni possano essere destinate a misurare i risultati conseguiti nel precedente anno scolastico. È chiaro quindi che, da questo punto di vista, la rilevazione non è né carne, né pesce.
Ma dopo tre progetti pilota non è più accettabile che ancora si parli di una prova volta a "testare la macchina organizzativa".
La riforma prevede che queste rilevazioni debbano in futuro essere effettuate all’inizio dell’anno scolastico per poter essere utilizzate in funzione diagnostica da parte degli insegnanti e delle scuole. Chi abbia un minimo di consuetudine con i problemi connessi alla realizzazione di rilevazioni su scala così larga e con i problemi legati alla elaborazione e alla analisi dei dati, sa bene che tutto ciò richiede alcuni mesi di lavoro e che quindi tale obiettivo è chiaramente non perseguibile.
Un quarto motivo di ambiguità, anzi di forte critica, è relativo alla qualità delle prove utilizzate e delle modalità con cui sono state elaborate. Fino ad ora non un solo dato è stato reso pubblico sulle caratteristiche metriche delle prove.
Preoccupa anche il fatto che tali prove non sono accompagnate – come è prassi normale in tutte le indagini – da questionari volti ad acquisire informazioni sulle variabili di contesto. In che modo interpretare, quindi, i dati raccolti? L’assenza di informazioni su tali variabili sarebbe giustificabile solo se la rilevazione avesse per obiettivo la certificazione di livelli di prestazione predefiniti. Ma questo non accade nelle "valutazioni di sistema" e, comunque, presuppone la definizione di standard di prestazione, articolati per ciascun anno scolastico, che nessuno ha provveduto a predisporre.

I rischi e i danni in prospettiva futura

Purtroppo, le reazioni negative determinate dal modo in cui le rilevazioni vengono impostate e realizzate stanno trasformandosi in un rifiuto generalizzato nei confronti della valutazione tout court. Il rischio è che sarà sempre più difficile distinguere tra posizioni di conservazione, contrarie a qualsiasi introduzione di momenti seri di valutazione nel nostro sistema scolastico, e posizioni che giustamente individuano le ambiguità e le caratteristiche negative delle rilevazioni in atto. Per anni, si è parlato della necessità di lavorare per la diffusione di una cultura della valutazione nella scuola, tra gli insegnanti e anche tra studenti e genitori.
L’impressione è che la (scarsissima) qualità delle rilevazioni proposte dall’Invalsi nell’ambito del nuovo sistema di valutazione vadano in direzione opposta, con il rischio di buttare il "bambino" della valutazione insieme all’acqua sporca delle rilevazioni di quest’anno.

Solomon Gursky
27-06-2005
tratto dal sito www.lavoce.info

 Anna Pizzuti    - 03-07-2005
La somministrazione delle prove Invalsi è accompagnata da un questionario denominato Indagine nazionale sul funzionamento delle Istituzioni scolastiche, o, per usare gli acrostici tanto cari a questo MIUR, Funpreis.
Il questionario dovrebbe servire ad inquadrare i risultati – si fa per dire – ottenuti dalle scuola, sullo sfondo dell’organizzazione del servizio scolastico, delle prestazioni e delle azioni di miglioramento: una procedura corretta e dovuta, in effetti, perché tutti sappiamo quanto tutto ciò che riguarda la scuola vada contestualizzato. Alla realtà.

Il problema però, come tutto quello che riguarda l’Invalsi, sta nel passaggio dalle intenzioni alla pratica.

Se qualcuno avrà la pazienza di dare un’occhiata al testo dei questionari si renderà conto della banalità e della genericità delle domande, per cui mi chiedo a cosa possano servire le risposte, quali meccanismi di incrocio possano essere creati per collegare la valutazione dei risultati al contesto.
Un contesto che, in più, viene “dichiarato”, in termini numerici e “nominalistici”e in nessun altro modo documentato.
Accenno solo di sfuggita a qualcuna delle incongruità che ho rilevato ( ad esempio il “di cui femmine” aggiunto alla colonna in cui si chiedeva il numero e la tipologia dei docenti, o la presenza on line della voce “esperto per l’obbligo scolastico” che nella versione cartacea manca tra le opzioni di risposta ad una domanda e chiaramente il problema non sta in questo ma in che cosa potesse intendere il compilatore, di questi tempi, per “obbligo scolastico”, oppure richiami a qualcosa che da anni non esiste più, come il “progetto giovani” che risale alla metà degli anni ‘90) per passare invece alla domanda che mi si è venuta formando durante tutte queste sere afose trascorse a combattere con il form di compilazione.
Mentre le pagine del sito si caricavano con una lentezza estenuante, mi venivano in mente tutti gli altri monitoraggi ai quali, on line o in ogni altro modo, siamo sottoposti e il caso ha poi voluto che queste riflessioni trovassero una conferma.
Avevo notato che le informazioni riguardanti le dotazioni tecnologiche venivano richieste solo alle scuole paritarie ed alle province autonome e non a tutte le altre istituzioni scolastiche. Dubitando di aver compreso bene, ho scritto al servizio di consulenza on line del sito, per chiedere spiegazioni. La risposta, arrivata quasi in tempo reale, mi informava che “il Miur appronta da anni una ricerca sistematica, pertanto questi dati non vengono ulteriormente richiesti alle istituzioni scolastiche.

Ho cominciato allora a cercare quanti altri sono i dati – richiesti dal questionario - sui quali il Miur “appronta ricerche” e ne ho trovati diversi:

1) rilevazione degli esiti degli esami di Stato

2)indagine sulla prova di matematica

3) risultati degli scrutini

4) dispersione.

Molte di queste ricerche fanno capo alla Direzione generale studi e programmazione del Miur che ne ha, assegnate d’ufficio, anche molte altre.
Per non parlare di tutta l’attività di documentazione svolta dell’Indire, pubblicata nell’apposita sezione che ha proprio il compito di documentare la scuola.
In più, mi è venuto in mente, le scuole lavorano su un sistema informatizzato che - con una dolce omonimia con la romantica imperatrice interpretata da Romy Schneider - è denominato Sissi e nel quale vengono immessi tutti i dati riguardanti gli alunni.

Da qui a chiedermi l’utilità di quello che stavo facendo ed a valutare la dispersività di tutte le attività con le quali il Miur sembra voler solo giustificare l’esistenza di parte di se stesso e di molte delle sue emanazioni, il passo è stato breve.
La dispersività ed i costi. Quanti dei milioni di euro impegnati nel bando emesso per appaltare a qualche impresa specializzata la lettura ottica delle prove, serviranno a leggere ed elaborare anche i dati del (o della?) Funpreis?

Ma anche a non volerne fare una questione di spese, o se comunque così non fosse, quale valorizzazione del capitale umano che non sia quella dei burocrati, per un altro tassello di questa valutazione senza alcuna qualità?

Se per capriccio e paradosso della sorte, mi fossi trovata a far parte di uno dei gruppi di lavoro dell’Invalsi, invece di questo macchinoso questionario on line, avrei semplicemente chiesto alle scuole di inviare esempi della programmazione predisposta per le discipline oggetto delle prove. Probabilmente mi avrebbero fatto notare che la scuola elementare e media riformata avrebbero avuto problemi, considerato che – stando alle Indicazioni – debbono predisporre piani di lavoro personalizzati; la mia proposta non sarebbe stata approvata, ma almeno avrei trovato il modo di far emergere l’ennesima contraddizione.