Capire le staminali
da Liberazione on line - 10-06-2005




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 da Galileo news    - 10-06-2005
REFERENDUM
Perché Galileo vota sì
di Elisa Manacorda


I lettori che ci seguono con una certa costanza avranno notato l'impegno di Galileo, cioè di tutte le persone che quotidianamente contribuiscono al giornale con il loro lavoro, nel prossimo referendum sulla Legge 40. Abbiamo ospitato sulle nostre pagine i contributi dell'Associazione Madre Provetta, abbiamo dato voce ai malati (di emofilia, di distrofia muscolare, di talassemia) che si battono per la modifica degli articoli che li penalizzano, abbiamo esplorato le ragioni del Sì attraverso gli studi clinici e le ricerche pubblicate sulle principali riviste scientifiche nazionali e internazionali. A tre giorni dall'apertura delle urne, il 12 e 13 giugno prossimi, sentiamo dunque la necessità di spiegare i perché di una posizione così netta e convinta.
Alla base del nostro impegno sta innanzitutto un radicato attaccamento alla democrazia, di cui il referendum è strumento basilare. Come ricorda la Costituzione, il voto è oltreché un diritto, anche un dovere civico. Un dovere non coercibile, ovviamente, per cui l'astenersi dall'esercitarlo è per ognuno di noi una scelta legittima. Troviamo però molto discutibile che i massimi rappresentanti delle istituzioni lo propagandino come scelta appropriata. E la spiegazione in chiave "strategica" di questa scelta - far fallire il referendum per evitare la vittoria dei Sì - è ancora più sconcertante: si auspica infatti che una minoranza imponga il proprio volere a una maggioranza. Un altro motivo di grande disagio per chi, come noi, crede in uno Stato laico, è l'intervento diretto delle gerarchie ecclesiastiche (dagli alti prelati sino ai piccoli parroci) nella lotta politica referendaria. Intervento che non mira legittimamente a orientare le coscienze secondo i dettami della Chiesa, ma a far fallire una consultazione referendaria di uno Stato sovrano, impedendo un confronto franco tra i cittadini dei due diversi schieramenti.

E ancora. I sostenitori del No e dell'astensione sostengono che un'eventuale vittoria dei Sì precipiterebbe il paese nel Far West della procreazione: e già vediamo avanzare un esercito di "mamme-nonne", di allegre signore fecondate con il seme dei defunti mariti, schiere di bambini clonati, immoralissime coppie gay desiderose di metter su famiglia... Insomma, l'anarchia in provetta. Si tratta, com'è ovvio, di una panzana. Chi dipinge a tinte forti una vittoria del Sì dimentica che i quesiti referendari tentano di disinnescare solo quelle parti della normativa che incidono in modo inaccettabile sulla salute delle donne e dei bambini, e sulla ricerca scientifica. La Legge 40 continuerebbe a regolamentare la materia in modo più restrittivo che in altri paesi europei.

Ma le ragioni più profonde della nostra presa di posizione, che - lo ripetiamo - è quella di recarsi alle urne e votare quattro sì, si trovano proprio nel nostro lavoro. Siamo giornalisti, cioè tecnici della comunicazione, e ci occupiamo di scienza e di tecnologia, di ricerca e di sviluppo. Dunque negli anni abbiamo esplorato il mondo della Procreazione assistita con gli occhi della nostra professione, leggendo gli studi scientifici, parlando con i ricercatori, approfondendo i diversi aspetti della questione. E abbiamo maturato alcune convinzioni. Dal nostro punto di vista la Legge 40 è una legge segnata da una profonda ideologia di stampo cattolico, e che per questo motivo non andrebbe affermata come legge dello Stato. È una legge che non tiene in alcuna considerazione la salute fisica e psicologica della coppia che si sottopone agli interventi di procreazione assistita e che esclude il mondo della ricerca italiana dal circuito scientifico internazionale. Soprattutto, è una legge che parte da un presupposto che ci trova in profondo disaccordo: quello secondo cui i diritti dell'embrione al suo primo stadio siano da anteporre a quelli della donna che sceglie di portarlo in grembo. Ridurre il corpo femminile a mero contenitore, e appiattire il concetto di maternità e paternità a una pura questione genetica ci sembra un terribile passo indietro, dal punto di vista scientifico, etico, culturale. Che non siamo disposti a compiere.

