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La sovranità popolare risiede in Parlamento ...
l'Unità - 19-03-2005
... e non in TV (Red)

Ciampi ammonisce il premier: le decisioni si prendono in Parlamento, non in Tv

Durissimo richiamo del capo dello Stato al presidente del consiglio. La figuraccia di Berlusconi sul ritiro italiano dall’Iraq non è passata inosservata. E soprattutto non è passata inosservata la tribuna televisiva scelta dal premier per un comunicare la sua posizione sulla politica estera italiana, proprio mentre la Camera discuteva il rifinanziamento della missione a Nassiryia. Ecco allora Ciampi, costretto a richiamare ancora una volta il premier al rispetto della Costituzione: «Uno Stato che si voglia chiamare democratico – spiega al termine della sua visita a Londra - non può non avere un Parlamento effettivamente funzionante quale luogo dove si prendono le decisioni principali attraverso il dibattito che, in Parlamento non è mai inutile».

E se qualche volta può sembrare inutile? È un’impressione sbagliata, risponde Ciampi: «Il dibattito in Parlamento è importante. Serve anche ad informare la popolazione dei problemi che ci sono, oltre che a far maturare le decisioni all'interno del Parlamento stesso. Questa è l'importanza del Parlamento».

Del resto alle spalle c’è una storia millenaria, quella che neanche Berlusconi può cancellare: «Fare l'elogio del Parlamento - spiega Ciampi - è fare l'elogio della democrazia nata in tempi lontani nel mediterraneo. Il Parlamento ne è diventato l'istituzione base».

Infine un dubbio: «Come esprimiamo la libertà di parola se non c'è il Parlamento? Certamente rimane – sottolinea il presidente della Repubblica - l'altro strumento rappresentato dai mass media. Ma quello più autentico, più vero è il Parlamento! Su questo non ho dubbio alcuno».

Mentre la maggioranza ancora tace, il segretario Ds Fassino sottolinea: «Quelle pronunciate da Ciampi sono parole molto severe e giuste e se il presidente della Repubblica ha sentito il dovere di pronunciarle vuol dire che c'è un problema, che è necessario ritornare a rispettare il Parlamento e a considerarlo il ruolo centrale della politica italiana»


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 da Repubblica    - 19-03-2005
Il lutto e lo spot

Ogni giorno si rivela: non ha maschera. Chissà se gli italiani finiranno per capire.

Silvio Berlusconi ha scelto la sede a lui più consona per dire la cosa a lui più conveniente. Un politico statista sarebbe andato in Parlamento per annunciare che a settembre inizierà il ritiro del contingente italiano dall´Iraq: dunque un annuncio importante, che segna uno scarto netto dalla linea fin qui seguita dal governo e ancora recentemente ribadita dal ministro degli Esteri Fini, da fare in una sede istituzionale, tanto più opportunamente nel giorno in cui si discuteva e votava il rifinanziamento della missione italiana in Mesopotamia.
Ma un politico mediatico, per il quale l´ascolto conta più delle forme e la propaganda delle istituzioni, sceglie la televisione, dove il messaggio arriva diritto al cuore e alle menti cui è diretto, senza la mediazione dei giornali come accade ai discorsi e ai dibattiti in Parlamento: dunque, un annuncio elettorale, a due settimane e mezzo dalle Regionali, in una sede impropria, e per giunta nel giorno in cui muore a Nassiriya il 28mo italiano in Iraq, il sergente Salvatore Marracino. Una disgrazia, durante un´esercitazione, ma destinata certamente ad alimentare l´inquietudine degli italiani sulla presenza delle nostre truppe (quantificata domenica su questo giornale da Ilvo Diamanti) dopo la tragica fine di Nicola Calipari. Sulla quale, tra l´altro, il presidente del Consiglio ha tentato, ancora una volta in modo improprio per la sede e per le parole usate, una minimizzazione intollerabile in pendenza di un´inchiesta congiunta con gli americani. Ha parlato di una "raffica sbagliata": una derubricazione di una tragedia in cui ha perso la vita un valoroso servitore dello Stato autoattribuita, a titolo giustificatorio, al "cittadino Berlusconi con il suo buonsenso".
Ma il cittadino Berlusconi è anche il premier Berlusconi e dovrebbe sapere che lo sdoppiamento di personalità non è ammesso in politica, ancora meno in quella i nternazionale.

