dall'Anpi - 28-02-2005 |
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da Repubblica - 28-02-2005 |
L´Italia di Matteotti e quella di Mussolini Quali che ne siano state le motivazioni, la violenza ha segnato, in misura maggiore o minore, le vicende di tutti i tempi e di ogni paese, alimentando mari di sangue, così da dare piena verità al detto di Hegel che la storia si presenta come "la storia di un macello universale". Orbene, nessun periodo del passato ha testimoniato di questa verità al pari del Novecento; in nessun altro periodo, infatti, grazie alla potenza offerta dalla scienza e dalla tecnologia la violenza ha creato cimiteri spirituali e materiali tanto immensi: tutti poi deplorati tardivamente sovente da quegli stessi uomini che in un momento della loro esistenza li hanno voluti, esaltati, e persino perversamente goduti. Naturalmente, per la forza delle cose, il sangue che forma i fiumi è quello dei vinti. Ha ben il suo significato il detto antico "guai ai vinti!". Fatto è che in tanti casi i vinti sono stati i vincitori di ieri, che hanno iniziato e seminato la strage. Oggi vanno diffondendosi le giornate della Memoria, al fine di ricordare le grandi violenze, gli stermini in massa, i genocidi, i crimini contro l´umanità. Sono positive occasioni di riflessione comune e tributi dovuti agli innocenti. Ma, sia consentito di dirlo con la forza necessaria, queste giornate diventano troppo spesso o proiezioni dei passati conflitti, strumenti di reciproche accuse e recriminazioni da spendere nel mercato dei conflitti politici attuali, oppure occasioni di un invito, tanto più odioso in quanto apparentemente generoso, ad azzerare magnanimamente le parti col dire che tutte hanno egualmente sbagliato. Quando ciò accade, la memoria viene ridotta a merce e il tema difficile ma irrinunciabile della ricerca e della valutazione delle relative responsabilità privato di significato. Se nel grembo dell´ultima pietà tutte le vittime possono essere insieme composte, il giudizio storico-politico e anche morale non può pareggiarle. Assumo ad esempio due casi clamorosi di violenza politica, che nel loro opposto significato simbolico risultano, credo, incontrovertibilmente eloquenti: le uccisioni di Matteotti e di Mussolini; il primo un democratico assassinato da una banda di sicari per aver denunciato lo strangolamento della democrazia da parte di un dittatore, il secondo giustiziato da partigiani a conclusione di una guerra spaventosa da lui decisa; il primo dopo aver sfidato a viso aperto la dittatura in Parlamento, il secondo dopo essersi dato alla fuga travestito da tedesco, aver abbandonato i suoi fedeli ai quali aveva indicato il sacrificio come estremo dovere d´onore, aver detto agli italiani che chiamava alla bella lotta: «Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi». Sono indotto a questo esempio dai fotogrammi inediti ieri pubblicati da la Repubblica. Vedere il cadavere del dittatore e della sua compagna appesi a testa in giù genera pena e sbigottimento. Osservare il volto devastato di Mussolini colpito anche dalla scarpa di una donna fa provare un senso di turbamento e orrore per gli eccessi che sempre si scatenano nei giorni dell´ira quando la pietà è morta. Ma tutto ciò non esime dal pensare che simili eccessi costituiscono l´ennesima prova che chi semina vento raccoglie tempesta, dal ricordare che l´indecente esposizione di Piazzale Loreto faceva seguito a quella cui erano prima stati esposti nello stesso piazzale e in molti altri d´Italia i cadaveri di tanti partigiani. Il conto non era storicamente e neppure umanamente pari nell´Italia fascista e di Salò e nell´Italia antifascista e della Resistenza. È un conto, questo, doloroso, sempre aspro da tirare, ma a cui non possono sottrarsi anzitutto coloro che si sono accinti e si accingono a ragionare e a raccontare del "sangue dei vinti" delle due Italie. In entrambe vi furono certo persone e gruppi che (non si dimentichi: in ben differenti proporzioni) consumarono ignobili vendette. Sennonché nessuna pur equa memoria potrà mai pareggiare l´Italia di Matteotti e dei resistenti e l´Italia dei Mussolini e delle brigate di Salò in un paesaggio in cui tutte le creature, rese egualmente nere, non appaiono più distinguibili le une dalle altre. Se si vuole una memoria nazionale condivisa, occorre fondarla sulle distinzioni imposte dai valori e dai fatti di ciascuno. MASSIMO L. SALVADORI |
Redazione - 28-02-2005 |
Sempre dal sito dell'Anpi segnaliamo inoltre Promemoria per i senatori: l'uccisione del partigiano Emilio Da Ponte, martire della libertà (scheda tratta da "Donne e uomini della Resistenza"). Nato a Senago (Milano) il 7 aprile 1899, squartato dai repubblichini della Decima Mas a Palmanova (Udine) nell’ottobre del 1944. Da Ponte, sebbene non più giovane, si era impegnato nella Resistenza nella bassa friulana ed era stato nominato commissario politico del Battaglione partigiano "Montina". Nell’ottobre del 1944, catturato a Pocenia dai repubblichini della Decima Mas, era stato trasportato a Palmanova e rinchiuso nella caserma "Piave", che era diventata la sede del Comando forze di repressione antipartigiana e luogo di tortura. I fascisti seviziarono a lungo il prigioniero, per costringerlo a rivelare i segreti dell’organizzazione di cui faceva parte, ma non una parola uscì dalle labbra di Emilio Da Ponte. Inferociti dal suo sprezzante silenzio, i militari fascisti riservarono al commissario partigiano una morte atroce: lo legarono mani e piedi a due cavalli da tiro e poi fecero partire gli animali in direzione opposta, squartandolo. Gli stessi carnefici di Emilio Da Ponte, se ancora viventi, potrebbero essere presto equiparati ai combattenti della Libertà se il Senato della Repubblica nata dalla Resistenza non respingerà il DDL 2244 presentato dal senatore di Alleanza nazionale Giovanni Collino, che mira appunto a ottenere il riconoscimento della qualifica di "militari belligeranti" per i militi della Rsi. |
maura - 06-03-2005 |
Purtroppo il potere ha la possibilità anche di distorcere gli eventi quando questo è funzionale alla propria immagine. E' stato sempre così, la storia lo insegna. Ciò che meraviglia di più è però che ancora oggi la conoscenza e la cultura non riescono ad aprire gli occhi e ancora qualcuno può permettersi di raccontare "storie" ed essere creduto. Forse l'onestà, la verità e la democrazia sono veramente delle utopie! |