Gaetano Collotti
da Fisicamente.net - 16-02-2005
L’ISPETTORATO SPECIALE DI PUBBLICA SICUREZZA


Nell’aprile del 1942 il Ministero degli Interni costituì a Trieste un Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, il cui scopo era la repressione dell’attività antifascista con particolare riguardo a quella slava. Bisogna precisare che nessun’altra provincia italiana conobbe un’istituzione del genere.

Non fu certo l’arrivo dei nazisti a rendere particolarmente efferati i membri dell’Ispettorato Speciale, difatti la maggior parte delle testimonianze raccolte nel corso dei processi contro i suoi appartenenti risale a periodi antecedenti il 25 luglio 1943 (destituzione di Mussolini).

All’8 settembre 1943 l’Ispettorato aveva sede a Trieste in via Bellosguardo 8 in quella che era già nota come la famigerata “Villa Triste” [22]; era comandato dall’ispettore generale Giuseppe Gueli e comprendeva 180 uomini.

Dopo l’8 settembre l’Ispettorato fu temporaneamente sciolto dal governo repubblichino, ma venne presto ricostituito come Ispettorato Speciale al cui comando rimase sempre Gueli, che però si teneva in disparte lasciando che si facesse notare pubblicamente il giovane ed ambizioso vicecommissario Gaetano Collotti. Va qui ricordato che Gueli s’era trovato a fare parte del corpo di sorveglianza di Mussolini quand’era prigioniero al Gran Sasso: lo sorvegliò così bene che, com’è noto, il “Duce” fu liberato da un commando tedesco e portato al Nord. In compenso diversi agenti che avevano fatto parte del corpo di sorveglianza seguirono Gueli a Trieste quando fu rimesso a capo del ricostituito Ispettorato di P.S. Il corpo era formalmente alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno della Repubblica di Salò, ma era sottoposto al diretto controllo del comando S.S. di Trieste.

Nel febbraio del 1944 il prefetto di Trieste Tamburini nominò maresciallo lo squadrista Sigfrido Mazzuccato, incaricandolo di costituire un reparto di polizia ausiliaria (la squadra politica che avrà sede nella via San Michele, nota anche come “squadra Olivares” [23]) all'interno dell'Ispettorato stesso. Di questo corpo fecero parte circa 200 ausiliari, per lo più squadristi locali; di essi 170 erano pregiudicati per reati comuni. Il reparto fu sciolto nel settembre del ‘44 per ordine delle autorità germaniche e lo stesso Mazzuccato fu spedito in Germania: aveva commesso tali e tante nefandezze da far inorridire persino le S.S. [24].

Dagli atti del processo Gueli, avvenuto nel dopoguerra [25], stralciamo le seguenti testimonianze.

Testimonianza del dottor Paul Messiner, austriaco, che nel 1944 ricopriva la carica di capo-sezione Giustizia del Supremo Commissariato della Zona di Operazioni del Litorale Adriatico:

«Mi è stato riferito che nell’anno 1944 l’Ispettorato di P.S. di via Bellosguardo, trasferitosi dopo in via Cologna, procedette all’arresto dei fratelli Antonio e Augusto Cosulich (armatori che avevano finanziato il C.L.N., n.d.a.). Il barone Economo si rivolse al Supremo Commissario dott. Rainer per ottenere l’immediato trasferimento dei detenuti dall’Ispettorato alla sede delle S.S. di piazza Oberdan, a causa dei noti sistemi di tortura dei detti agenti italiani, usati contro patrioti. Il Supremo Commissario accolse subito la richiesta e disse che la polizia tedesca non usava i metodi crudeli e le sevizie escogitati dall’Ispettorato [26]… Ho saputo da diverse persone e tra queste dall’avv. Tončič, che la polizia italiana usava metodi barbari e sadici contro i detenuti. Ho parlato e fatto rapporto scritto al dott. Rainer... Mi sono state date assicurazioni in merito. (...) Il giudice Anasipoli sa che ho fatto arrestare due agenti dell’Ispettorato pur non rientrando nelle mie attribuzioni. (...) Ho dato ordine che i tribunali provinciali italiani non potessero giudicare antifascisti e che se avessero violato tale ordine sarebbero stati arrestati. (...)».

