I ragazzi a rischio e le manifestazioni del disagio
Laura Tussi - 19-03-2005
LA FENOMENOLOGIA DELL’ASSENZA DI INTENZIONALITA’

Una premessa necessaria per analizzare e comprendere quelle storie che presentano esiti diversi e sovente dolorosi per chi li vive, consiste nel ricostruire la storia attraverso cui un individuo giunge alla costruzione di sé come soggetto. I dispositivi tramite cui l’individuo conferisce senso e significato alla realtà è la variabile imprevedibile dal cui gioco dipendono esiti diversi nei processi di sviluppo. Interpretare il fenomeno dei ragazzi a disagio significa focalizzare il processo di reciproca interdefinizione tra mondo e soggetto, per cogliere quei nodi, quei cortocircuiti della relazione pedagogica che hanno condotto il soggetto ad un livello problematico di esistenza.

L’attività intenzionale della coscienza come significante della realtà

L’evoluzione cognitiva ed affettiva del soggetto e il suo sviluppo globale sono collegati alla tipologia di rapporto che il ragazzo instaura con il mondo e all’attività intenzionale della coscienza, protagonista della relazione educativa. L’assenza di intenzionalità, ossia l’incapacità del soggetto a rischio di riconoscere l’intima struttura relazionale della realtà, indica una presenza eccessiva ed esclusiva dell’oggetto nella visione del mondo del soggetto e una intrinseca incapacità dell’individuo a situarvisi come donatore di senso e origine di ogni investimento di significato. L’assenza d’intenzionalità, ossia l’incapacità di cogliere l’intima relazionalità della realtà, rappresenta una specie di battuta d’arresto della genesi attiva del sé in cui egli rimane costretto entro i limiti di una visione del mondo dominata dal senso della nullità del sé di fronte alla realtà che appare dotata di una forza autonoma e soverchiante. L’esistenza quotidiana di quei ragazzi che non riescono a considerarsi attivamente implicati nella costruzione della propria esistenza è imperniata dalla percezione dilagante del non-senso della vita e della propria persona. Il ragazzo tende a considerare se stesso come scollegato dal resto del mondo, non riuscendo a cogliere il suo contributo soggettivo nella determinazione della realtà in quanto si percepisce incapace di non potervi intervenire in maniera significativa. Per i ragazzi a disagio risulta dominante la dimensione del qui ed ora, ossia l’eventualità bruta nella quale essi non riescono a intravedere nessuna apertura verso un futuro che sia in qualche modo connesso ad un fine, ad uno scopo, ad un progetto soggettivamente elaborato. Questa assenza nel ragazzo di motivi finalizzati ad uno scopo genera un atteggiamento di dispersione nell’immediato. Il ragazzo rifiuta di essere veramente se stesso, lasciandosi passivamente trascinare dalla fattualità, soffrendo e urlando al mondo il proprio dolore, nel soccombere sotto la pressione di una incommensurabile realtà.

Le reazioni all’assenza di senso e significato

Le reazioni a tali dinamiche consistono in comportamenti di vario tipo. Per esempio la ricerca esclusiva della soddisfazione immediata, per fruire di un appagamento attuale il più globale e intenso possibile. Il sé viene percepito come luogo di assorbimento passivo di quanto quel mondo propone. La soddisfazione non sarà mai frutto di un agire consapevole e ponderato, di una trasformazione del mondo a propri fini, ma di una totale adeguazione di sé al mondo. Altri comportamenti riconducibili all’assenza di intenzionalità è definibile come “fuga da sé”. Quando un ragazzo non riesce a sentirsi attore rispetto al mondo e alla sua esistenza, quando il senso del limite non inserendosi in una visione del mondo più globale, assume un peso sproporzionato nella propria visione della realtà, esso rischia di provocare una totale e devastante svalutazione di sé.

Il valore dell’azione pedagogica

Scopo del rapporto educativo è portare il ragazzo a riformulare lo stile della sua percezione di sé e del mondo depurandola dagli eccessi che la rendono disfunzionale, mentre il suo comportamento verso il mondo e gli altri muterà di conseguenza. Non è necessario ri-educare l’agire sociale, ma condurre il ragazzo verso una progressiva autocoscienza e ad una rivisitazione del suo modo di pensare e di intenzionare la realtà. L’oggetto dell’educazione non è il comportamento da reprimere o da controllare, ma il soggetto nel suo particolare vissuto che ne è all’origine. Il processo di formazione e di crescita non si svolge in un tempo rettilineo e uniforme, ma è contraddistinto da stasi, ostacoli, da arresti temporanei, pause riflessive, accelerazioni, evoluzioni e involuzioni, richiedendo dunque un uso flessibile delle categorie interpretative. La modulazione dello sviluppo della coscienza intenzionale se impedisce un’interpretazione strutturale del fenomeno del disadattamento, dall’altro lato fonda la possibilità della rieducazione, non come un intervento volto ad amputare i comportamenti antisociali, ma come una rimodulazione di quegli schemi di interpretazione di sé del proprio mondo relazionale, in una rieducazione orientata e flessibile.


Bibliografia:

Adler F., Prassi e teoria della psicologia individuale, Roma 1947
Bertolini P., L’esistere pedagogico, La Nuova Italia, Firenze1990
Bertolini P., Ragazzi difficili, La Nuova Italia, Firenze 1993
WinnicottD.W., Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma 1989

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