Chi ricorda il Darfur?
Marco Mayer - 04-06-2005
Con una lettera aperta ad alcuni colleghi docenti ho avviato una dicussione all'interno del nostro corso di laurea. Il tema è molto sentito tra gli studenti e forse qualcuno di voi è interessato a partecipare al dibattito. Ecco il testo della mia lettera e la prima risposta

Cari amici,

l'altra settimana a Siena ho ascoltato un'appassionata testimonianza di Antonio Cassese sul Darfur: un milione e mezzo tra profughi e sfollati, più di 100.000 morti. Una tragedia ed un crimine contro l'umanità di cui i grandi mezzi di informazione ci hanno parlato anche se a fasi alterne.
Nessuno può dire non sapevo.
Dal giorno della conferenza di Cassese mi è rimasta dentro una domanda: perchè decine (e talora centinaia) di migliaia di persone si sono mobilitate per l'Iraq e non c'è stata nessuna iniziativa per il Darfur?
Per la verità a Londra qualcuno ha tentato, ma ha raccolto un centinaio di persone o poco più.
Non ho risposte a questa domanda, ma sento che come studiosi abbiamo il dovere di indagare il fenomeno e cercare delle risposte.
Che ne pensate?

Marco Mayer


Caro professore Mayer,

sono Giuseppe e desidero dirle la mia opinione in merito alla questione che lei pone e che è oggetto di molte discussioni con molti compagni del mio corso.

Ho sempre rimproverato loro e me stesso di essere totalmente disinteressati alle guerre africane o anche ad altre guerre tipo la Cecenia. Come lei notava giustamente, il Darfur non è stato ignorato solo dai media, giornali (cosa purtroppo normale) ma anche da tutto il vasto mondo del pacifismo italiano ed europeo.Lei parlava di migliaia di persone che hanno manifestato contro la guerra in Iraq, io parlerei in alcune circostanze anche di milioni di persone che hanno manifestato in tutto il mondo.

Io ho la mia opinione in merito: per l'Iraq, come in parte per l'Afghainistan, ci si è mobilitati perchè c'era coinvolta l'America e perchè sussiste un forte antiamericanismo politicizzato che non ha nulla a che vedere con i diritti umani e con la non violenza.

Per esempio non ho mai visto bruciare bandiere russe, bandiere cinesi (come succede con quelle americane nelle manifestazioni), che sono bandiere di Stati che violano i diritti umani quanto, se non più degli Usa.Io per primo sono fortemente contro la politica americana, ma nei diritti umani non si possono usare due pesi e due misure.

Io le farei un'altra domanda, frutto forse di un dibattito vecchio: Cassese nella conferenza sull'Agenzia europea per i diritti umani con Frattini, per quanto riguarda il Darfur invocava l'intervento del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.Io mi chiedo: Che credibilità può avere il consiglio di sicurezza dato che i 5 Paesi che lo compongono esportano il 79% (dati Amnesty) delle armi in tutto il mondo?Per non dire che i tre Paesi più importanti che lo compongono Usa,Russia, Cina, sono tra i maggiori violatori dei diritti umani nel mondo.

Credo che finchè l'Onu non verrà riformato (forse utopia) in modo da dare più potere all'Assemblea invece che al "Club dei 5 potenti" parlare di Onu quando si parla di risoluzione dei conflitti, come ha fatto una persona pur rispettabilissima come Cassese, mi sembra molto ipocrita.

Giuseppe Colao


Grazie della collaborazione
un cordiale saluto
Marco Mayer
Teoria e tecniche della Diplomazia Preventiva
Analisi e Pianificazione delle Operazioni di Pace Corso di laurea interfacoltà in "Operazioni di Pace, Gestione e Mediazione dei Conflitti"
acoltà di Scienze Politiche e di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Firenze


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 M.M.    - 04-06-2005
Invio un aggiornamento del dibattito

Il problema dell'antiamericanismo esiste ma non basta a spiegare la distrazione sugli altri conflitti del mondo. Credo, purtroppo, che vi sia anche un problema intrinseco di limiti. Non possiamo farci carico di tutto e di tutti. Don Lorenzo Milani, ci ricordava Langer, diceva che non si possono amare concretamente più di 3-4000 persone, quelle che possiamo incontrare concretamente nell'arco di una vita, e a me sembrano già una esagerazione.
Allora che ciascuno si faccia carico della parte di mondo che incontra. Nel villaggio globale è semplicissimo incontrarne un angolo. Un compagno di studi della Tanzania, una badante del nonno dello Sri Lanka...e poi raccontiamo, mettiamo in rete, costruiamo sinergie.
Anche a questo può servire un assessorato alla pace e alla cooperazione.
Pietro Del Zanna