Poi c’è la testimonianza del giudice Anasipoli, allora giudice di collegamento tra la Corte di Appello, Procura Generale, e la sezione giudiziaria retta dal dott. Messiner:

«Ricordo che un giorno il dott. Messiner ebbe casualmente a comunicarmi di essere stato costretto a far arrestare due funzionari di P.S. dei quali ricordo il nome del Mazzuccato Sigfrido (l’altro era Miano Domenico, n.d.a.)... E ciò in seguito a numerose lagnanze presentategli relativamente a maltrattamenti violenze, percosse usate da detti agenti contro persone arrestate».

Nazisti tutori dei diritti civili a Trieste, dunque? Forse no, vediamo la testimonianza dell’avvocato Tončič:

«Slavik mi disse di aver fatto un esposto al capo della sezione giustizia dell’ex-Commissariato dott. Paul Messiner e me lo mostrò. In tale esposto oltre a narrare quanto contro di lui era stato commesso dagli agenti (dell’Ispettorato, n.d.a.), espose anche i maltrattamenti e le violenze carnali commesse ai danni di una ragazza diciassettenne e di una signora di Trieste... Il dott. Slavik fu arrestato poco tempo dopo dalle S.S. germaniche e deportato a Mauthausen dove purtroppo trovò la morte».

Racconta invece Pietro Prodan, che fu arrestato sedicenne, nel 1944, assieme alle sorelle Nives e Nerina: «Tra i poliziotti che procedettero al nostro arresto c’era anche Sigfrido Mazzuccato». Dopo un mese e mezzo di sequestro in via Bellosguardo, dove furono picchiati tutti e tre, anche da Collotti in persona, «mi hanno portato in Germania al campo di Buchenwald dove sono stato liberato dagli alleati. Nello stesso campo di concentramento è venuto nel novembre del 1944 anche il maresciallo Mazzuccato che la vigilia di Natale è stato, verso mezzanotte, trasportato nel forno crematorio e gettato in esso. Ho visto coi miei occhi la cartella scritta dai tedeschi in cui si diceva: “Mazzuccato, deceduto per catarro intestinale il 24 dicembre 1944”».

Così dunque morì Mazzuccato, in un finale quasi biblico. Quanto a Miano, era stato arrestato dalla Gestapo di Verona il 10.5.44 e dopo cinque mesi nelle celle sotterranee (pare sia anche stato torturato), fu deportato a Flossenburg, da dove fu liberato il 23.4.45.

Sui crimini e misfatti commessi dall’Ispettorato fin dall’inizio della sua “attività” (violenze e torture, ma anche rastrellamenti ed esecuzioni di partigiani, come pure rapine e furti ai danni degli arrestati), esistono moltissime testimonianze, trascritte in più libri [27] e facenti parte, come quelle da noi riportate nelle righe precedenti, degli atti dei processi Gueli e Ribaudo ed anche di quello della Risiera di S. Sabba. Le violenze e le torture erano pratica comune e notoria, al punto che lo stesso vescovo Santin, già nel 1942, aveva cercato di intervenire per far cessare le vessazioni, pur sostenendo che all’inizio non aveva preso sul serio le testimonianze che parlavano delle sevizie inflitte agli arrestati.

Dopo lo scioglimento della “banda Olivares” rimasero in forza all’Ispettorato (che nel frattempo si era trasferito da via Bellosguardo in via Cologna, sede fino a pochi anni fa di un comando dei Carabinieri) 415 uomini: 100 effettivi, 280 ausiliari, 35 alle dirette dipendenze di Gaetano Collotti (la “banda Collotti” vera e propria).

Presso l’archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste è conservata una “foto-ricordo” della “banda Collotti” (foto esposta anche al Museo della Risiera di S. Sabba e pubblicata in alcuni libri). Questa foto è stata scattata a Boršt-S. Antonio in Bosco, (comune di Dolina-S. Dorligo della Valle, in provincia di Trieste), dopo un’azione di rastrellamento che costò la vita a tre partigiani nel gennaio del ‘45. Allegata alla foto v’è la testimonianza di un agente di P.S. di Bolzano che identifica i tredici componenti del gruppo [28].

