La sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Venezia giovedi' 24 febbraio 2005, di piena conferma della sentenza assolutoria di primo grado emessa dal Tribunale di Verona nel 1997, e' una sentenza che ci assolve definitivamente dall'accusa di blocco ferroviario per aver fermato alla stazione di Balconi di Pescantina il 12 febbraio 1991 il "
treno della morte" proveniente dalla Germania e diretto a Livorno carico di mezzi militari destinati alla prima guerra in Iraq.
Siamo stati assolti "
perche' il fatto non sussiste" in quanto in sostanza i giudici riconoscono che la nostra azione diretta nonviolenta era tesa "
non gia' ad impedire od ostacolare la liberta' dei trasporti ma a rendere palese e ad esternare una posizione di non allineamento a quella degli organi ufficiali", ed inoltre viene riconosciuta la correttezza e la coerenza della nostra condotta nonviolenta.
Grazie a tutti.
Questa "vittoria di tutti" e' stata ottenuta con il concorso di tantissimi amici della nonviolenza.
In primo luogo vogliamo ringraziare gli avvocati della difesa, che con generosita', competenza, e autorevolezza hanno patrocinato la causa. Grazie di cuore a Sandro e Nicola Canestrini, Maurizio Corticelli, Nicola Chirco, Giuseppe Ramadori. Questi avvocati costituiscono una preziosa risorsa per tutto il movimento. Senza di loro non avremmo ottenuto un risultato cosi' soddisfacente.
Grazie alle tantissime persone e gruppi che da ogni parte d'Italia hanno fatto pervenire la loro solidarieta', determinante far capire ai giudici che il blocco nonviolento non era un'azione estemporanea, ma esprimeva la profonda persuasione di un sentire comune e diffuso.
Grazie a padre Angelo Cavagna e al professor Antonio Papisca, che con le loro testimonianze al primo processo hanno offerto ai giudici le profonde motivazioni morali e giuridiche per dichiarare illegittima quella guerra, e tutte le guerre.
Grazie a chi ha sempre dato una corretta e puntuale informazione, senza la quale non sarebbe cresciuto il consenso attorno a noi.
Grazie a chi prima di noi, con sacrificio personale, ci ha insegnato cos'e' la nonviolenza e ci ha fatto capire, con l'esempio, la forza e l'efficacia dell'azione diretta nonviolenta.
Grazie ai nostri figli, non ancora nati nel 1991, oggi adolescenti, che ci hanno sostenuto con la loro vivace freschezza, con leggerezza e passione.
Grazie al Movimento Nonviolento che ha messo a disposizione tutte le risorse ideali e materiali necessarie.
Grazie alla magistratura, che ci ha giudicato con imparzialita' e in autonomia, ed ha saputo applicare con coraggio lo spirito della legge.
Grazie a chi utilizzera' questa sentenza per proseguire il cammino della nonviolenza.
Mao Valpiana a nome di tutti i 17 imputati, assolti.
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Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991]
dal Manifesto - 28-02-2005
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Non è reato fermare i treni che portano armi. Lo dice l'articolo 11
Fermare i treni anche sdraiandosi sui binari si può, se il fine è quello di «bloccare forniture militari» dirette in Iraq. Anzi, è un diritto protetto dall'articolo 11 della Costituzione, che sancisce il ripudio della guerra, e dal 21, che protegge la libertà di manifestazione del pensiero. A stabilirlo è stata la prima sezione della corte d'Appello di Verona, dando ragione a 17 pacifisti che impedirono il transito di un convoglio diretto dal capoluogo scaligero al porto di Livorno per essere caricato su navi militari americane. Non stiamo parlando del cosiddetto «Trainstopping» di due anni fa e dei no global che per settimane picchettarono stazioni, porti e aeroporti in mezza Italia per fermare i «carichi della morte». Ma addirittura della prima guerra del Golfo. Il fatto risale al 12 febbraio 1991, gli imputati erano già stati assolti in primo grado ma il pm, che aveva chiesto per loro dieci mesi di reclusione, aveva fatto ricorso in appello. L'altro ieri, dopo 14 anni, la sentenza definitiva, che costituisce un precedente importante anche per i processi tuttora in corso e che in qualche caso hanno già portato all'emissione di diversi decreti penali di condanna senza nemmeno passare per il dibattimento. E che al Forum contro la guerra di Firenze ha spinto molti ad affermare che, dopo questa sentenza, bisogna tornare a bloccare i convogli, dopo che le sanzioni amministrative e le denunce a decine di attivisti avevano di fatto smontato quel genere di protesta.
Importante la sentenza, sì, ma ancora di più la motivazione con cui i 17 sono stati assolti «perché il fatto non sussiste». I magistrati hanno infatti fatto ricorso agli articoli 11 e 21 della Costituzione, quelli che sanciscono il ripudio della guerra e la libertà di manifestazione del pensiero, per dare ragione agli imputati. Non solo. Hanno riconosciuto anche che l'azione aveva il fine di salvare delle vite umane, «compromesse dall'arrivo in Iraq dei carri armati trasportati nel convoglio». Insomma, un successo al di là di qualsiasi aspettativa. I pacifisti erano accusati di blocco ferroviario «perché in concorso tra loro ostruivano e ingombravano i binari di entrambe le direzioni» e «anche sdraiandovisi sopra, al fine di impedire la libera circolazione di un convoglio viaggiante con precedenza assoluta e recante forniture militari con destinazione Livorno e per il Golfo Persico». Ma ecco cosa ha scritto la Corte: «Essendo stata l'azione comunque posta in essere per salvare delle vite umane compromesse dall'arrivo in Iraq dei carri armati trasportati nel convoglio» e trattandosi di «una manifestazione non violenta a carattere meramente simbolico rientrante nell'ambito dei diritti costituzionali garantiti e in particolare quello della libera manifestazione del pensiero, con riferimento al ripudio della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali», non è stato commesso alcun reato. In udienza gli imputati avevano letto un comunicato in cui affermavano che «eravamo perfettamente consci di non essere in grado di fermare, se non simbolicamente, l'escalation della guerra. La nostra è stata un'azione che è andata più in là della politica, nella speranza di poterla un giorno contaminare». I magistrati hanno creduto in pieno alle loro parole, scrivendo che «la manifestazione inscenata dai pacifisti del movimento non violento è stata un semplice atto dimostrativo di carattere meramente simbolico, finalizzato a sensibilizzare l'opinione pubblica in ordine al pericolo di risolvere con le armi le controversie internazionali».
A.MAS
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