Intervista con Lella Costa
Laura Tussi - 01-07-2005
Come colloca la Sua storia di formazione rispetto al personale impegno politico e culturale?

Appartengo ad una generazione che ha scoperto la politica nel momento in cui praticamente scopriva la vita di relazione, lo studio, la musica, il fatto che avere diciotto anni di colpo poteva voler dire essere protagonisti del mondo, mentre fino a pochissimi anni prima non si esisteva come entità né individuale, né collettiva, fino all'età adulta. Personalmente l'impegno politico è stato quasi fisiologico e non ricordo, dal ginnasio e dal liceo in avanti, un momento della mia vita che non fosse legato in qualche modo alla politica, in senso sicuramente più classico e meno contemporaneo, vale a dire la relazione continua con quello che ci circonda, con la gestione della "cosa pubblica", l'assunzione di responsabilità rispetto ai temi che via via si affacciavano. Appartengo ad una generazione che ha attraversato, a volte sfiorato, a volte si è fatta coinvolgere in eventi straordinari e terribili come gli anni del terrorismo. Non penso che potrei prescindere da tutto questo, il che non vuol dire che abbia mai avuto la classica tessera di partito, né una militanza di tipo tradizionale, ma sono sempre stata legata ai valori della sinistra, per cui non amo il prefisso "ex" e quindi faccio fatica a definirmi in base ad esso. Trovo aberranti certi tentativi di criminalizzazione di quella che è la storia. Ricordo un'intervista di Nina Vinchi collaboratrice e moglie di Paolo Grassi, fondatrice del Piccolo Teatro insieme a Strehler a cui è stata posta una domanda rispetto a come si sentisse di fronte a tutte queste correnti revisioniste e lei dichiarava che Comunismo e Socialismo rimangono la più bella teoria e ideologia rispetto alla liberazione e all'uguaglianza degli uomini che sia mai stata formulata, anche se non si è riusciti ad applicarla, come capita spesso con le idee importanti.

Come può il centro sinistra far fronte alle nuove ed incombenti sfide dettate da una società e da un mondo sempre più globalizzanti, segnati da diversità multiculturali e dalla coesistenza di variegate culture e differenti modi di essere e di pensare?

Il centrosinistra dovrebbe prima dimostrare di esistere al fine di affrontare queste che sono tematiche complesse, ma non impossibili da risolvere: c'è stato ben altro di difficile. Credo che il vero problema consista nella mancanza di un'identità collettiva, di un progetto comune forte che non sia pieno di dettagli, ma con alcuni punti cardinali come la giustizia sociale, la garanzia di alcuni servizi pubblici indiscutibili ed intoccabili che sono l'assistenza, la previdenza, la scuola, la ricerca e la costituzione. Trovo molto poco corretto abrogare quest'ultima nei momenti in cui non si riesce a metterla in atto. Quello che mi sembra veramente pernicioso in questo Paese è l'impossibilità di liberarsi da quelli che sono i ciarpami, le usanze, le corporazioni, i linguaggi interni e i codici segreti della vecchia politica. Il Paese ha fatto tanti passi avanti, nonostante una spaventosa campagna, prima ancora che politica, culturale, prorogata da Berlusconi e dal suo gruppo in modo assolutamente scientifico ed efficace. Il problema dell'Italia è che non esiste un centrosinistra o comunque permane un'entità ondivaga che ad ogni minimo appuntamento e scadenza sprofonda nel disastro. Cominciano le spaccature, i protagonismi, ricominciano i problemi di visibilità professionale e quindi assistiamo a questo scempio del patrimonio elettorale, politico e culturale di una formazione come la Margherita che sta non soltanto facendo a pezzi se stessa, ma l'intera coalizione. Mi pare che manchi totalmente il senso di responsabilità e che sia totalmente assente in modo sempre più vistoso, plateale e temo incolmabile quello che Nanni Moretti denunciò a Piazza Navona che "il Paese reale sta da tutt'altra parte" e non mi pare neanche un caso, per esempio, rispetto a quest'ultima questione referendaria in cui c'è stata una campagna centristica vergognosa, antidemocratica, totalmente illiberale, però gli schieramenti si sono giocati al di là delle appartenenze politiche e partitiche, ma sulla trasversalità delle opinioni, dando la dimostrazione che quello che serve sono delle prese di posizione etiche, non nel senso dello stato etico che decide per gli altri, ma nella forza delle idee e dei principi a cui si fa riferimento. Questo mi sembra il problema del centrosinistra in questo momento storico.

