Da Articolo 21 - 10-03-2005 |
Facendo eco all'iniziativa di Reporter Sans Frontieres, i deputati europei: Vittorio Agnoletto, Giulietto Chiesa, Lilli Gruber e Michele Santoro, si sono fatti promotori di una raccolta di firme tra i membri del Parlamento europeo per inviare un appello al Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, perché istituisca una commissione internazionale, sotto l'egida dell'ONU, che faccia luce sulla tragica uccisione di Nicola Calipari, da parte di forze armate americane, e sui numerosi rapimenti di giornalisti in territorio iracheno. "La tragica uccisione di Nicola Calipari - dichiarano i deputati - legata a doppio filo con la liberazione di Giuliana Sgrena, ci costringe, per l'ennesima volta, a cercare d'indagare le modalità, gli attori, le motivazioni e i retroscena dei sistematici rapimenti di giornalisti in territorio iracheno. Riteniamo sia dunque venuto il momento di chiedere in modo risoluto che la comunità internazionale si doti degli strumenti adeguati per indagare sulla situazione irachena." Questo il testo dell'appello Al Segretario Generale delle Nazioni Unite Mr Kofi Annan Appello al Segretario Generale ONU sull'uccisione di Nicola Calipari e sui rapimenti dei giornalisti in Irak Mr Annan, increduli di fronte ai recenti, tragici avvenimenti in Irak in cui ha perso la vita Nicola Calipari -funzionario dei servizi segreti italiani- nel corso della liberazione della giornalista italiana Giuliana Sgrena, in qualità di Membri del Parlamento Europeo la invitiamo a promuovere una commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite che faccia luce sull'uccisione di Nicola Calipari da parte delle forze armate americane ma anche sui numerosi rapimenti di giornalisti in territorio iracheno. Siamo convinti che di questa commissione dovrebbero far parte anche rappresentanti dell'Unione Europea. Nell'attesa di un riscontro, la salutiamo cordialmente. |
da Repubblica - 12-03-2005 |
Nuovi dettagli dal rapporto inviato ai pm dall'ufficiale di raccordo con gli Usa a Bagdad suui preparativi della liberazione di Giuliana Sgrena "Il Sismi mi ordinò due volte: Non dire nulla agli americani" ROMA - Fino in fondo, fino all'ultimo metro prima dell'ultimo check point all'entrata dell'aeroporto di Bagdad, l'alleato Usa doveva restare all'oscuro del dispositivo del Sismi che aveva come obiettivo la liberazione di Giuliana Sgrena. A questa conclusione giunge la relazione di servizio del generale Mario Marioli, vicecomandante del Corpo multinazionale in Iraq e ufficiale di collegamento a Bagdad tra Italia e Stati Uniti, relazione che da giovedì è a disposizione dei pm del pool antiterrorismo della procura di Roma e di cui Repubblica ha già riferito ieri. Due sono i passaggi chiave del rapporto, che potrebbero essere da soli la risposta a tante domande. Il primo passaggio cruciale della relazione riporta un colloquio avvenuto tra Nicola Calipari e il generale Marioli nel briefing tra le 16 e le 17 del 4 marzo. Il colloquio avviene mentre il capo divisione del Sismi e un funzionario, il maggiore dei carabinieri che in serata sarà alla guida della Toyota Corolla, ritirano i badge per circolare a Bagdad e per il possesso delle armi. Scrive Marioli: "Chiedo a Calipari se devo dire qualcosa all'alleato Usa dell'operazione per la liberazione dell'ostaggio, ma la risposta è che l'alleato non doveva essere informato in alcun modo". Calipari e il maggiore prendono con sé armi corte, tre pezzi, anche quelle da ieri a disposizione degli investigatori per eventuali prove balistiche. Il secondo passaggio sottolineato nella relazione di servizio avviene in serata, quando l'ostaggio è già libero ma l'operazione non è ancora conclusa. In questo caso il generale Marioli riferisce un colloquio avuto, ovviamente prima della sparatoria avvenuta alle 20.55, questa volta con il capo-centro del Sismi a Bagdad, informato fino al dettaglio dell'operazione in quanto egli era "parte integrante del dispositivo". Marioli chiede ancora una volta "se dovevo avvertire l'alleato visto che stavano rientrando in aeroporto con Giuliana Sgrena a bordo. Mi veniva risposto "no", nonostante abbia fatto presente che il mancato avviso poteva significare aspettare anche quindici minuti davanti al check point di ingresso nell'aeroporto". Il posto più