Difatti, le maggiori agenzie di stampa hanno preso in parola il presidente del Consiglio e non il cittadino quando hanno "strillato" l´inizio del ritiro per settembre: «Italy to start withdrawing troops from Iraq in September» (l´Italia inizierà il ritiro delle truppe in settembre) è stato il flash urgente della Reuters, cui ha fatto eco la France Presse con un bulletin sulla «rèduction des troupes». E così la propaganda è diventata un boomerang.
Perché la Casa Bianca, che Berlusconi pensava di compiacere giustificando la "raffica" che ha ucciso Calipari con "un clima di paura tra le truppe, decine di soldati amputati alle mani e alle braccia", ha dovuto richiamare l´alleato all´ordine. L´obiettivo, prima di pensare al ritorno a casa delle truppe "con onore", è l´addestramento delle forze di sicurezza irachene perché siano in grado di garantire la stabilità del Paese. Lo ha detto il portavoce di Bush a precisa domanda sulle dichiarazioni di Berlusconi.
Del resto quelli erano i patti, come ha più volte ripetuto Fini: dovrà essere il governo iracheno a proporci di andar via quando la sicurezza dell´Iraq sarà sufficientemente garantita in modo autonomo dalle autorità locali. Almeno sul piano delle forma, affinché venga rispettata la sovranità degli organismi istituzionali dopo le elezioni di gennaio e dopo quelle che si terranno a fine anno. Perché sul piano della sostanza il ritiro italiano dovrà comunque essere concordato con gli americani, visto che il governo non ha mai voluto ridefinire la nostra missione, tantomeno proporre di porla sotto egida Onu.
Nessuno può negare all´Italia il diritto di ritirarsi unilateralmente, come ha fatto la Spagna: è un diritto insito nel concetto stesso di coalition of willing, la coalizione di chi ci vuole stare. Ma sarebbe per Berlusconi, oltre che uno scarto pesante da una linea politica di solidarietà ad oltranza all´America, uno schiaffo per l´amico Bush. Difficile che il premier voglia - e possa, come dimostra la reazione della Casa Bianca - permetterselo. E, allora, perché lo ha detto? Perché serviva, nel giorno di un altro lutto, uno spot forte per puntellare un prodotto, quello della missione in Iraq, in netto calo di audience perfino, come ha scritto Diamanti, tra gli elettori di centrodestra. L´obiettivo è fin troppo scoperto: capitalizzare voti per le Regionali dei primi di aprile, e magari, calcolando bene i tempi di un inizio di ritiro a settembre per concluderlo nei primi mesi del 2006, per ricapitalizzare in vista delle Politiche. Un wishful thinking, un desiderio scambiato per realtà, direbbero gli americani. Ma non dimentichiamo che fu a «Porta a Porta» che Berlusconi firmò il famoso contratto con gli italiani.

Paolo Garimberti - 18 marzo 2005

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La lezione del Colle al telepopulista

