tam tam |  NO WAR  |
Pecetta nera
Diario - 03-05-2005
Omicidio Calipari: a causa di un errore maldestro, sono caduti gli omissis del rapporto Usa sulla sera del 4 marzo. L'identità di chi era presente e ha agito è pubblica. In serata il rapporto italiano

A rivelare l'errore (così grottesco da ingenerare il sospetto che sia stato fatto apposta) del Pentagono sul rapporto dell'Esercito americano sull'omicidio di Nicola Calipari è stato un blog, Macchianera.net. Lo stesso blog ha realizzato sul documento il lavoro migliore, limitandosi a evidenziare in giallo gli omissis presenti e svelati. Va notato, en passant, che molti organi di informazione italiani hanno scelto di non citare la paternità della scoperta, attribuendosene implicitamente il merito. Detto questo, e reso onore a Macchianera, l'errore è così marchiano, da un punto di vista tecnologico, che scoprirlo sarebbe stata solo una questione di tempo. All'approssimazione dell'operazione militare corrisponde, da ieri, la sciatteria del lavoro d'inchiesta.

Grazie a questo errore, i numerosi omissis presenti nel rapporto della commissione Usa sono caduti di colpo, grazie a questo errore sappiamo nomi e cognomi di chi uccise Nicola Calipari. Il paradosso è che la negazione da parte americana di ogni responsabilità dei soldati del check point si è ribaltata nel disvelamento delle loro identità. Sappiamo anche che ci furono problemi e disguidi nella catena di comunicazione all'interno dell'esercito americano, sappiamo che i militari, la sera del 4 marzo, avevano un'unica priorità: proteggere l'ambasciatore Usa in Iraq, John Negroponte, che nel rapporto compare con il nome Vip. Un'ipotesi di cui i giornali avevano già parlato nei giorni successivi alla tragedia.

Stasera verso le 18 l'Italia renderà noti i risultati della propria inchiesta e i punti di divergenza con la ricostruzione Usa.

Al posto di blocco 541, la sera del 4 marzo 2005, erano presenti Mario Lozano, soldato della guardia nazionale di New York, uno dei tre specialisti coinvolti: fu lui ad aprire il fuoco. Gli altri militari presenti sono il capitano Michael Drew, i tenenti Robert Daniels e Nicolas Acosta, i sergenti Sean O'Hara, Michael Brown, Luis Domangue e Edwin Feliciano, gli specialisti Kenneth Mejia e Brian Peck.

Secondo il rapporto Usa, il comandante Michael Drew osservò la velocità elevata con la quale la Toyota si avvicinava al posto di blocco, commentando che a quella velocità non avrebbe retto la curva. A quel punto, Lonzano abbandonò il riflettore che teneva puntato sulla macchina in avvicinamento e fece fuoco.

Oltre ai nomi dei soldati coinvolti, sul documento Usa, erano oscurati paragrafi interi, che rivelano particolari importanti e che, per esempio, rivelano ora che quella sera l'esercito Usa era in massima allerta a causa degli spostamenti dell'ambasciatore americano John Negroponte. La priorità era quella di assicurare l'incolumità del diplomatico Usa che, però, al momento dei fatti era già passato.

Cadono altre "pecette" e viene fuori che, quella sera, ci furono degli intoppi e dei ritardi nella comunicazione all'interno dell'esercito: il comandante della 76esima compagnia, che coordinava gli spostamenti dell'ambasciatore Usa, non riuscì a comunicarli in tempo ai vari posti di blocco, compreso il 541. Così l'ordine di smantellare non arrivò in tempo: al sopraggiungere della Toyota, i marine erano ancora in massima allerta.

Le "toppe" coprivano anche informazioni, analisi e raccomandazioni che suonano ora come una sorta di tentativo di giustificazione: la strada in cui avvenne l'incidente, è definita - in una delle parti oscurate - la più pericolosa della zona: dal primo novembre 2004 al 12 marzo 2005 ci sono stati 3.306 attacchi nell'area di Bagdad. Di questi, 2.400 contro le forze della Coalizione, e lungo la strada per l'aeroporto ben 135.

In una parte del documento si descrivono le tecniche di guerriglia, i tipi di ordigno e le modalità con cui vengono utilizzati. Si elencano le truppe americane e irachene impegnate nella zona. Si descrivono le tecniche di controllo utilizzate ai check point e l'addestramento che ricevono i soldati, emerge tra l'altro che i marines imparano le perquisizioni delle auto sul campo.