presidiato di tutto l'Iraq, sede del Comando alleato e della base militare Camp Victory. I pm Franco Ionta, Pietro Saviotti e Erminio Amelio non commentano la relazione e non escludono di voler sentire il generale Marioli appena possibile. La sua testimonianza sembra destinata a segnare definitivamente il lavoro della commissione mista militare Usa-Italia. Difficile, a questo punto, parlare di "difetto di comunicazione" o di "buco nella catena di comando americana" visto che l'alleato Usa - secondo la testimonianza di Marioli - non doveva sapere nulla ad ogni livello: figuriamoci la pattuglia del 69° fanteria messa lungo la strada per l'aeroporto per tutelare il passaggio del convoglio di John Negroponte, lo zar di tutta l'intelligence Usa. L'ambasciatore quella sera era ospite a cena da George Casey, comandante della forza multinazionale in Iraq, all'interno del recinto di Camp Victory. Negroponte era passato prima delle 20 nel punto della sparatoria e sarebbe dovuto ripassare da lì circa un'ora e mezzo dopo il fatto. Giuliana Sgrena, intanto, in un'intervista all'Ansa ha detto ieri di "non aver fiducia nelle inchieste". I pm appendono la loro ipotesi di reato di omicidio volontario e tentato omicidio alla presunta violazione delle regole d'ingaggio da parte della pattuglia impegnata al posto di blocco mobile. Ma sono scarsissime le possibilità di celebrare un processo in Italia per questioni di giurisdizione. Dalla prossima settimana saranno a disposizione della procura anche tutti i telefoni, cinque su cinque, usati quel giorno da Calipari e dal maggiore. Non potranno raccontare troppi segreti: i tabulati delle telefonate saranno esaminati solo da dopo l'ora della liberazione, al netto quindi di telefonate riguardanti il pagamento del riscatto e di quelle con gli informatori della rete irachena. "Sto lavorando, datemi alcune ore di silenzio, staccherò i telefoni, lo devo fare, è necessario" aveva chiesto venerdì scorso Nicola Calipari al suo direttore Niccolò Pollari, che lo raccontava ieri sera in Campidoglio. "Nicola - ha detto Pollari - vorrebbe che io qui oggi cercassi di spiegare cosa significa fare lo 007 in Iraq. E' un uomo solo che non può contare su nessuno e su nessun dispositivo, tratta con soggetti pericolosi e si muove in zone non protette". CLAUDIA FUSANI Da Repubblica.it |
dal Manifesto - 13-03-2005 |
Negroponte cambia versione: cena con Casey Il suo portavoce spiega: «Doveva usare l'elicottero ma grandinava. Viaggiava su un'auto scortata» L'ambasciatore avrebbe percorso la strada per l'areoporto un ora e mezza prima dell'auto dei servizi italiani con a bordo Giuliana Ha cambiato nuovamente versione l'ambasciatore americano John Negroponte. E sta volta, guarda un po', i pezzi sembrano combaciare tutti. Dopo giorni di indiscrezioni sul tema, ieri, il suo portavoce Bob Callahan ha spiegato che la sera in cui una pattuglia americana ha aperto il fuoco contro la vettura di Giuliana l'ambasciatore stava andando in macchina verso l'aeroporto per incontrare il generale George Casey, comandante delle forze multinazionali in Iraq, proprio in una base americana vicina all'aeroporto. Negroponte non avrebbe usato l'elicottero, come normalmente fa, perché quella sera grandinava. Una versione dei fatti tanto perfetta quanto ritardataria - è dal 7 marzo che si parla dello spostamento dell'ambasciatore Usa su quella stessa strada. Con le parole di Callahan, infatti, si chiudono tutti e tre i «buchi» di una storia che circola da una settimana. «Il check point mobile era stato organizzato per proteggere l'ambasciatore che doveva andare a cena dal generale Casey a Camp Victory», dice il portavoce alla Reuters e aggiunge un ultimo particolare: «L'ambasciatore ha superato il check point attorno alle 19.30 e credo che la sparatoria sia avvenuta dopo». Sulla agenzia Afp, che cita la stessa fonte gli orari cambiano leggermente. L'appuntamento con Casey sarebbe stato alle 19.30, ma visto che la grandine ha imposto di cambiare il mezzo di trasporto l'arrivo a Camp Victory sarebbe stato «alle 20 ora locale (le 18 in Italia)». Che la distanza da quando la notizia della liberazione di Giuliana diventi di dominio pubblico poco importa. L'importante è che il transito di Negroponte «prima» della sparatoria e non mezz'ora dopo - come si diceva nelle