 Aldo Quagliozzi    - 11-06-2005
Sarà mai pensabile e quindi possibile che i pronunciamenti " inopportuni " sui fatti temporali del bel paese da parte degli esponenti religiosi, e non solo, della chiesa di Roma, possano fare sorgere sensi di colpa, o di grave peccato, nelle moltitudini dei fedeli di quella confessione?
Ma quando essi giungeranno a realizzare compiutamente la loro dualità di credenti e di cittadini? Or è tanto il tempo passato da quando la chiesa di Roma li ha sciolti da incredibili, antistorici vincoli di non partecipazione alla vita politica del bel paese, per cui non avrebbe senso che le loro coscienze venissero attanagliate dal senso profondo del grave peccato.
E' che, nei decenni trascorsi, quella dualità ha stentato a crescere, o forse ne è stata impedita la crescita, o solo si è operato un tentativo di impedirne la crescita, come in questa ultima occasione al pari delle precedenti.
Ecco allora comparire, come volteggianti lugubri spiriti venuti da un altrove, i maestri del pensiero profondo, a dettare indicazioni perentorie che assumono il dettato proprio degli editti, se non quello degli anatemi di infausta memoria.
Ha scritto Eugenio Scalfari in un suo importante saggio pubblicato sul quotidiano " la Repubblica " del 7 novembre 2004, e già tante volte citato, col titolo " Perché non possiamo non dirci laici ":

" ( ... ) Il laicismo ha il suo culmine nell'abolizione dell'idea stessa di peccato. Non c'è peccato se non quello che rafforza le pulsioni contro l'altrui libertà.
Non c'è peccato se non l'egoismo dell'io e del noi contro il tu e il voi. Non c'è peccato se non la sopraffazione contro l'altro e contro il diverso.
Il laico non è relativista né, tantomeno, indifferente. Soffre con il debole, soffre con il povero, soffre con l'escluso e qui sta il suo cristianesimo e il suo socialismo.
Perciò il laico fa proprio il discorso della montagna. Fa propria la frusta con la quale Gesù scaccia i mercanti dal tempio della coscienza, si da' carico dell'Africa come metafora dei mali del mondo.
Il laico vuole l'affermazione del bene contro i mali, i tanti mali che abbrutiscono l'individuo sulla propria elementare sussistenza impedendogli di far emergere la propria coscienza, i propri diritti e i propri doveri al di sopra della ciotola sulla quale reclina la poca forza di cui ancora dispone per appagare i bisogni primari dell'animale nudo che è in lui.
E' secondario che il laico abbia una fede e dia sulla base della propria fede un senso alla sua vita, oppure che non l'abbia, non creda nell'assoluto e non veda nella vita se non il senso della vita e non veda nella morte se non la restituzione della sua energia vitale ai liberi elementi dalla cui combinazione è nata la sua consapevole individualità. ( ... ) "

Ecco, per l'appunto, una " consapevole individualità ", che possa sorreggere ed orientare tanto il laico credente quanto il laico non credente, uniti insieme per costruire una società se non di eguali almeno più giusta, più disposta all'ascolto dell'altro, altro che porta nel suo anelito vitale bisogni diversi, altre idealità.
Ci soccorre in questo abbozzo di riflessione, in uno dei momenti politico-sociali più difficili e controversi del bel paese, la bella e ragionata corrispondenza di Furio Colombo apparsa sul quotidiano " l'Unità ":

