breve di cronaca
Una giustizia non bipartisan
Il Sole 24 ore - 02-04-2005
Cinquantatré leggi in quattro anni. È quanto ha prodotto questa legislatura sulla giustizia: 13 leggi all'anno; una al mese. Più o meno come la precedente che, dopo quattro anni, di leggi ne aveva sfornate 51. C'è una differenza, però: allora tutte le più importanti riforme sulla giustizia furorno approvate con voto bipartisan; negli ultimi quattro anni, invece, a colpi di maggioranza. Non solo: allora il Governo riuscì a realizzare la parte preponderante del suo programma già nel primo quadriennio, mentre l'attuale Esecutivo ha finora realizzato solo un quarto delle riforme promesse ai suoi elettori (3 su 12).
Nella scorsa legislatura maggioranza e opposizione discutevano a tal punto che, secondo alcuni, vi erano addirittura alleanze trasversali; negli ultimi anni il dialogo non è mai decollato e le leggi sono state spesso approvate da Camere semivuote, abbandonate dall'opposizione per protesta, e a volte sotto la minaccia di un voto di "fiducia" per evitare divisioni anche all'interno della maggioranza.

Grazie alle riforme bipartisan della scorsa legislatura, nel 2001 la giustizia civile riuscì a invertire la tendenza al progressivo aumento della durata dei processi e nel 2002 il presidente della Repubblica Ciampi segnalò l'aumento di produttività dei magistrati; una rendita che il Governo Berlusconi non è riuscito a incrementare, deludendo le aspettative dell'Europa alla quale aveva preannunciato misure (processo civile, fallimentare, processo telematico) finalizzate a un recupero di efficienza, per avvicinare la durata dei processi agli standard europei.
Paradossalmente, le leggi che avrebbero contribuito a recuperare efficienza e che hanno incontrato un consenso più ampio, come la miniriforma del processo civile e quella del diritto fallimentare, sono da tre anni insabbiate in Parlamento mentre hanno tagliato il traguardo alla velocità della luce proprìo le leggi più contestate e in controtendenza rispetto al recupero di efficienza e di legalità: le leggi ad personam come il falso in bilancio, le rogatorie, la legge Cirami, il Lodo Schifani. Una ogni anno, dal 2001 ad oggi. In media, ciascuna ha impiegato dai tre ai quattro mesi per essere approvata, perché per cia¬scuna esisteva un'urgenza processuale indifferibile.
Nel 2005 si dovrebbe aggiungere la ex Cirielli, diretta a ridurre drasticamente i termini di prescrizione e a
spazzare via migliaia di processi in corso, tra cui quelli con imputati o indagati "eccellenti" (Berlusconi e i suoi figli, Previti ecc.). Una legge che, secondo i laici del Csm di area Edl rimasti in minoranza, ha il pregio di rendere «oggettiva» la durata della prescrizione perché elimina agni potere discrezionale del giudice, ma che per la maggioranza dell'Organo di autogoverno della magistratura avrà effetti «devastanti» sul sistema giudiziario; una legge «criminogena», hanno avvertito i giuristi; dalla «portata nefasta», ha ammonito l'ex presidente della Corte costituzionale Giuliano Vassalli. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli non sembra preoccupato del paventato effetto amnistia. E nemmeno il premier. Il quale - lo ha ribadito dopo la notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati per corruzione in atti giudiziari nello stralcio dell'inchiesta sulla compravendita dei diritti tv di Mediaset - continua a considerare la ex Cirielli una priorità, da votare subito dopo le elezioni regionali.
In un dossier del Servizio studi della Camera sulle riforme in materia di giustizia approvàte nella scorsa legislatura (giudice unico, sezioni stralcio, depenalizzazione dei reati minori, indagini difensive, attuazione del giusto processo, Tribunali metropolitani, aumento dell'organico dei magistrati di mille unità, riforma dei pentiti ecc.) si legge: «Le profonde innovazioni introdotte sono state elaborate e approvate con il consenso pressoché unanime delle diverse forze politiche rappresentate in commissione Giustizia e in Assemblea, trattandosi di misure la cui urgenza ed essenzialità è stata condivisa in maniera ampia dalla compagine parlamentare». Quelle riforme, in buona sostanza, erano e sono di tutti. Il consenso fu ampio perché i valori ad esse sottostanti erano valori condivisi: legalità, efficienza, sicurezza. Ciò non significa che quelle fossero le migliori riforme possibili o che quella politica giudizíaria non abbia avuto lacune (anche vistose) e non abbia perduto occasioni importanti per la modernizzazione del sistema. E tuttavia, oggi nessuna legge o proposta di legge ne prevede l'abrogazione o la sostanziale modifica.