due precedenti versioni - chiuda il cerchio su un particolare importante: se l'ambasciatore fosse passato dopo la morte di Calipari avrebbe trovato la strada ingombra di soldati e probabilmente dalla stessa Toyota. Di certo, dato il convoglio che lo scortava, l'avrebbero visto in molti. Invece, dice Callahan, è passato prima. Nessuno l'ha visto, come è normale che sia per un uomo tanto potente e protetto. Il secondo «buco» riguarda il mezzo di trasporto scelto. Sono in molti a ricordare che pochi giorni dopo il suo insediamento - avvenuto il 19 aprile scorso - l'ambasciatore aveva chiesto a tutti i diplomatici americani presenti a Baghdad di muoversi nella città solo tramite elicottero e di non fare mai la «irish road» diretta all'aeroporto, perché troppo pericolosa. «Normalmente» si sarebbe mosso in elicottero, ammette Callahan. Ma vista la grandine che in quel momento cadeva su Baghdad, avrebbe scelto l'auto. L'ultimo dubbio rimasto è sul perché i soldati abbiano sparato alla vettura su cui viaggiava Giuliana se Negroponte era già transitato. Ma questo interrogativo è stato già colmato dalle risposte a Repubblica due giorni fa. «La vita dell'ambasciatore Negroponte vale quanto quella del Presidente» è stato spiegato ai soldati, e dunque il rischio di uccidere un civile iracheno è accettato da tutti. Per tornare verso la zona verde - il quartiere ultraprotetto dove ha sede l'ambasciata americana - l'ambasciatore avrebbe usato l'elicottero e avrebbe avuto la notizia della morte di Calipari (avvenuta alle 21 passate, ora di Baghdad) poco dopo il rientro. Callahan non specifica, però, a che ora sia avvenuto il rientro e sembra che nessuno gliene abbia chiesto conto. La notizia del passaggio di Negroponte sulla strada per l'aeroporto era stata diffusa il 7 marzo dalla Cnn. Secondo quella versione il transito sarebbe avvenuto dopo la sparatoria. Il 10 la storia era confermata su Repubblica. il Manifesto 12 marzo 2005 |
Franco Dore - 13-03-2005 |
Non sono d'accordo sul fatto che questa sia l'unica ipotesi possibile. Gli elementi riportati al momento dagli interventi di Fini e di Berlusconi lasciano concretezza anche ad una ipotesi mediana tra agguato e incidente sui fatti che hanno portato alla liberazione della Sgrena e successiva uccisione di Calipari. Sgombrando il campo da ciò che non risulta acclarato, al momento è data certezza soltanto ad alcuni elementi concreti. Su questi è però possibile fare utili deduzioni. 1) E’ nota l’ostilità delle Autorità Statunitensi all’azione svolta autonomamente dai servizi segreti italiani in merito a trattative finalizzate alla liberazione dei diversi ostaggi dei connazionali; nemmeno debbono fare meraviglia, data la natura delle attività, le azioni svolte dai funzionari italiani nel massimo della segretezza. 2) E’ ormai acclarato che le Autorità Statunitensi fossero a conoscenza della liberazione della Sgrena ad opera dei Servizi Italiani e dell’imminente arrivo in Aeroporto della loro auto per il successivo rimpatrio (più di un check point era già stato attraversato). 3) Della grandine di colpi d’arma sparati dai militari americani quelli andati a segno sono pochissimi. E’ evidente che l’intenzione non era il massacro generalizzato; al massimo l’ipotesi consolidata potrebbe essere l’intimidazione. 4) Per lunghissimi momenti gli occupanti dell’auto sono stati alla mercè dei militari americani che, anzitutto, hanno inibito ogni comunicazione con i cellulari ordinari e satellitari utilizzati fino a quel momento (si pensi a quanti numeri telefonici possono essere immagazzinati in un cellulare satellitare e alle tracce che lasciano le comunicazioni svolte!!??); perchè sono stati sequestrati dagli americani i cellulari di servizio ???. Perchè immediatamente l’auto di servizio utilizzata non è rimasta sotto la diretta sorveglianza delle autorità italiane???. 