Un confronto leale e costruttivo
Gianni Mereghetti - 16-04-2005
Ho apprezzato l'editoriale di Giuseppe Savagnone sul difficile momento della scuola italiana. Condivido la sollecitazione a costruire, quanto mai urgente dentro la scuola, e non solo, come il fatto che una contrapposizione dettata solo da presupposti di schieramento è quanto di peggio possa accadere oggi dentro il mondo scolastico.
Anch'io non ho più l'entusiasmo dei primi anni, quando apprezzavo la riforma Moratti, perché mi sembrava aprisse condizioni di maggior libertà nell'insegnamento e fosse più consona alle diverse esigenze formative degli studenti. Oggi ho l'impressione di un gran pasticcio che finirà da una parte con il restringere la libertà docente e dall'altra con la tanto temuta licealizzazione di massa, proprio quella che il ministro Berlinguer voleva, e che il ministro Moratti prima ha buttato fuori dalla porta per poi far rientrare dalla finestra.
A fronte di queste perplessità non credo che per il bene degli studenti e di noi insegnanti la logica del "tanto peggio tanto meglio" possa essere quella più ragionevole. Urge dentro la scuola una novità di posizione! Del resto come è sbagliato sostenere la diabolicità della riforma Moratti, così sarebbe gravissimo difenderla apriori. L'unica posizione ragionevole, che può portare la scuola a ritrovare libertà e qualità dell'educazione, è quella suggerita da Savagnone: è un confronto leale e costruttivo, così che si realizzi la migliore delle riforme possibili. E la migliore delle riforme possibili è quella più snella, più leggera, quella che mette genitori, studenti e insegnanti nelle condizioni di essere i protagonisti veri dell'avventura educativa.

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 da Avvenire    - 16-04-2005
SULLA RIFORMA DELLE SUPERIORI UN DIBATTITO PIÙ OBIETTIVO

Scuola, proteste chiassose a prescindere dal merito

Giuseppe Savagnone

E' motivo di seria preoccupazione constatare come problemi delicati, quali sono quelli della scuola, spesso non vengano affrontati con la comune intenzione di risolverli al meglio, pur da angolazioni diverse e magari anche contrastanti. E così finiscono con il trasformarsi in un vero campo di battaglia tra opposte fazioni. Vi è in questo un riflesso del generale clima di rissosità e di reciproca intolleranza che ha avvelenato in questi anni il dibattito politico. Ma vi è una specifica virulenza dialettica che rende particolarmente difficile confrontarsi serenamente quando ad essere in gioco sono i problemi dell’istruzione. Confermano questa diagnosi le aspre polemiche che stanno accompagnando la progressiva attuazione della riforma della scuola. Agli Stati generali del 2001 un ministro dell’attuale governo – non la Moratti – aveva disinvoltamente dichiarato che il compito dell’esecutivo, nell’ambito scolastico, si poteva riassumere con la frase: «Tutto ciò che ha fatto la sinistra va cancellato». A questa sciagurata logica sembrano far degna eco, adesso, certe prese di posizione da parte di rappresentanti dell’opposizione, la cui sostanza richiama la formula simmetrica: «Tutto ciò che fa la Moratti è sbagliato e dovrà essere cancellato». Non riusciamo a vedere, in questo perverso gioco di "no", quel senso di responsabilità verso il bene comune che sempre deve accompagnare il confronto pubblico. È vero, e va denunziato con chiarezza, che alla scuola si stanno imponendo dei pesanti sacrifici di ordine finanziario, le cui ricadute negative si fanno sentire in modo preoccupante. Ma queste rovinose scelte politiche del governo non sono intrinsecamente connesse con il progetto della riforma e non dovrebbero essere usate come arma per demonizzarla. Ci sono in essa, senza dubbio, dei punti deboli e criticabili. Tale ci è sembrata, ad esempio, la decisione, anteriore alla legge 53, di consegnare gli esami di Stato in mano a commissioni tutte interne. E tale ci sembra – vist a la conclamata inefficienza amministrativa di un certo numero di Regioni, soprattutto del Sud – la scelta di affidare a queste ultime anche settori della formazione professionale che fino ad oggi erano statali. Tanto più che la logica del doppio canale licei-formazione professionale, in sé legittima, cessa di esserlo se il secondo canale viene privato di quella pari dignità culturale ed educativa che sulla carta dovrebbe avere. Questi e altri possibili rilievi non devono però far perdere di vista gli aspetti di validità che il progetto della riforma presenta. Perché non s’è sentito alcun rappresentante dell’opposizione rallegrarsi per l’idea, contenuta nel decreto sul secondo ciclo, di estendere lo studio della filosofia anche a quegli ordini di scuola in cui fino ad ora non la si studiava? O anche questa innovazione dev’essere ritenuta funzionale agli interessi del mercato? Quanto alle accuse mosse all’alternanza scuola-lavoro, perché nessuno evidenzia che essa non soltanto è frutto di una richiesta sociale a cui nessun riformatore oggi potrebbe sottrarsi, ma è anche un’esigenza culturale ed educativa, e che in quest’ottica è previsto che sia lo stesso sistema dell’istruzione, non le aziende, a doverla gestire sotto la propria responsabilità? Sono solo degli esempi, che mirano a denunciare un clima. Qui non si tratta di dare ragione all’uno o all’altro, ma di chiedere che entrambi siano disposti a riconoscere le rispettive ragioni, per potere finalmente dialogare e, nei limiti del possibile, migliorare la riforma, per il bene della comunità. Altrimenti avremo solo un gran chiasso, all’insegna del triste presupposto che tutto quello che fa l’"avversario" è sbagliato e va cancellato.

 paolo    - 17-04-2005
In effetti nella scuola italiana c'è troppa politica. Molti ragionano con il paraocchi ideologico o di schieramento. Il problema è, secondo me, che non esiste in Italia un sistema scolastico veramente autonomo, capace di elaborare al suo interno proposte innovative che tengano conto degli interessi effettivi degli utenti che apprendono. Spesso ci sono giochi di potere o difese corporative che impediscono di affrontare la realtà nel modo più diretto.