Il documento contiene inoltre raccomandazioni e suggerimenti per migliorare le procedure di controllo ai vari check point e evitare ulteriori incidenti. Per esempio, considerare l'utilizzo di "ulteriori misure non letali" (strisce luminose, dossi artificiali, filo spinato) "per indurre i veicoli a rallentare o fermarsi prima di ricorrere all'uso delle armi", in modo da "offrire il maggior numero possibile di opzioni non mortali prima di chiedere a un soldato di sparare". Tra le altre raccomandazione anche quella di rendere i check point "più visibili" e di non lasciare a un solo uomo sia la guardia al faro di riconoscimento sia la responsabilità di aprire il fuoco.

E' facile leggere in tutte queste raccomandazioni un riconoscimento di responsabilità e comunque un'ammissione che la morte di Calipari poteva essere evitata. Ed è quindi altrettanto facile comprendere la volontà di mantenere tali passaggi "oscurati".


  discussione chiusa  condividi pdf

 Corsera.it    - 02-05-2005
Il caso Lipari: la posizione dell'Italia Il dossier italiano: manomesse le prove. La relazione d’accusa con un video contro gli americani. Berlusconi: mai pagato il riscatto.

Una delle pagine del rapporto americano, pieno di omissis (Ansa)


ROMA — La decisione di pubblicare il rapporto finale sulla morte di Nicola Calipari senza attendere la relazione italiana è l’ultimo schiaffo degli Stati Uniti. La dimostrazione, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che di congiunto in questa commissione non c’è proprio nulla, neanche la scelta dei tempi. L’Italia risponderà domani pomeriggio con un rapporto che sarà consegnato al governo e poi finirà sul tavolo dei magistrati. Mentre il premier Silvio Berlusconi torna a negare il pagamento di un riscatto e a ribadire «l’indiscutibile amicizia con gli Stati Uniti», i delegati italiani si apprestano a presentare una relazione che ribatte punto per punto le conclusioni americane e allega agli atti un lungo dossier composto anche di video e fotografie sul comportamento tenuto dai soldati americani impiegati nei check point. Compreso quello, già definito da qualcuno «un colpo basso», che mostra una pattuglia mentre ride e scherza con il corpo di un iracheno freddato all’interno del suo camioncino.

LE ACCUSE AGLI USA — Nella conclusione della relazione firmata dall’ambasciatore Cesare Ragaglini e dal generale Pierluigi Campregher si contesta agli americani di non aver consentito la ricostruzione della dinamica dei fatti. E si parla esplicitamente di «manomissione della scena dell’incidente» e del reperto chiave per questa inchiesta: la Toyota Corolla sulla quale viaggiavano gli uomini del Sismi e Giuliana Sgrena. Al termine degli accertamenti gli italiani avevano proposto di chiudere il rapporto dichiarando che «si è ritenuto di non poter accertare le responsabilità». Un tentativo di mediazione che i vertici militari Usa hanno però respinto pretendendo la piena assoluzione dei componenti della pattuglia in modo da non lasciare alcuno spiraglio anche al lavoro della magistratura.

IL BLOCKING POSITION — La definizione marca la differenza con i check point. Questo tipo di posto di blocco, sottolinea la relazione, non ha infatti alcuna regola perché viene solitamente utilizzato «sul campo di battaglia» e infatti non è attrezzato con «segnali o filo spinato». Gli italiani contestano soprattutto la decisione di averlo «posizionato all’uscita di una curva a gomito». Poi si concentrano sul sopralluogo effettuato insieme ai commissari Usa. «La scena dell’incidente— scrivono—è stata alterata e i soldati non sono stati neanche in grado di indicare quale fosse la loro posizione al momento della sparatoria». E questo, aggiungono, «non ha consentito di individuare le fonti di fuoco». Non solo. Secondo i due delegati «tra l’accensione del faro e gli spari di avvertimento dovevano passare ben più dei tre secondi concessi dalla pattuglia a chi guidava l’auto per consentirgli di fermarsi».

I NOMI NASCOSTI — Nella relazione resa nota ieri dagli Stati Uniti i nomi dei dodici soldati in servizio quella sera sono stati «coperti» per rispettare il segreto militare. L’Italia osserverà la regola di riservatezza, ma nella relazione sarà scritto che non è stato possibile effettuare alcun controllo su chi era effettivamente in pattuglia perché «non è stato consegnato l’ordine di servizio del 4 marzo». Lo «sparatore », dicono gli Usa, è un soldato latino-americano. Ma il sospetto degli italiani è che a far fuoco possano essere stati almeno tre militari. «Le testimonianze — dicono i due delegati—sono state contraddittorie e in alcuni casi totalmente inaffidabili».