5) E’ ragionevolmente impossibile che l’ufficiale americano al comando della pattuglia che ha svolto l’azione militare non fosse informato dell’arrivo della macchina degli italiani.Nemmeno è credibile l'ipotesi di "scarsa professionalità". Conclusione: l’agguato da parte americana può essere ipotizzato non per carpire chissà quale segreto alla giornalista Sgrena, semmai per venire a conoscenza di tutti i contatti, a cominciare da quelli telefonici, avuti dagli agenti italiani al fine di sgominare la rete di informazioni messa in piedi da Calipari in Iraq per lo svolgimento della sua attività di intelligence. La distruzione di questa rete, per la quale sono necessarie conoscenze, credibilità, rapporto fiduciario, etc. avrebbe certamente costretto ad una pesante battuta di arresto per ogni azione autonoma successiva. Perché non sono stati restituiti immediatamente alle autorità italiane i cellulari di servizio di Calipari e colleghi ?? Forse lo saranno successivamente ma , nel frattempo, saranno stati “esaminati” accuratamente per carpirne ogni informazione su tutti i “contatti riservati” avuti in precedenza. L’ipotesi di agguato non perde quindi consistenza soprattutto se accompagnata dall’ipotesi della finalità non di uccisione degli occupanti dell’auto (il fatto avrebbe creato, così come effettivamente oggi crea, grave imbarazzo alle Autorità Americane) ma alla sottrazione di ogni materiale utile a distruggere ogni attività di intelligence fino al momento messa in piedi dai Servizi Italiani. A questo punto l’uccisione di Calipari è stata conseguenza del tragico eccesso dovuto alla foga dell’azione militare. Quel che è certo è che sarà davvero dura per i Servizi Italiani ricominciare daccapo a tessere la loro paziente tela perché il lavoro svolto sino ad oggi sarà stato certamente già distrutto. Franco Dore - Olbia |
da Reporter Associati - 14-03-2005 |
Nicola Calipari ovvero un parafulmine per riparare i danni causati da decisioni politiche sbagliate Domenico Leggero è il responsabile del comparto difesa dell’Osservatorio Militare, nato nel 1997. Domenico Leggero è un militare, esperto di questioni militari. e in particolare è uno degli uomini che cerca di affrontare e risolvere i problemi che attualmente pesano sulla nostre forze armate. Un esercito che si trova ad affrontare, spesso impreparato, crisi internazionali di origine politica e indecifrabile soluzione. Uomo prudente e preparato, Domenico Leggero era amico di Nicola Calipari, con il quale aveva a lungo collaborato. Nell’intervista che ha concesso in esclusiva a Reporter Associati rivela cosa è andato storto a Baghdad in quella drammatica notte della liberazione di Giuliana Sgrena… Parliamo subito di Nicola Calipari, è la prima volta, forse, che un funzionario del SISMI viene descritto da ogni schieramento politico come una persona competente, prudente e che concepiva il suo lavoro in modo trasparente… …mi permetta una considerazione iniziale: chi lavora nei servizi è obbligato a lavorare nell’ombra e proprio per questo spesso l’opinione pubblica è portata a credere che i nostri agenti siano specializzati solo in “lavori sporchi”. Ma non è così, almeno non sempre. E’ frequente che i funzionari dei servizi fungano da parafulmine per riparare i danni causati da decisioni politiche sbagliate. Il modo di lavorare di Nicola Calipari era sempre “evidente”, rispettoso delle regole democratiche. Lei conosceva Nicola Calipari? Sì certo, lo avevo conosciuto alla Questura di Roma quando diregeva l’ufficio stranieri. In quel periodo è iniziata la nostra collaborazione. Lei era presente all’aereoporto di Ciampino all’arrivo della salma di Nicola Calipari? Sì, sono partito con la mia auto da Firenze e sono arrivato a Roma poco prima dell’arrivo del C-130 proveniente da Baghdad. Non sono andato però sulla pista insieme alle altre autorità, ho preferito aspettare Nicola nella sala stampa. Mi sembrava il posto più tranquillo, meno esposto. Ricordo tutta quella pressione…le telecamere delle Tv, le autorità, molti di loro non avevano neppure mai conosciuto Nicola…Sono comunque riuscito a salutare la moglie Rosa e i figli. Poi sono andato via. Una domanda che non posso non farle: secondo lei, secondo la sua esperienza militare e conoscendo la prudenza e le capacità del funzionario del SISMI cosa potrebbe essere accaduto quella notte nella quale Calipari ha perso la vita? Guardi, missioni come quella nella quale era impegnato Nicola Calipari vengono sempre pianificate con un unico compito irrinunciabile: “aprire una finestra”. Attivarsi attraverso l’unico referente presente sul campo dell’operazione, in questo caso il referente era un’ufficiale della CIA. Nicola Calipari non doveva rivolgersi ad altri che a quel referente e lo ha fatto