Le riforme condivise, dunque, vanno lontano e danno frutti. Le riforme bipartisan non condivise, invece, hanno il fiato corto. Il Lodo Schifanì (che sospendeva i processi alle cinque più alte cari che dello Stato) è vissuto lo spazio di pochi mesi (abbastanza per essere applicato nel processo a Berlusconi) perché poi è caduto interamente sotto la scure della Corte costituzionale. Il falso in bilancio, dopo i crack finanziari di questi anni, è stato già in parte riscritto dalla maggioranza (sebbene le modifiche siano assolutamente marginali) e comunque è sotto la spada di Damocle della Corte di giustizia di Lussemburgo che, dopo la durissima requisitoria dell'Avvocato generale Julianne Kokott, sta per pronunciarsi sulla (in)compatibilità della riforma con le direttive comunitarie. Le nuove norme sulle rogatorie internazionali, destinate a complicare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati in ossequio a un esasperato formalismo e a favorire la prescrizione dei processi in corso, sono state anestetizzate dai giudici di merito, prima, e da quelli della Cassazione e della Corte costituzionale, poi, che ne hanno dato un'interpretazione conforme alla prassi internazionale, mal digerita da Governo e maggioranza. La legge Cirami sulla rimessione dei processi ad altra sede per legittimo sospetto, che azzerava anni di battaglie ciel mondo politico, giuridico e civile ed era destinata fra l'altro ad allungare i tempi dei processi a tutto vantaggio della prescrizione, è stata invece depotenziata da una paziente moral suasion del Presidente della Repubblica, che ne impedì gli effetti dilatori sui processi.
Nessuna di queste leggi è stata presentata dal Governo, che però le ha difese con le unghie. Come la riforma dell'ordinamento giudiziario. Ma anche in questo caso le prospettive non sono di una vita lunga e serena. Anzi, il Ddl sull'ordinamento giudiziario è caduto prima ancora di vedere la luce, perché Governo e maggioranza, per tre anni sordì alle principali critiche di incostituzionalità e di impraticabilità, alla fine hanno dovuto piegare la testa di fronte alla reprimenda del Capo dello Stato e sono stati costretti a rivedere alcune scelte di fondo di questa legge. Che ha la pretesa di essere la prima riforma organica dell'ordinamento giudiziario dopo la Costituzione ma che, invece di dare piena attuazione ai principi costituzionali, li vive con insofferenza. Tant'è che il ministro Castelli preannuncia (per la prossima legislatura) una modifica del titolo IV della Costituzione sulla magistratura. Il che vorrà dire cestinare la riforma dell'ordinamento giudiziario, ammesso che sia varata nel rispetto dei principi costitu¬zionali vigenti. Così, però, non sembra, perché le correzioni inserite nel provve¬dimento non seguono fino in fondo le indicazioni di Ciampi: ancora una volta si è scelta la politica del braccio di
ferro, confidando nel fatto che Ciampi non potrà, al secondo giro, non firmare la legge.
L'ultima parola spetterà alla Corte costituzionale. Ma i maggiori costituzionalisti sono convinti che, se sarà approvata così com'è, questa riforma, ben lungi dal migliorare la quali tà del servizio giustizia, sarà un altro tassello della nuova architettura costituzionale voluta dal Governo in cui i poteri di garanzia (Presidente della Repubblica, magistratura, Corte costituzionale) ne escono indeboliti nella loro funzione di controllo, che è invece un punto cardine del costituzionalismo moderno.

DONATELLA STASIO

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