Avevo letto l'appassionato intervento di Giuseppe, che in gran parte condivido.
Ma non so dare molte altre risposte nemmeno io.
Credo che noi occidentali, per una specie di arrogante e presuntuosa deformazione etnocentrica, ci appassioniamo o indigniamo solo per vicende e tragedie che coinvolgono i nostri simili, nel ruolo di vittime o di carnefici.
O forse c'è anche una rimozione collettiva sull'Africa (il Darfur non è, credo, un problema isolato o isolabile), come in genere accade con gli "ultimi", i più diversi, i più lontani: un po' per interrompere l'inquietante catena delle cause e degli effetti che alla fine ci chiama tutti in causa come correi e ci coinvolge in un sottile e inevitabile senso di colpa, un po' per una snobistica fuga dalla "retorica" delle buone intenzioni intorno a problemi che in realtà conosciamo pochissimo, un po' per un doloroso senso di impotenza, nei confronti di drammi la cui soluzione sembra politicamente ormai irraggiungibile (troppo difficile, troppo intricata, troppo radicale, troppo tardiva) e soggettivamente ci paralizza per le drastiche scelte che ci imporrebbe (lasciare tutto, andare a fare qualcosa di concreto, come hanno fatto Zanotelli e tanti altri?) Personalmente provo a fare quello che mi riesce un po' meglio : cercare di saperne qualcosa di più, e far conoscere più notizie, più informazioni dirette, più riflessioni e documentazioni agli studenti che mi sono affidati, come alla meglio abbiamo tentato di fare per tutto quest'anno.
Ma non basta, lo so, e non sono contenta.
Vogliamo organizzare qualcosa di più specifico anche noi come corso di laurea?
Parliamone.
Un abbraccio.
Giovanna

 Redazione    - 04-06-2005

Segnaliamo, a proposito delle molte, moltissime, dimenticanze, la denuncia di Peacereporter: Senegal - Djibelior. Ovvero: La città dei lebbrosi. Djibelor, in Senegal, è un villaggio-prigione per i malati abbandonati a se stessi.


 M.M.    - 04-06-2005
Dopo l'accorato appello del prof. Marco Mayer e le risposte della prof.ssa Giovanna Ceccatelli e Giuseppe è emerso ancora una volta il tema dell'informazione, se non se ne parla il problema non esiste, per capire qual'è il peso dei mezzi d'informazione basti pensare che esponenti politici si sono permessi di raccontare ad una nazione in piena crisi economica una serie di interminabili menzogne fino alla dura e cruda prova dei conti.
Ma anche se il marketing ha la capacità di catturare l'attenzione dell'opinione pubblica su eventi, fatti e situazioni che nella vita normale passerebbero in secondo piano, anche se i media hanno il potere di creare modelli e falsi miti questi cadono di fronte alla realtà.
Televisione e giornali possono buttare fumo negli occhi dell'opinione pubblica, ma per definizione il fumo è una cosa effimera, che prima o poi svanisce ed è questo che deve darci fiducia. Voi vi ricordate chi ha partecipato al grande fratello dell'anno passato?
Noi operatori per la pace possiamo offrire qualcosa di più succulento: la verità. Sarà la forza della verità a farsi strada da sola nella jungla dell'informazione, sarà la genuinità delle nostre riflessioni a creare interesse.
Per questo ho messo all'attenzione di tutti il Giornale, perchè credo che gli operatori per la pace abbiano le capacità e le possibilità di sensibilizzare e creare opinioni, il nostro corso sta entrando nel tessuto di questa città imponendogli un anima, costruendogli addosso il ruolo di mediatrice culturale.
Imponiamo a questa città il dovere di fare da cassa di risonanza per chi non vale neanche una notizia di terza pagina sulla Nazione.
Stefano D'errico