certamente aprendo, appunto, una “finestra”. Cosa intende per “aprire una finestra”? Le faccio un esempio: quando un aereo “amico” deve sorvolare un territorio considerato ostile si indica un orario del sorvolo, e in quell’area, e nelle ore indicate la contraerea non spara. Al suolo nessuno deve essere a conoscenza del passaggio…solo così il veivolo passerà indenne. Nicola Calipari avrà quindi comunicato con l’ufficiale della CIA suo referente, spiegando dettagliatamente il motivo della sua missione, a quell’ora, su quella strada, con un ex ostaggio appena liberato in macchina? O si sarà limitato a una comunicazione generica basata solo sul rapporto di fiducia che lo legava al referente? Quello di Calipari è un tipo di lavoro dove non si è tenuti a dare nessun tipo di spiegazione, neppure a un referente tanto importante, come era l’ufficiale della CIA in quel teatro di operazione. Comunque avrà certamente comunicato con l’ufficiale della CIA. Su questo non ho dubbi. Il fatto che Nicola Calipari si trovasse a bordo di un’auto civile con targa irachena, e per quanto se ne sa, senza neppure una vettura di appoggio potrebbe avere in qualche modo influenzato l’incidente con la pattuglia di soldati Usa che si è poi verificato? No, non credo.Un’auto di appoggio poteva rivelarsi in realtà molto più pericolosa che non di sostegno all’operazione in corso. Per quanto riguarda il fatto che l’auto fosse civile e con targa irachena neppure questo è un dettaglio particolarmente significativo… Scusi lei mi sta forse dicendo che sè Nicola Calipari ha comunque comunicato i suoi spostamenti (se pure in forma generica) e che sarebbe transitato quella sera sulla strada dell’aeroporto di Baghdad dobbiamo pensare che la mancanza di comunicazione successiva, quella diretta ai militari in presidio lungo la strada, la dobbiamo addebitare all’ufficiale di raccordo americano? Guardi, dobbiamo sempre partire dalla scena del crimine, bisogna esaminare il quadro della situazione. Il gruppo di fuoco dei militari Usa impegnati in quel momento su quella strada ha compiuto un attacco contro l’auto dove si trovavano Nicola e Giuliana Sgrena che definirei come “goffo”. Probabilmente la causa è stata un’interruzione sulle comunicazioni che avrebbero dovuto mettere sull’avviso proprio quei militari. Questo mi fa ritenere che quel presidio di soldati americani non avesse ricevuto alcuna comunicazione sul transito di un auto che avrebbero dovuto seguire ma non impedire. I militari Usa hanno immediatamente aperto il fuoco contro quel veicolo, che deve esser apparso sospetto, mettendo in pratica gli ordini e le procedure di ingaggio ricevute dal loro comando. Secondo lei è ipotizzabile che dietro l’incidente ci possa essere stata l’intenzione deliberata di voler colpire i servizi italiani perché rappresentanti di un governo che ha scelto la strada del pagamento dei riscatti per arrivare alla liberazione dei propri ostaggi in Iraq? Io so solo che Nicola Calipari era un funzionario abilissimo, intelligente e scaltro. Quanto agli americani li ritengo sufficientemente pragmatici per comprendere – al di là delle questioni geo-politiche espresse ufficialmente – che il denaro, in alcune situazioni limite come quelle degli ostaggi occidentali in Iraq, è l’unica arma che può rivelarsi determinante. Quindi secondo lei per la liberazione di Giuliana Sgrena, è stato pagato un riscatto? No. E non credo neppure che sia stato pagato un riscatto per la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta. Sono stati sequestri strani questi, atipici direi, quasi che una qualche regia occulta volesse comunicare al mondo intero come sono “sporchi brutti e cattivi” gli iracheni. Sono assolutamente convinto che si è trattato di sequestri politici…molto politici. Come forse lei saprà gira insistente la voce, un rumor potremmo dire, che Nicola Calipari, così scrupoloso e attento nel suo lavoro avesse organizzato le fasi della liberazione di Giuliana Sgrena seguendo esattamente le regole e le procedure messe a punto con i suoi referenti e collaboratori, tanto a Baghdad quanto a Roma, ma improvvisamente, proprio nell’ultimissima fase, quella del “prelievo” di Giuliana lasciata bendata, ma libera, dentro l’auto dei suoi sequestratori, Calipari possa aver percepito un pericolo, una smagliatura