Oltre alla “lotta antipartigiana” i membri dell’Ispettorato si occupavano anche di andare a prelevare gli Ebrei da deportare in Germania: gli agenti si presentavano in casa delle persone da prelevare, in genere in seguito a denunce di solerti vicini di casa o bottegai della zona (va ricordato che i nazisti ricompensavano con 10.000 lire – dell’epoca! – i delatori per ogni denuncia che portava ad un arresto) [29], i prigionieri venivano poi portati in via Bellosguardo e di lì “smistati” in Risiera [30].

Nei ranghi dell’Ispettorato entrarono molti volontari, persone che lasciarono il proprio lavoro per potersi permettere impunemente violenze e saccheggi, come nel caso di Mario Fabian, che lasciò il suo posto di tramviere, perche come membro dell’Ispettorato aveva maggiori possibilità di guadagno. Fabian fu ucciso e gettato nel pozzo della miniera di Basovizza (Šoht) [31].

Molti furono poi anche i “collaboratori esterni” dell’Ispettorato, delatori e collaborazionisti che conservavano il proprio posto di lavoro e poi riferivano alla “banda Collotti” o direttamente alle S.S. Dei delatori triestini uno dei più noti è un certo Giorgio Bacolis, impiegato al Lloyd Triestino di navigazione. Bacolis si spacciava anche per pastore evangelico o valdese per poter raccogliere più facilmente le informazioni da vendere poi ai nazifascisti. Fu pagato 100.000 lire - dell'epoca! -per aver denunciato il capitano Podestà, del C.L.N.

Nel dopoguerra furono celebrati dei processi contro membri dell’Ispettorato. Quello più importante vide come imputali Giuseppe Gueli, Umberto Perrone, Nicola Cotecchia, Domenico Miano, Antonio Signorelli, Gherardo Brugnerato e Udino Pavan. Gueli fu condannato in seconda istanza ad otto anni ed undici mesi, gli altri a pene minori, salvo Cotecchia e Perrone assolti.

Il processo contro Lucio Ribaudo, imputato di sevizie particolarmente feroci, lo vide condannare a ventiquattro anni.

Quanto a Gaetano Collotti, fucilato dai partigiani vicino a Treviso (del quale sarebbe stato succube, secondo i suoi difensori, il “povero” Gueli), ebbe addirittura l'onore di venire decorato con medaglia di bronzo al valor militare dalla Repubblica Italiana “nata dalla Resistenza” (?) per le azioni antipartigiane da lui compiute prima dell’8 settembre 1943 [32]. Alle proteste elevate da più parti contro questa onorificenza, il Ministero rispose a suo tempo che, una volta data, la medaglia non si poteva revocare.

Con buona pace dei torturati e dei morti...



Esiste una “Canzone a Collotti”, composta dai prigionieri rinchiusi nel carcere dei “Gesuiti”. La trascriviamo di seguito:

Dopo congiure, convegni e comploti

Fra trenta mule [33] e trenta giovanoti

Ne ga becado el grande Colotti

E a Bellosguardo ne ga tocado andar.

Là semo acolti coi massimi onori,

Tutta la squadra la se buta fora.

Tra pugni e piade e grandi dolori,

Dela corente la cura el ne fa far.

Dopo aver scrito l’eterno verbale

Con grande afeto ale nostre spale

In una freda giornata invernale

Ai Gesuiti [34] ne ga tocado andar.

In questa grande e augusta dimora

La fame nera xe nostra signora,

Pedoci e zimesi ne manda in malora,

Anche la chibla [35] la cela fa impestar.

Quando la cura ga fato i efeti

E semo grassi e robusti nei peti,

Dentr’a un convoglio i ne meti

Ed in Gennania ne toca lavorar.

Dopo tre giorni de strada ferata

Ed altri due de lungo camino,

Semo arrivadi più morti a Berlino,

Ed in miniera ne toca lavorar.

E qua finissi la storia,

Al gran Coloti sia resa la gloria,

e che la squadra la fazi pur baldoria,

che de foiba se senti zà parlar [36].

Fonte


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