Referendum, partecipazione e democrazia
Aldo Ettore Quagliozzi - 11-06-2005
Sarà mai pensabile e quindi possibile che i pronunciamenti " inopportuni " sui fatti temporali del bel paese da parte degli esponenti religiosi, e non solo, della chiesa di Roma, possano fare sorgere sensi di colpa, o di grave peccato, nelle moltitudini dei fedeli di quella confessione?
Ma quando essi giungeranno a realizzare compiutamente la loro dualità di credenti e di cittadini? Or è tanto il tempo passato da quando la chiesa di Roma li ha sciolti da incredibili, antistorici vincoli di non partecipazione alla vita politica del bel paese, per cui non avrebbe senso che le loro coscienze venissero attanagliate dal senso profondo del grave peccato.
E' che, nei decenni trascorsi, quella dualità ha stentato a crescere, o forse ne è stata impedita la crescita, o solo si è operato un tentativo di impedirne la crescita, come in questa ultima occasione al pari delle precedenti.
Ecco allora comparire, come volteggianti lugubri spiriti venuti da un altrove, i maestri del pensiero profondo, a dettare indicazioni perentorie che assumono il dettato proprio degli editti, se non quello degli anatemi di infausta memoria.
Ha scritto Eugenio Scalfari in un suo importante saggio pubblicato sul quotidiano " la Repubblica " del 7 novembre 2004, e già tante volte citato, col titolo " Perché non possiamo non dirci laici ":

" ( ... ) Il laicismo ha il suo culmine nell'abolizione dell'idea stessa di peccato. Non c'è peccato se non quello che rafforza le pulsioni contro l'altrui libertà.
Non c'è peccato se non l'egoismo dell'io e del noi contro il tu e il voi. Non c'è peccato se non la sopraffazione contro l'altro e contro il diverso.
Il laico non è relativista né, tantomeno, indifferente. Soffre con il debole, soffre con il povero, soffre con l'escluso e qui sta il suo cristianesimo e il suo socialismo.
Perciò il laico fa proprio il discorso della montagna. Fa propria la frusta con la quale Gesù scaccia i mercanti dal tempio della coscienza, si da' carico dell'Africa come metafora dei mali del mondo.
Il laico vuole l'affermazione del bene contro i mali, i tanti mali che abbrutiscono l'individuo sulla propria elementare sussistenza impedendogli di far emergere la propria coscienza, i propri diritti e i propri doveri al di sopra della ciotola sulla quale reclina la poca forza di cui ancora dispone per appagare i bisogni primari dell'animale nudo che è in lui.
E' secondario che il laico abbia una fede e dia sulla base della propria fede un senso alla sua vita, oppure che non l'abbia, non creda nell'assoluto e non veda nella vita se non il senso della vita e non veda nella morte se non la restituzione della sua energia vitale ai liberi elementi dalla cui combinazione è nata la sua consapevole individualità. ( ... ) "

Ecco, per l'appunto, una " consapevole individualità ", che possa sorreggere ed orientare tanto il laico credente quanto il laico non credente, uniti insieme per costruire una società se non di eguali almeno più giusta, più disposta all'ascolto dell'altro, altro che porta nel suo anelito vitale bisogni diversi, altre idealità.
Ci soccorre in questo abbozzo di riflessione, in uno dei momenti politico-sociali più difficili e controversi del bel paese, la bella e ragionata corrispondenza di Furio Colombo apparsa sul quotidiano " l'Unità ":