Per la verità del Darfur i media ogni tanto hanno parlato!
mm

E' vero e credo che il problema sia che ne parlino solo ogni tanto, l'idea del giornale nasce dal bisogno di creare un osservatorio permanente su quel che succede nei paesi "dimenticati", ma anche dalla nostra necessità personale di operatori per la pace di essere sempre informati. Dover pubblicare un giornale ogni mese presuppone un interesse costante per i temi trattati.
Per come la vedo io il movimento pacifista vive e si mobilita solo quando le guerre scoppiano o si trasformano in carneficina, mentre dovrebbe monitorare costantemente le situazioni di crisi, alzare il livello di guardia e lanciare allarmi prima che le tensioni stiano per scoppiare.
Dando libero sfogo alla fantasia penso che sarebbe molto utile alla causa poter creare un osservatorio internazionale che in modo oggettivo e tempestivo mobiliti l'opinione pubblica dei "paesi che contano".
Un semplice giornalino universitario potrebbe essere il primo mattone.
D'altronde se gli operai avevano l'Unità per discutere e crearsi un opinione perchè i pacifisti italiani non dovrebbero avere un loro bollettino dal fronte?
Che ne pensa?
Stefano

Caro professore Mayer,
intanto grazie per aver sollevato questo importante dibattito.
Condivido appieno quello che dice la Professoressa Giovanna Ceccatelli tanto che nell'ultima assemblea del corso abbiamo parlato della possibilità di sfruttare un bando dell'Arsdu sulle iniziative editoriali per produrre un giornalino mensile d'informazione sulle guerre dimenticate, come quelle africane.Credo sia un nostro dovere di operatori per la pace sensibilizzare l'opinione pubblica tramite il giornalino e anche tramite altre iniziative.
L'appoggio morale, l'aiuto, la competenza di voi professori credo sarà fondamentale per la riuscita di un buon lavoro.Da parte mia sono fortemente determinato a dare il mio contributo per portare il tema delle guerre africane all'ordine del giorno, non dico all'opinione pubblica nazionale(mi piacerebbe molto) ma almeno al movimento pacifista e a quella parte della società civile e politica impegnata contro le guerre e contro il mancato rispetto dei diritti umani.
Ho già inviato un' email all'onorevole Bellillo, che conosco discretamente bene, per vedere se si può fare un'interrogazione parlamentare su quanto succede per esempio in Congo, teatro di scontri e tragedie.
Inoltre ho scritto per poter partecipare alla Fabbrica del Programma dell'Unione a Bologna sul tema della politica estera per sollevare questo problema e per proporre che il tema del debito, degli aiuti allo sviluppo,(per ora siamo gli ultimi contribuenti dell'Occidente insieme alla "democraticissima" America) e della pressione e mobilitazione contro le guerre africane sia un punto del programma dell'Unione. Non sono illuso dal fatto che mi ascolteranno, ma vi prometto che li "assedierò", li tartasserò con email e telefonate fino alla nausea.
Aspetto di sapere cosa ne pensiate dell'idea giornalino.
Giuseppe Colao

 da Giorgio Gallo    - 06-06-2005
Caro Marco, ti ringrazio per avermi coinvolto. Il tuo messaggio-appello pone un problema serio su cui vale la pena riflettere.
Noi abbiamo appena iniziato la pubblicazione via internet di una newsletter, il cui numero 0 puoi leggere qui.
Il prossimo numero, il primo vero, cioe' non di prova, uscira' il 15/6. Potrebbe essere la sede per innescare una discussione. Hai voglia e tempo di scrivere un articolo? Gli potremmo dare un opportuno risalto invitando i lettori a scrivere le loro opinioni.
Alternativamente potremmo pubblicare il testo della tua lettera accompagnato da un testo redazionale di contestualizzazione.
Ovviamente l'invito non vale solo per questo numero e per il Darfur.
La tua collaborazione anche in futuro sarebbe molto gradita.
Un caro saluto
Giorgio Gallo
Centro Interdipartimentale "Scienze per la Pace" Università di Pisa