nell’organizazione…come se improvvisamente non si fosse più fidato di qualcuno o qualcosa... E abbia deciso all’istante di cambiare il piano e dirigersi in tutta fretta verso l’aeroporto in compagnia del solo maggiore dei carabinieri che si trovava alla guida della loro auto… E’ normale che non ci si fidi di nessuno se non dell’amico in quelle circostanze tanto particolari e in qualche modo estreme. Comunque se pur era previsto di portare Giuliana Sgrena nella nostra ambasciata di Baghdad ben avrebbe fatto Nicola e il suo fidatissimo maggiore a cambiare programma. L’ambasciata, in quelle circostanze, era decisamente il luogo più pericoloso dove portare Giuliana. Calipari ha fatto la cosa corretta e giusta. Questi sono casi dove non sempre si possono seguire burocraticamente le procedure. Se può mi risponda con franchezza: considera la morte di Nicola Calipari l’effetto di un incidente, un agguato o è avvenuto qualcosa che è ancora da decifrare? Questo è un punto davvero inquietante, io sono portato a escludere l’incidente così come ci è stato presentato fin dai minuti immediatamente successivi alla sparatoria, non so neppure se sia corretto parlare di un agguato nel senso letterale del termine, ma certo è che la dinamica dei fatti fa pensare quanto meno ad un attacco pianificato…ben pianificato. Servirà molto lavoro e molta trasparenza per arrivare alla verità. Che opinione si è fatto della Commisione mista italo-americana voluta dal governo italiano e accettata in linea di principio dalla Casa Bianca? Mi riesce molto difficile pensare e credere che gli americani metteranno a disposizione e condivideranno tutti gli elementi in loro possesso. C’è il rischio che la responsabilità dell’incidente venga addossata a un qualsiasi caporale Smith, una giovane recluta che avrebbe perso la testa? Sì questa eventualità è da mettere in conto. Secondo la sua esperienza cambierà qualcosa nella nostra presenza militare in Iraq dopo questo tragico episodio? Stia pur tranquillo che non cambierà nulla. Deve capire che c’è una grande differenza tra noi e gli inglesi nel gestire l’alleanza con gli Stati Uniti. La differenza sostanziale è che Londra è un alleato alla pari degli Usa, mentre l’amministrazione Bush considera noi italiani poco più di “personale di servizio”. Ubbidienti… Come definirebbe la presenza delle truppe straniere in Iraq? Una situazione di occupazione o di presenza di militari in missione di pace come sostiene il governo italiano? Missione esclusivamente di pace direi proprio di no…forse un’inedita via di mezzo tra guerra e pace. Ma certamente anche di guerra, questo è chiaro. Di occupazione e di controllo manu militari del territorio. In Iraq, non dimentichiamolo mai, c’è il petrolio e questo è l’oro del mondo. A Nassirya, dove sono le nostre truppe, c’è la più grande raffineria di petrolio dell’intero territorio iracheno. E questa è la contro partita che ci chiedono gli americani: se il petrolio vi piace e lo volete anche per voi allora proteggetelo insieme a noi… Quindi la presenza italiana in Iraq, in pratica, non potrà avere termine senza il consenso della Casa Bianca e del Pentagono? Siamo totalmente subordinati… Si, sì..siamo subordinati... Ad esempio leggerei la recente vendita degli elicotteri Augusta all’amministrazione Usa proprio in questo senso: un premio di fedeltà concesso al governo per l’industria italiana. Secondo lei di fronte ai rapimenti avvenuti in Iraq, e non dimentichiamo quello ancora non risolto della giornalista francese di "Liberation" Florence Aubenas, le mobilitazioni dell’opinione publica italiana e europea in favore della pace e contro l’occupazione dell’Iraq possono avere un qualche effetto sui sequestratori o sulle “centrali” che li ispirano? Direi di no. Né sui sequestratori né sui loro ispiratori. Per concludere possiamo dire che Nicola Calipari prima di rimanere vittima del fuoco amico, abbia concluso con successo la sua ultima missione? Sì, certamente si. Roberto di Nunzio (con la collaborazione di Barbara Galeazzi-Lisi) |
ilaria ricciotti - 16-03-2005 |
Spero tanto che chi ha causato la morte di Calipari, di Enzo Baldoni e di tanti altri civili iracheni abbia presto un volto e un nome e non ci si dimentichi che lo reclamano la verità e la giustizia. Chi ha commesso questi crimini deve essere giudicato. |