Le ultime guerre in medio oriente fanno intravedere diverse tipologie di dittatura. Quali ne sono le caratteristiche e le negatività più salienti?

Sono guerre che spesso diventano talmente endemiche che non ci si ricorda quando sono iniziate e non si immagina nemmeno una fine, penso ovviamente al conflitto tra Israele e Palestina che è spaventoso per tutti. Le vittime delle guerre contemporanee sono sempre i civili. Questo mi sembra il dato spaventoso e incontrovertibile e drammatico sul quale se ci fosse una coscienza internazionale vigile si dovrebbe intervenire, mentre le vittime civili sono considerate i danni collaterali delle guerre. Penso che la mancanza di tradizione democratica, per quello che riguarda certi Paesi e la sfiducia che si è andata accumulando proprio nei confronti della prassi democratica per i paesi che hanno fatto questa scelta, sia uno dei mali più gravi. Le tentazioni di dittatura o comunque di regimi forti sono sotto gli occhi di tutti e portano alle nefandezze che vediamo. Questo tipo di dittature e di tensioni continue alimentate artificiosamente tra popoli che naturalmente sarebbero destinati alla convivenza pacifica, non fanno che esasperare e peggiorare questi sintomi veramente cancerosi come nel Kossovo, nella Serbia, in Bosnia, a Beslan come emblema formidabile della ignominia a cui siamo arrivati, di come si sia raggiunto un punto di non ritorno, perché fino a prima di Beslan queste cose succedevano in un mondo che potevamo ancora ritenere "altro": l'Africa, un certo Oriente. Vorrei che questo non si dimenticasse perché è sicuramente patologia della società, però non dimentichiamoci che tutto questo è stato alimentato in modo scientifico da una precisa politica fatta dalla ex Unione Sovietica. Negli ultimi dieci anni in Cecenia, sono stati uccisi 40.000 bambini prima dell'eccidio di Beslan. Questo non giustifica minimamente lo scempio e il massacro di Beslan, però forse non bisognerebbe mai dimenticare quando un episodio è estremamente nefando, da dove proviene, che cosa è successo prima e che cosa è successo intorno. Questo è sempre evidente anche in Palestina, in Israele, in Afganistan, in Iraq, in ex Iugoslavia come fenomeno in ebollizione e noi Italia però continuiamo a coltivare spinte secessioniste e tentazioni di federalismo, ancora una volta anticostituzionali.

La Shoah ha precipitato l'umanità verso un abietto declino. Cosa occorre attualmente per esorcizzare ogni spettro di genocidio, stillicidio, di conflitto armato e di negazione di ogni tipologia di diversità all'interno del tessuto sociale? Esistono strategie politiche certe e determinate da parte dei partiti progressisti per far fronte a queste terribili evenienze?

La Shoah ci ha insegnato che dobbiamo mantenere viva la consapevolezza che non si può e non si deve usare in modo improprio il termine genocidio. La Shoah è stata "il genocidio". Se penso a quello che è successo in Ruanda dieci anni fa con qualche milione di morti in un attimo. Al di là dell'orrore per qualsiasi forma di guerra e di conflitto armato, però c'è un aggravante per futili motivi, ossia quando l'accanimento e lo sterminio vengono decisi e stabiliti in base ad una convinzione folle, senza alcuna giustificazione, quando si inventa un nemico per esorcizzare le proprie paure, per galvanizzare un popolo e per dargli un obiettivo. In questo senso credo che non soltanto i partiti, ma in generale la società civile, la scuola per esempio, la cultura potrebbero fare molto e monitorare costantemente e fare sempre il punto della situazione. Spesso sentiamo dire che non si può parlare di regime in Italia. Sicuramente è così se prendiamo ad esempio le vere dittature in cui non esiste un'opposizione, però dal punto di vista del dominio e del controllo dei mezzi di informazione della cultura, direi che si tratta di un regime comunque, magari non assolutista, e in cui valgono regole democratiche, ma un regime culturale pesantissimo. Dubito che i partiti in questo momento, in quanto partiti, siano in grado di svolgere un ruolo di monitoraggio, di prevenzione alla dittatura. Le persone che fanno politica però e che normalmente militano nei partiti di tradizione democratica possono fare moltissimo, direi proprio come individui che non come forma partitica.

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