 da Stefano D'Errico    - 06-06-2005
La scarsa mobilitazione verso la guerra del Darfur e del Congo è figlia della lontananza. Non parlo di lontananza fisica ma mentale.
Mentre per la guerra in Iraq abbiamo un obiettivo, un governo a cui rivolgerci per chiedere il ritiro delle truppe o la fine dei bombardamenti, verso queste guerre che i media dipingono come tribali non sappiamo dove stare, cosa chiedere e come agire perchè non capiamo e non conosciamo la storia di questi paesi.
Se poi a questo si aggiunge e la nostra mentalità nonostante tutto ancora razzista e missionaria per cui l'Africa si può aiutare solamente facendole l'elemosina perchè tanto quei poveri selvaggi sono solo capaci di ammazzarsi tra di loro...
Il problema principale sta nel nostro modo di vedere l'africano ancora con la clava e la foglia di fico davanti al piru piru oppure nella versione più umanitaria come una donna del Biafra scarna e denutrita, immagine che ci aiuta molto a spedire sms cooperativi e lava coscienza.
Ma una soluzione esiste, diamo più spazio agli africani, non diamogli soldi ma informazioni tecniche, diamogli spazio sui giornali, nelle radio e in televisione, diamogli i mezzi per poter discutere di un loro progetto di società.
Gli africani che ho incontrato al centro La Pira non vogliono soldi o cibo, ma cercano internet, i computer, i libri, l'Afrique intelligent (mensile francese che parla del continente nero).
Diamogli i mezzi e loro ci spiegheranno perchè nel nostro immaginario un nero africano non è altro che il più disgraziato dei disgraziati di questo mondo.
Stefano D'Errico


 da Fulgida    - 06-06-2005
Il Prof. Marco Mayer dell'Università di Firenze ci coinvolge in questo interessante dibattito al quale invito i colleghi del Comitato Scientifico di IPB-Italia nonchè gli studenti de nostro Student Group che possono a loro volta girare la questione ai docenti delle loro università.
Inoltre prego Vittorio Tanzarella di volere inviare una sua personale e.mail al Prof. Marco Mayer al fine che questi lo possa a sua volta mettere in contatto con Giuseppe Colao il quale mi pare, leggendo la sua e.mail , sia in linea con i progetti di riforma delle nazioni unite messi a punto dal suo gruppo di studio.
Ringrazio il Prof. Mayer per questa riflessione collettiva
Saluti
Fulgida

 dall'Ass. Amici di lazzaro    - 07-06-2005
Anche noi come associazione ci battiamo da mesi perchè il Sudan abbia più spazio sulle cronache internazionali...
purtroppo è vero che a molti movimenti interessa più l'antiamericanismo che non i popoli oppressi...
la Cina certamente è uno di questi... più di un miliardo di persone oppresse da un comunismo-socialismo misto al peggior capitalismo....
il Sudan è vittima di giochi politici arabi , russi e cinesi (per il petrolio)...
ma non fa notizia perchè non c'è l'America di mezzo..che pur con tanti difetti perlomeno è una democrazia (e sappiamo che le democrazie nel mondo non sono tantissime..).
se volete ricevere notizie sul Sudan c'è la lista africa-sudan@yahoogroups.com
Saluti

 da Davide Chechi    - 07-06-2005
Innanzitutto saluti a tutti.
Vediamo quanto riesco ad essere sintetico.
Premesso che in movimenti che coinvolgono persone a livello mondiale in cosi' grande numero non è forse possibile trovare una soluzione univoca ad un problema, e che le motivazioni fin qui addotte mi sembrano tutte del tutto ragionevoli, aggiungerei una considerazione ulteriore.
Un movimento di massa per essere tale deve accogliere il consenso appunto di un numero elevato di persone. Per tale motivo il movimento di massa deve avere le stesse caratteristiche di un voto: deve essere una scelta chiara tra due contendenti, tra un si e un no, tra il buono e il cattivo.
In questo senso ritengo che un attacco militare USA contro l'Afganistan renda piu' facile schierarsi, individui a priori il buono e il cattivo, e consenta da subito senza troppe riflessioni e senza troppi problemi agevole e poco rischioso lo stare tutti da una parte contro un'altra, a volte mossi dall\'amore per la prima altri dall'odio per la seconda.
Prendiamo l'esempio del Kosovo, a me più vicino.
Subito dopo la fine dei bombardamenti i cooperanti che arrivavano in Kosovo, magari dall'esperienza albanese dei campi profughi tendevano a schierarsi con gli albanesi buoni contro i serbi cattivi.
La frequentazione delle enclavi serbe ha portato poi nel tempo a sbilanciare l'opinione pubblica internazione maggiornamente a favore del popolo serbo rispetto a quello albanese.
Per quanto banalizzato in questo modo, l'atteggiamente internazionale sia dei cooperanti che dei militari è molto cambiato nel corso dei mesi e degli anni e il giudizio che del conflitto ne è conseguito ha seguito il medesimo iter.
A questo punto mi domando: dove e' l'errore di fondo? Nella necessita' di giudicare, di arrivare ad avere un'opinione netta su qualcosa e quindi di concedere all'altare delle nostre certezze qualche approfondimento? O, ancora prima, l'errore sta proprio nel volere giudicare, nella necessità di trovare un buono, un cattivo e di mettersi con il primo contro il secondo?
Saluti ai kosovari