" ( ... ) Cerchiamo di essere chiari. Decidere di non andare a votare fa parte dei diritti di ogni persona ed è una sua libera scelta.
Invitare a non andare a votare è un fatto completamente diverso. Ed è diverso anche dal fare propaganda politica, culturale, psicologica, morale per il sì o per il no.
Il sì e il no puntano a un risultato, il mio contro il tuo, come in ogni battaglia democratica. Il messaggio pubblico di astensione mira invece a cancellare sia il sì che il no, e ha come unico scopo il tentativo di impedire che opinioni, persuasioni e passioni di ciascun cittadino su una materia tanto importante non possano trasformarsi in un voto, e dunque non esistano.
( ... ) Ecco perché non è rispettabile chi, dall'alto di una carica pubblica, invita a non votare. La differenza è nel colpo inferto alla democrazia ( dunque alla salute di un corpo sociale di un Paese ) dall'invito autorevole a pubblico a far fallire il voto.
Infatti il voto, e l'atto di votare, sono il cuore della democrazia, il punto in cui nasce la libertà. Tanto che a volte, come è accaduto in Italia nel 1945, la libertà di quel voto, di ogni voto, si è dovuta conquistare col sangue.
Colpire in modo pubblico e autorevole quella libertà è grave violazione del solenne patto con i cittadini sancito dalla Costituzione.
Se l'autorità che si fa avanti per persuadere a non votare è religiosa, la gravità dell'evento consiste non nella interferenza ma nel problema morale che tale interferenza pone.
Essa significa: non ci importano le vostre leggi. Non ci importano le vostre opinioni. Non ci importa il modo in cui intendete esprimere tali opinioni. Non ci importa la vostra libertà. Noi abbiamo già deciso e voi avete l'unica opzione di sottomettervi.
Se l'autorità che annuncia l'astensione, ne dà l'esempio, e ad essa incita, è autorità istituzionale, si vedono bene sia la responsabilità giuridica ( far fallire una consultazione elettorale ) sia l'assurdità politica.
Il caso di questi giorni in Italia mette bene in evidenza i due aspetti. Il presidente della Camera e il presidente del Senato eletti sia dal voto dei cittadini che da quello dei deputati e senatori a presiedere due Camere parlamentari la cui missione è discutere e votare, invitano i cittadini a non votare.
Facendolo, dicono che il voto di quei cittadini non conta, che la questione a cui stanno dedicando le loro discussioni e a cui vorrebbero dedicare il loro voto non interessa le istituzioni dello Stato. E mostrano pubblicamente di disprezzare un istituto democratico - il referendum - previsto dalla Costituzione.
E' vero che un espediente del genere è già stato usato ( sia pure raramente ) in Italia. Ma mai da due delle più alte cariche dello Stato, mai da personaggi simbolo che rappresentano il ramo legislativo dei poteri democratici, dunque il luogo, il senso e il valore del voto.
Il fatto che ciò sia accaduto umilia e imbarazza, perché permette al mondo di immaginare l'Italia e la sua democrazia dominate da ventate di predicazione religiosa che di volta in volta impartisce ordini alla politica e alle istituzioni.
Lo fanno senza dover mai rendere conto della sovversione ( sovversione vuol dire capovolgimento ) del funzionamento istituzionale di una Stato democratico.
L'augurio che si deve fare di cuore alle gerarchie ecclesiastiche italiane e vaticane, e alla seconda e terza carica dello Stato, che hanno giocato il proprio grande prestigio pur di cancellare un voto, è che il loro appello fallisca.
Se i cittadini italiani andranno liberi e in gran numero a votare, quel voto ( qualunque ne sia l'esito ) cancellerà una delle più brutte pagine della vita italiana. Consentirà di dimenticare la ferita che si sta tentando di infliggere alla democrazia e a chi vi partecipa. "

" Qualunque ne sia l'esito ". Così Furio Colombo scrive nella sua corrispondenza. Una notizia che è una conferma. Nel telegiornale delle ore 14.00 della regione ******** di oggi 10 di giugno, il cronista, " inscenando " un breve dibattito sui referendum del 12 e 13 di giugno, ha presentato gli esponenti delle " parti avverse " nel referendum, ovvero la rappresentante del " Si " e, ignorando l'esistenza di una legittima e democratica posizione referendaria del " No ", il rappresentante del non voto, ovvero dell'astensionismo più ottuso, di quella posizione abusata e non rappresentativa dei quesiti referendari. Che pena da parte del pubblico servizio televisivo!


