Road map
Stefano Borgarelli - 14-03-2005
Questione di musica, più che altro. Di ritmo. Se alla fine degli anni ’50 Kerouac dissolveva la sua vita sulla strada – eterno pendolare tra la California e il New Jersey – la ricomponeva sulla pagina. Cercando una cadenza bop con la macchina da scrivere. Per il resto, massima dissipazione. On the road.
Oggi invece, senza uno straccio di road map non vai da nessuna parte. Un percorso che permetta a Erika – la minorenne di Novi Ligure che uccise la mamma e il fratellino – di uscire dal carcere per fare volontariato, è richiesto dal suo avvocato come «una “road map” per riabilitarsi.» (Il Giorno, 11/1/05). Chi ha inventato questi termini? «Mi immagino il buon vecchio caro Dipartimento di Stato, - ha risposto Robert Fisk, reporter dell’ Independent intervistato da Democracy Now! - e tutti i giornalisti hanno diligentemente usato il termine “road map”. Non possono usare […] “processo di pace” perché viene associato ad Oslo ed è fallito.» (fonte web: www.zmag.org)
Quando invece tornano in cronaca quei postremi figli dei fiori che sono gli insegnanti (già qualche anno fa sospettati di farsi recidivi spinelli nei cessi delle scuole), il loro eccentrico mansionario risulta sprovvisto (sprovveduti come sono) di qualsivoglia road map. La Costituzione italiana non è più infatti road map della “formazione spirituale e morale” del cittadino. Né l’identità nazionale/europea è più road map della formazione professionale (scivolata in un canale che sparirà dalle mappe fluviali del territorio statale). Né la funzione pubblica della scuola e la libertà d’insegnamento (costituzionale) dei suoi funzionari (i docenti), sono più road map del processo educativo (lo saranno gli “interessi” delle famiglie, pubblicamente registrati nei portfolio dai tutor). Né l’autonomia professionale e la tutela costituzionale sono più road map della garanzia di pluralismo culturale e democrazia (il nuovo tracciato sarà affidato a “esperti”, non abilitati all’insegnamento e nondimeno convocati in veste di docenti, cfr. art. 12, comma1, Legge 53/03).
In origine, beat vuol dire: barbone, spiantato che dorme sotto i ponti. Dopo Kerouac, beat generation fu anche un modo di cercare una lingua nuova. A ritmo di bop. Restino pure on the road, i prof senza map. Non è affatto detto, però, che non riescano (prima o poi) a far cambiare la musica.



In sottofondo Stock Holm di Charlie Parker


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