 da Stefano D'Errico    - 07-06-2005
Notizia delle ultime ore riportata da RAI 2 nel TG nazionale delle ore 21 e in rete da L'Unità, tutti gli altri giornali italiani almeno per quanto riguarda il web latitano colpevolmente:

La Corte penale internazionale dell'Aja ha lanciato un'inchiesta sulle atrocità commesse nella regione del Darfur in Sudan.
Nella regione circa due milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni e decine di migliaia sono state uccise negli scontri degli ultimi due anni. Si tratterà di un'inchiesta «imparziale e indipendente», sono le parole del comunicato della Corte, e «si concentrerà sui responsabili dei crimini commessi in Darfur», la regione del Sudan dove dal 2003 i ribelli hanno lanciato un'offensiva contro il governo di Khartum.

Dal comunicato diffuso dal tribunale dell’Aja: «L'inchiesta richiederà la cooperazione delle autorità nazionali ed internazionali - ha dichiarato Ocampo - Sarà parte di uno sforzo collettivo, che coinvolge l'Unione africana e altre iniziative per mettere fine alla violenza in Darfur e promuovere la giustizia».

È la prima volta che il massimo organismo dell'Onu deferisce una questione alla Cpi e la decisione è stata presa dopo le pesanti accuse al governo sudanese di non fare abbastanza per fermare le violenze delle milizie arabe contro i villaggi cristiani.

L'apertura dell'indagine è stata ordinata dal procuratore capo Luis Moreno Ocampo, che ha ricevuto i documenti della Commissione internazionale di inchiesta sul Darfur. Si tratta di nove pesanti faldoni contenenti i materiali del gruppo di lavoro voluto da Kofi Annan e guidato dal giurista italiano Antonio Cassese. Gli inquirenti, dopo un lavoro sul terreno durato alcuni mesi, hanno rilevato gli estremi per l'ipotesi di reato di crimini contro l'umanità. L'ufficio del Procuratore, si legge sul comunicato, ha «raccolto informazioni da una varietà di fonti e migliaia di documenti». Gli inquirenti hanno avuto anche la collaborazione di una cinquantina di esperti.
«L'indagine», ha dichiarato il procuratore capo, «richiederà collaborazione sostanziale sia dalle autorità nazionali che da quelle internazionali. Sarà parte di uno sforzo collettivo, completando le iniziative dell'Unione Africana, per mettere fine alla violenza in Darfur e promuovere la giustizia». Secondo Ocampo, «i tradizionali meccanismi africani possono essere uno strumento importante per integrare questi sforzi e raggiungere una riconciliazione a livello locale».

Stando alle stime delle Nazioni Unite, sono due milioni i civili coinvolti nelle violenze innescate all'inizio del 2003 dall'insurrezione armata di due gruppi ribelli per protestare contro l'esclusione da parte del governo di Khartum.
Secondo alcune fonti, le vittime potrebbero già essere più di 180mila. Il rapporto della commissione Cassese contiene anche i nomi di una cinquantina di persone, tra cui ufficiali dell'esercito ed esponenti del governo, accusate di gravi violazioni dei diritti umani.