La base della democrazia è il Parlamento, non la tv. Solo in una nazione duramente provata da tre anni di demagogia telecratica può accadere che il Capo dello Stato sia costretto a impartire al Capo del governo una «lezione» così elementare di pedagogia repubblicana. Eppure succede anche questo, in un´Italia irrisolta che il Cavaliere sta trasformando nel Paese dell´irrealtà. Il presidente della Repubblica, da Londra, pronuncia una sconfessione pubblica che non ha precedenti nei confronti del presidente del Consiglio.
L´altro ieri Berlusconi aveva detto: «Non vengo in Parlamento, perché sull´Iraq non ho nulla da chiarire». Oggi Ciampi lo sovrasta: «Il dibattito in Parlamento non è mai inutile: la libertà di parola si esercita in Parlamento», che è uno strumento molto «più vero e più autentico dei mass media». Stavolta c´è molto di più del solito «gelo», che ormai da più di un anno caratterizza i rapporti tra il Palazzo del Quirinale e Palazzo Grazioli, e che neanche la rituale telefonata tra Gaetano Gifuni e Gianni Letta (per l´occasione resa nota con tanto di comunicato ufficiale) è riuscita a sciogliere. Con poche frasi l´uomo del Colle, garante della Costituzione e rappresentante dell´unità nazionale, mette in mora l´uomo di Arcore, che attraverso la personalizzazione della sovranità popolare stravolge le regole della dialettica istituzionale.
E in subordine mette in mora anche Pera e Casini, che di fronte allo sprezzante rifiuto del premier di riferire all´assemblea degli eletti non hanno potuto o voluto spendere una sola parola per difendere le prerogative del potere sovrano che rappresentano. Ma soprattutto, con quest´ultima esternazione, Ciampi compie un´operazione di « svelamento » definitivo. Scopre e denuncia l´essenza profonda del populismo plebiscitario berlusconiano. Infila un paletto istituzionale negli ingranaggi della « fabbrica del consenso» del Cavaliere: la tv come sede privilegiata di mediazione virtuale della politica e, insieme, di manipolazione semantica della verità.
L´epilogo della vicenda del parziale ritiro delle nostre truppe dal prossimo settembre, diffuso dal premier a " Porta a porta " e poi variamente rettificato, sembra dimostrare che la sortita non fosse programmata. Lo confermano alcuni indizi. Le precisazione del giorno dopo con le cancellerie, necessaria per evitare rovinosi infortuni diplomatici con Bush e Blair. La retromarcia tardiva con il Colle, col quale erano stati definiti a livello di Consiglio supremo di Difesa tempi, modi e regole d´ingaggio della missione in Iraq. La delusione postuma del principale esegeta del Cavaliere, quel Giuliano Ferrara che sul Foglio di ieri, a un lettore che gli scrive « il premier a Porta a porta ha detto e promesso altre cose rispetto all´articolo pubblicato sul vostro quotidiano... e anche noi, la gente, non siamo proprio stupidi per bere tutto quello che ci offrono... », ha risposto « Posso darle torto? No ».
Ma la questione centrale non è questa. Gaffe involontaria, o mossa ragionata, l´uscita di Berlusconi ha comunque un unico marchio d´origine. È quel we, the people , che il Cavaliere intercetta ed interpreta, e con il quale si mette in simbiotica sintonia, secondo gli eventi e le convenienze. Non nella sede vincolante del Parlamento, ma nel salotto per niente impegnativo di Bruno Vespa. Quel giorno era morto un altro militare italiano, sul campo di Nassiriya. I sondaggi davano da settimane in aumento la quota di opinione pubblica favorevole a un ritiro delle truppe dall´Iraq. L´exit stretegy è da tempo un tema oggettivo di discussione, per l´Italia come per gli Stati Uniti o la Gran Bretagna. Che ci fosse accordo o meno con la Casa Bianca o con Downing Street. Che ci fosse in quelle stesse ore un dibattito alla Camera sul rifinanziamento di Antica Babilonia. Che ci fossero in visita di Stato Ciampi e Fini a Londra, ignari di tutto. Che ne sapessero qualcosa i consiglieri ministeriali o gli ambasciatori. Sono tutte questioni secondarie. A due settimane dalle elezioni regionali, il premier ha fiutato un´occasione d´oro, per fare quello che gli riesce meglio: « parlare alla gente », come rivendica lui stesso, e come lamentano con ammirato disappunto i suoi stessi alleati. Ma nella sede che gli è più congeniale, e che non lo inchioda a quell´« etica delle responsabilità » che sempre, secondo Max Weber, dovrebbe permeare l´operato delle classi dirigenti. E con la strategia degli annunci che predilige, e che non lo vincola a quel principio di « verificabilità degli eventi » che sempre, secondo Karl Popper, dovrebbe caratterizzare la comunicazione dei leader politici.
Per questo, al contrario di Ciampi, Berlusconi ha eletto a base della democrazia la tv, e non il Parlamento. La tv è lo spazio dell´emozione, non della decisione. E dunque, per certi versi, è il non-luogo dell´irresponsabilità, non il centro della responsabilità. Consapevole o no, il premier è come l´angosciato « re in ascolto » di Italo Calvino: tende l´orecchio, drena informazioni e sensazioni, filtra colori ed umori. Alla fine produce non politica, ma attualità immaginata. E la frulla nel tubo catodico, tra fiction e talk-show. Le uniche «i stituzioni riconosciute » di questa fiabesca Neverland in cui il Cavaliere, con un funambolico gioco di specchi e un continuo interscambio tra realtà ed apparenza, cerca di far coabitare il vero, il verosimile e il falso. Tanto è sicuro che, comunque vada a finire, nessuno gli presenterà il conto.
Per questo, mai come stavolta, lo « schiaffo di Londra » che il Capo dello Stato ha sferrato al Capo del governo è clamoroso, oltre che doveroso. Nella prospettiva di una futura battaglia per il Quirinale, mette a nudo i pericoli di un leader che uno dei maggiori politologi europei, Pierre Andrè Taguieff, ha definito il « grande telepopulista ». Il civico senso comune di Ciampi surclassa il demagogico luogo comune di Berlusconi. E la popolarità del primo è e continuerà ad essere il miglior antidoto contro il populismo del secondo.

Massimo Giannini - 19 marzo 2005

 ilaria ricciotti    - 21-03-2005
Questa affermazione bisogna ricordarla e gridarla ogni giorno, in quanto ogni giorno questo diritto nel nostro Bel Paese viene dimenticato.
inoltre i politici che salgono il Colle debbono ricordarsi sempre di coloro che li hanno eletti e non debbono ereggere barriere. nei loro confronti.