" ( ... ) Cerchiamo di essere chiari. Decidere di non andare a votare fa parte dei diritti di ogni persona ed è una sua libera scelta.
Invitare a non andare a votare è un fatto completamente diverso. Ed è diverso anche dal fare propaganda politica, culturale, psicologica, morale per il sì o per il no.
Il sì e il no puntano a un risultato, il mio contro il tuo, come in ogni battaglia democratica. Il messaggio pubblico di astensione mira invece a cancellare sia il sì che il no, e ha come unico scopo il tentativo di impedire che opinioni, persuasioni e passioni di ciascun cittadino su una materia tanto importante non possano trasformarsi in un voto, e dunque non esistano.
( ... ) Ecco perché non è rispettabile chi, dall'alto di una carica pubblica, invita a non votare. La differenza è nel colpo inferto alla democrazia ( dunque alla salute di un corpo sociale di un Paese ) dall'invito autorevole a pubblico a far fallire il voto.
Infatti il voto, e l'atto di votare, sono il cuore della democrazia, il punto in cui nasce la libertà. Tanto che a volte, come è accaduto in Italia nel 1945, la libertà di quel voto, di ogni voto, si è dovuta conquistare col sangue.
Colpire in modo pubblico e autorevole quella libertà è grave violazione del solenne patto con i cittadini sancito dalla Costituzione.
Se l'autorità che si fa avanti per persuadere a non votare è religiosa, la gravità dell'evento consiste non nella interferenza ma nel problema morale che tale interferenza pone.
Essa significa: non ci importano le vostre leggi. Non ci importano le vostre opinioni. Non ci importa il modo in cui intendete esprimere tali opinioni. Non ci importa la vostra libertà. Noi abbiamo già deciso e voi avete l'unica opzione di sottomettervi.
Se l'autorità che annuncia l'astensione, ne dà l'esempio, e ad essa incita, è autorità istituzionale, si vedono bene sia la responsabilità giuridica ( far fallire una consultazione elettorale ) sia l'assurdità politica.
Il caso di questi giorni in Italia mette bene in evidenza i due aspetti. Il presidente della Camera e il presidente del Senato eletti sia dal voto dei cittadini che da quello dei deputati e senatori a presiedere due Camere parlamentari la cui missione è discutere e votare, invitano i cittadini a non votare.
Facendolo, dicono che il voto di quei cittadini non conta, che la questione a cui stanno dedicando le loro discussioni e a cui vorrebbero dedicare il loro voto non interessa le istituzioni dello Stato. E mostrano pubblicamente di disprezzare un istituto democratico - il referendum - previsto dalla Costituzione.
E' vero che un espediente del genere è già stato usato ( sia pure raramente ) in Italia. Ma mai da due delle più alte cariche dello Stato, mai da personaggi simbolo che rappresentano il ramo legislativo dei poteri democratici, dunque il luogo, il senso e il valore del voto.
Il fatto che ciò sia accaduto umilia e imbarazza, perché permette al mondo di immaginare l'Italia e la sua democrazia dominate da ventate di predicazione religiosa che di volta in volta impartisce ordini alla politica e alle istituzioni.
Lo fanno senza dover mai rendere conto della sovversione ( sovversione vuol dire capovolgimento ) del funzionamento istituzionale di una Stato democratico.
L'augurio che si deve fare di cuore alle gerarchie ecclesiastiche italiane e vaticane, e alla seconda e terza carica dello Stato, che hanno giocato il proprio grande prestigio pur di cancellare un voto, è che il loro appello fallisca.
Se i cittadini italiani andranno liberi e in gran numero a votare, quel voto ( qualunque ne sia l'esito ) cancellerà una delle più brutte pagine della vita italiana. Consentirà di dimenticare la ferita che si sta tentando di infliggere alla democrazia e a chi vi partecipa. "

" Qualunque ne sia l'esito ". Così Furio Colombo scrive nella sua corrispondenza. Una notizia che è una conferma. Nel telegiornale delle ore 14.00 della regione ******** di oggi 10 di giugno, il cronista, " inscenando " un breve dibattito sui referendum del 12 e 13 di giugno, ha presentato gli esponenti delle " parti avverse " nel referendum, ovvero la rappresentante del " Si " e, ignorando l'esistenza di una legittima e democratica posizione referendaria del " No ", il rappresentante del non voto, ovvero dell'astensionismo più ottuso, di quella posizione abusata e non rappresentativa dei quesiti referendari. Che pena da parte del pubblico servizio televisivo!