 da Daniele    - 07-06-2005
Ciao ...
rispondo alla domanda sul kosovo in base alla mia esperienza.
Quando sono arrivato in kosovo nel 2003 innanzitutto ho preso un pò di libri di storia e mi sono letto come si era arrivata a quella guerra e quella situazione. Poi ho incominciato a parlare con gli albanesi ( ho ancora molti amici kosovari al cui solo pensiero mi si bagnano gli occhi). Poi ho parlato con i serbi....Parlavo con la gente semplice e parlavo con le autorità, cercando di rimanere obiettivo, terzo, esterno...Non era facile perchè quando sentivi le atrocità compiute da entrambi gli schieramenti era facile cadere nelle accuse o dare ragione all'interlocutore del momento...fosse esso padre Sava del monastero di Decani, o i vari rappresentanti delle moschee di Pec che però dovevo ricordare di chiamare Peja se parlavo con un albanese per non offenderlo. Lo stesso per pronunciare qualsiasi altra cittadina.
Quando poi il dibattito si faceva acceso io cercavo ci controbbattere con argomentazioni, ma non era semplice. Cercavo solo di far capire che io non stavo da nessuna parte e che gli errori erano stati commessi da entrambi...La cosa importante era che dovevo essere onesto nel fare capire che non riuscivano a comprarmi con le loro lamentale...Certo sicuramente in questi conflitti si ha sempre un inizio...però a volte è lontano nel passato. Ho anche avuto una ragazza serba quando stavo in bosnia e non sai le litigate perchè lei mi ricordava tutti i morti avuti quando io ricordavo a lei srebrenica...Allargando il discorso in generale, io cerco di rimanere obiettivo davanti un conflitto e cerco di capire le ragioni degli uni e degli altri....Forse non è il migliore dei modi per affrontare certe esperienze, ma io mi pongo così ...come uno studioso, anche se ho pianto per i serbi e per i kosovari, perchè ho ascoltato storie di violenze, stupri e di morti che avrebbero fatto piangere chiunque dotato di un minimo di sensibilità. Ma se io mi fossi scherato con una parte non avrei ascolatato i bisogni dell'altra e viceversa...Lo stesso dicasi per la questione palestinese...lo stesso dicasi per la questione irachena (sciiti , sunniti e curdi)...Io parlo con tutti e ascolto tutti....Ma soprattutto cerco di spiegare alle parti quali sono le ragioni dell'altro, anche se spesso entrano in giochi interessi più grandi di noi.
...un saluto

 Nicola Centrone    - 09-06-2005
Credo che la differenza di atteggiamento verso il Darfur come altri centinaia di focolai di guerra e guerre vere e proprie rispetto all'Iraq sia dovuto non tanto alla presenza degli Stati Uniti nel conflitto quanto ad un difetto derivante dai mezzi di comunicazione che arrivano solo in alcuni luoghi del pianeta.
Purtroppo la cosiddetta "controinformazione" è un canale di informazione più limitato e inevitabilmente di nicchia che riesce a coprire una fetta dell'opinione pubblica molto limitata.
Nell'era dell'informazione in tempo reale, dopo che milioni di cittadini del mondo hanno visto in diretta i bombardamenti a Bagdad nel 91, il crollo delle Twin Towers, è sempre più vero purtroppo il detto "occhio non vede cuore non duole".

Infine credo che l'opinione pubblica sia ormai assuefatta alla presenza della violenza in Africa rimuovendo dalla propria mente l'idea di una mobilitazione per un paese "inguaribile", purtroppo.

Il coinvolgimento degli Stati Uniti e delle truppe italiane inevitabilmente crea una maggiore attenzione al caso specifico. quando ci fu la presenza italiana in Somalia, un po di discussione ci fu!

 Sabina Feshti    - 10-06-2005
ho trovato questo sito,a mio parere molto
interessante, sul darfur: www.darfurgenocide.org
dovrebbe appartenere a qualche universita'
statunitense e all'interno del sito c'è una pagina che
suggerisce a come organizzarsi e operare per
sensibilizzare l'opinione pubblica.
buonanotte ai sonnambuli
sabina

