Uno, nessuno, ventiquattro
Pino Patroncini - 12-03-2005
Lo “spirito” del liceo ha ritrovato la sua essenza: il latino. Lo ha detto chiaro e tondo la sottosegretaria Aprea all’Expo Education di Milano, per giustificare il fatto della sua introduzione in quasi tutti gli otto licei ( pardon: “percorsi liceali”, dal momento che fenomenologia dello “spirito” richiede precisione di termini significanti) anche se mascherato dentro le pieghe dell’italiano e della testa di chi lo insegnerà.
Ma nondimeno il liceo sembra vivere una crisi di identità pirandelliana.

Infatti quanti sono i licei?

Uno
, secondo la bozza di decreto sulla secondaria superiore, così come uno è il Sapere e otto sono le sue manifestazioni in altrettanti percorsi (non licei, ma percorsi liceali!) deputate all’approfondimento dell’aprioristica cultura liceale, che esiste al di fuori del tempo e dello spazio, in attesa che l’approfondimento dai diversi punti di vista la renda immanente.
Otto secondo la legge 53 e qui non ci sarebbe bisogno di dimostrazioni, perché la legge è legge. Se no che legge è?
Diciotto se si considerano gli indirizzi: tre nell’artistico, sette nel tecnologico e due nell’economico e due nel musicale-coreutico ( lo dice il nome stesso).
Ventiquattro se si considerano le cosiddette opzioni di settore dei due indirizzi del liceo economico (quattro per indirizzo) , veri propri sottoindirizzi volti a dare il contentino a un po’ di specialità soppresse e a qualche “spiritello” in vena di ambizioni da “haute ecole”.
E’ quanto emerge dall’ultima bozza del decreto abbozzata, appunto, dal ministero. Un’articolazione ambigua e piena di equivoci, che dimostra la vana illusione di aver trovato la chiave di volta del sistema e che, con gradi e formule diverse (anche nelle alchimie delle discipline, degli orari e degli organici), cerca di accontentare tutti senza soddisfare nessuno: Bertagna, fautore dell’unico e della sua proprietà, la Confindustria, fautrice del politecnicismo, qualche lobby di materia o di indirizzo, i centri di potere mediatici (è o non è il ministero della televisione quello che ci governa?), nonché arredatori, stilisti e ballerine.
Mancano ancora i nani, ma non abbiamo dubbio che prima che tutto ciò sia finito anche loro troveranno la loro strada.
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