LE COMUNICAZIONI — Nel rapporto che sarà consegnato domani si afferma che «il capocentro Cia era informato dell’operazione » sin dal primo pomeriggio e aveva anche l’indicazione sul tipo di auto noleggiata. Poi si ricorda che «il comando Usa fu avvisato 25 minuti prima della sparatoria dell’avvenuta liberazione dell’ostaggio ». In ogni caso, si sottolinea come «sia assolutamente normale una dose di riservatezza, anche tra servizi alleati, in missioni di questo tipo». Importanti vengono giudicate le dichiarazioni del capocentro Sismi a Bagdad che era al telefono con i colleghi quando è avvenuta la sparatoria. «Fu lui—si sottolinea—a chiedere di contattare il check point e gli fu risposto che non c’era alcun check point. Dopo poco, su sua sollecitazione, un ufficiale americano si mise in contatto con la pattuglia e questo dimostra che sarebbe stato possibile avvisare preventivamente i soldati che l’auto con l’ostaggio a bordo stava percorrendo la strada verso l’aeroporto».

Fiorenza Sarzanini


 Pino Scaccia    - 02-05-2005
Per gli italiani invece a sparare forse sono stati in tre

Nella conclusione della relazione firmata dall’ambasciatore Cesare Ragaglini e dal generale Pierluigi Campregher si contesta agli americani di non aver consentito la ricostruzione della dinamica dei fatti. E si parla esplicitamente di «manomissione della scena dell’incidente» e del reperto chiave per questa inchiesta: la Toyota Corolla sulla quale viaggiavano gli uomini del Sismi e Giuliana Sgrena. Al termine degli accertamenti gli italiani avevano proposto di chiudere il rapporto dichiarando che «si è ritenuto di non poter accertare le responsabilità». Un tentativo di mediazione che i vertici militari Usa hanno però respinto pretendendo la piena assoluzione dei componenti della pattuglia in modo da non lasciare alcuno spiraglio anche al lavoro della magistratura. La definizione marca la differenza con i check point. Questo tipo di posto di blocco, sottolinea la relazione, non ha infatti alcuna regola perché viene solitamente utilizzato «sul campo di battaglia» e infatti non è attrezzato con «segnali o filo spinato». Gli italiani contestano soprattutto la decisione di averlo «posizionato all’uscita di una curva a gomito». Poi si concentrano sul sopralluogo effettuato insieme ai commissari Usa. «La scena dell’incidente— scrivono—è stata alterata e i soldati non sono stati neanche in grado di indicare quale fosse la loro posizione al momento della sparatoria». E questo, aggiungono, «non ha consentito di individuare le fonti di fuoco». Non solo. Secondo i due delegati «tra l’accensione del faro e gli spari di avvertimento dovevano passare ben più dei tre secondi concessi dalla pattuglia a chi guidava l’auto per consentirgli di fermarsi». Nella relazione resa nota ieri dagli Stati Uniti i nomi dei dodici soldati in servizio quella sera sono stati «coperti» per rispettare il segreto militare. L’Italia osserverà la regola di riservatezza, ma nella relazione sarà scritto che non è stato possibile effettuare alcun controllo su chi era effettivamente in pattuglia perché «non è stato consegnato l’ordine di servizio del 4 marzo». Lo «sparatore », dicono gli Usa, è un soldato latino-americano. Ma il sospetto degli italiani è che a far fuoco possano essere stati almeno tre militari. «Le testimonianze — dicono i due delegati—sono state contraddittorie e in alcuni casi totalmente inaffidabili». Nel rapporto che sarà consegnato domani si afferma che «il capocentro Cia era informato dell’operazione » sin dal primo pomeriggio e aveva anche l’indicazione sul tipo di auto noleggiata. Poi si ricorda che «il comando Usa fu avvisato 25 minuti prima della sparatoria dell’avvenuta liberazione dell’ostaggio ». In ogni caso, si sottolinea come «sia assolutamente normale una dose di riservatezza, anche tra servizi alleati, in missioni di questo tipo». Importanti vengono giudicate le dichiarazioni del capocentro Sismi a Bagdad che era al telefono con i colleghi quando è avvenuta la sparatoria. «Fu lui—si sottolinea—a chiedere di contattare il check point e gli fu risposto che non c’era alcun check point. Dopo poco, su sua sollecitazione, un ufficiale americano si mise in contatto con la pattuglia e questo dimostra che sarebbe stato possibile avvisare preventivamente i soldati che l’auto con l’ostaggio a bordo stava percorrendo la strada verso l’aeroporto».


Dal Blog di Pino Scaccia