 Elisa Carlaccini    - 10-06-2005
Caro Marco,
sono Elisa Carlaccini. Lo scorso hanno ho
frequentato il Master in Diritti Umani e Gestione
dei Conflitti al Sant'Anna di Pisa, dove ho avuto il
piacere di seguire alcune sue lezioni.
Rispondo di getto alla lettera da lei inviata, in
quanto mi ha positivamente colpita... Sin da
febbraio mi trovo a Nyala, capitale del Sud Darfur,
dove lavoro con IOM sulla ricollocazione/ritorno
degli IDPs: il lavoro è estremamente interessante
ed altrettanto coinvolgente e stimolante. La
situazione terribilmente complicata, in un evolversi
continuo e costante di fattori, interni ed
internazionali che la rendono di difficile
comprensione e soluzione. La povertà è devastante
e disarmante, così come l'impotenza di fronte alle
continue violazioni dei diritti umani e degli
accordi internazionali.
Stando qui, vivendo in prima persona questo
conflitto silenzioso e subdolo, mi interrogo
frequentemente sulla natura dell'intervento della
comunità internazionale: cosa fa, cosa
potrebbe/dovrebbe fare, come rendere più efficace
l'immenso sforzo dei numerosi operatori umanitari
che sono sul campo e dei fondi impegnati? Tanti
altri ancora sono gli aspetti da affrontare e
discutere, per cercare di capire ed agire
conseguentemente.
Un dibattito sulla questione, e quindi un interesse
ad approfondire le ragioni del conflitto ed il suo
evolversi, non può che farmi molto piacere! Resto a
disposizione per fornire informazioni dal field,

Un caro saluto, da Nyala...
Elisa

 Carla Mariani    - 10-06-2005
Gentile Marco Mayer,
sono Carla Mariani dell'Ufficio
per la Pace del Comune di Narni, e una dei referenti
della Rete Italiana di solidarietà con le Comunità
di pace Colombiane. Ho ricevuto questo suo invito a
riflettere. In Darfur, oltre al dolore per l'orrore
che lì si sta consumando e che lì si è consumato, ho
una carissima giovane amica che sta lavorando lì
con una ONG. La sua domanda impone di guardarci
dentro e ci obbliga comunque a formulare una, o più
risposte: il tema è molto complicato e si può
applicare al Darfur, come alla Cecenia, come
all'America latina e via percorrendo il nostro
universo di guerre dichiarate e non. Io provo a dare
una risposta, lo so che non basterà a calmare il
nostro disagio però, ci provo .... io credo che
decine (e talora centinaia) di migliaia di persone
si sono mobilitate per l'Iraq perchè il nostro
paese, la nostra bella italia, è in guerra laggiù, e
quindi per questo possiamo cercare di fare qualcosa
per condizionare l'atteggiamento del Governo e
ricondurlo alla ragione per rispettare il violato
articolo 11 della Costituziione, perchè non vogliamo
che ilnostro paese sia in guerra, perchè siamo
direttamente coinvolti e questo può darci la
speranza che forse , un giono, potremmo essere
ascoltatio da questo sordo Governo, certo non ci
sentiva di più il governo D'Alema quando sono ,
siamo, andati a bombardare Belgrado. io credo che la
risposta sia in questo: noi manifestando per l'IRAQ,
manifestiamo contro il nostro Governo che sta
portando avanti una guerra illegittima di
aggressione, violando la nostra Costituzione,
favorendo la crescita dell'odio e della violenza.
Questo è il mio piccolo contributo, che le invio con
grande umiltà e tanto dolore.
Carla Mariani

 Alberto L'Abate    - 10-06-2005
Grazie della documentazione. Da parte mia trovo che hai ragione a denunciare queste mancanze ma ti confesso di aver fatta mia la rispsota di Luc Reichler, quello che è venuto al nostro convegno di dicembre, di adottare un conflitto e di averlo fatto, cercando di lavorare al meglio per quello del Kossovo. Ma ritengo valido che gli altri facciano lo stesso per altri conflitti. Per capire che l'Africa sia un punto cruciale basti vedere che i dieci Paesi più in basso nell'indice di sviluppo umano sono tutti africani, vedi ultimo internazionale, e che da questa zona del mondo viene il più alto numero di morti in guerra nei tempi recenti.
Cordialmente.
Alberto

 Alberto Labate    - 10-06-2005
Grazie della documentazione. Da parte mia trovo che hai ragione a denunciare queste mancanze. Ma ti confesso di aver fatta mia la proposta di Luc Reichler (Università di Lovanio), quello che è venuto al nostro convegno di dicembre, di adottare un conflitto e di averlo fatto, cercando di lavorare al meglio, per quello del Kossovo. Ma ritengo valido che altri facciano lo stesso per altri conflitti. Per capire che l'Africa sia un punto cruciale basti vedere che i dieci paesi più in basso nell'indice di sviluppo umano sono tutti africani, vedi ultimo internazionale, e che da questa zona del mondo viene il più alto numero di morti in guerra nei tempi recenti
Coedialmente