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 Pierluigi Nannetti    - 16-06-2005
Indipendentemente da altri aspetti di contenuto (e certamente molto importanti) io vorrei porre un problema, che ogni tanto é stato affrontato sia prima che dopo lo svolgimento del referendum, ma non con
la chiarezza dovuta, almeno secondo me.
Intendo dire dell'ingerenza del vaticano così invadente, quanto intollerabile e, a mio avviso, anche illegittima.
Di fronte a chi sostiene la legittimità dell'astensione non si può obiettare nulla; chi lo fa si arrampica sugli specchi: da un lato il diritto di voto é si un dovere civico secondo la nostra Costituzione, ma, dall'altro,
é pur sempre un diritto e, in quanto tale, un diritto può essere esercitato, oppure no, del tutto legittimamente. Magari chi si astiene può essere considerato indegno, ma solo sotto il profilo morale e, da
questo punto di vista, si possono esprimere varie valutazioni anche contrapposte, senza conseguenze di natura giuridica.
Altra cosa é organizzare l'astensione approfittando della possibilità di sommare ogni tipo di tale astensione per determinare uno specifico risultato, quello dell'invalidazione dello stesso referendum, in quanto, per la sua validità, la Costituzione prevede il quorum di partecipanti nella misura del 50% più 1. E penso anche che un'organizzazione politica abbia pure a sua disposizione un tale strumento e che il suo uso sia perfettamente legittimo, *ma non lo può fare la gerarchia vaticana*.
Infatti, così facendo, la gerarchia vaticana interviene pesantemente nel funzionamento delle istituzioni dello stato e, dunque, determina con tale sua ingerenza il modo stesso di funzionare dello stato. E' questo che, secondo me, non solo é intollerabile sotto il profilo politico (l'Italia é rimasta l'unico paese dove la laicità dello stato é ancora tutta da conquistare) ma *é censurabile anche sotto il profilo della legittimità*, in quanto la separazione di chiesa e stato ne risulta pesantemente compromessa.
Insomma libertà, anche per la chiesa, di esprimere la sua valutazione sul contenuto delle questioni poste in discussione, ma non riconoscimento del suo diritto a determinare un uso invece che un altro delle istituzioni dello stato, come invece é accaduto essendo intervenuta direttamente per dare l'indicazione dell'astensione.
Secondo me, nel caso specifico del referendum abrogativo (il problema infatti é che qui é previsto un quorum per la sua validità, tanto che organizzare l'astensione in un referendum costituzionale - dove non c'é quorum - non avrebbe letteralmente senso) un conto é se l'organizzazione dell'astensione proviene da movimenti e partiti politici, altro conto é
se proviene dalle gerarchie vaticane. In tal caso, l'organizzazione dell'astensione implica la scelta di un meccanismo istituzionale allo scopo di determinarne una sua particolare funzione. Nel caso specifico si é trattato di scegliere un comportamento invalidante del referendum stesso, approfittando proprio dell'esistenza del famoso quorum. E questa ingerenza ha significato apertamente la violazione del principio costituzionale che afferma la sovranità e l'indipendenza dello stato, corrispettivamente alla
sovranità e indipendenza della chiesa, ma esclusivamente nel suo ordine.
Dunque, secondo me, la cosa più grave é stata la violazione, da parte della gerarchia vaticana, dell'art. 7 della Costituzione, quello che dice che stato e chiesa sono, nel proprio ordine, sovrani e indipendenti (cito a memoria, ma mi pare proprio così).
Non sottovaluto tutte le altre violazioni delle leggi elettorali (o anche dell'art. 48 della stessa Costituzione), da parte della stessa gerarchia vaticana o di persone a capo di importanti istituzioni (in particolare il Presidente della Camera e il Presidente del senato), ma la violazione dell'art. 7 mi pare cosa ancor più grave, in quanto mette
in discussione proprio il fondamento dello stato, cioè la sua sovranità e indipendenza.
Pierluigi Nannetti