Foibe: tra sciovinismo e verità storica
Grazia Perrone - 16-02-2005
(...)"Aspettavamo la storia ed invece é arrivata la fiction... La realtà io me la sento nel corpo, quest'agglomerato di cellule che hanno geni misti, e solo poco meno di tre quarti sono italiani, gli altri sono sloveni. Misti come le nostre terre e ogni volta che la nostra storia viene lacerata in questo modo, mi sento lacerare anch'io. Una sofferenza difficile da comunicare a parole. (...)". E' quanto scrive Paola Lucchesi a commento della "fiction" televisiva "Il cuore nel pozzo". La questione delle foibe e la “Giornata della memoria”, nonché la già citata fiction televisiva hanno trovato ampio spazio sulle pagine della stampa d’oltremare. Nonostante non ci siano state reazioni ufficiali dei governi, sui quotidiani sloveni e croati sono usciti nei giorni scorsi commenti, interviste, articoli e trafiletti su questo argomento. Ve ne propongo alcuni stralci

Il 9 febbraio, il quotidiano sloveno “Dnevnik” riporta un lungo articolo sulla fiction televisiva. Oltre a riportare dell’alta percentuale di audience ricevuta in Italia dalle due puntate dello sceneggiato, sottolinea la reazione dell’Accademia liberale slovena alla proiezione del film, valutato come “opera di indottrinamento e di propaganda politica”. Dal canto suo l’Accademia slovena – riporta il Dnevnik - ha controbattuto con la proiezione di un altro film dal titolo “Nel mio Paese”. Una pellicola sui crimini commessi dagli Italiani e dai Tedeschi nei confronti degli Sloveni, girata nel 1948. L’Accademia, si legge, ha esplicitamente chiesto al governo sloveno di reagire a questa “manipolazione della storia”.

Sullo stesso tema prende posizione il quotidiano della minoranza italiana in Slovenia e Croazia, “La voce del popolo”, con un articolo intitolato “’Furono giustiziati 284 fascisti’ - I combattenti dell’Istria reagiscono alla ‘campagna denigratoria’”. Nell’articolo la fiction televisiva “Il cuore nel pozzo” viene contestata dall’Associazione regionale dei combattenti antifascisti, la quale dichiara che lo sceneggiato è “falso, denigratorio e fuorviante”. Il pezzo del quotidiano di Pola prosegue citando il commento di Tomo Ravnic, membro dell’associazione, intervenuto durante la conferenza stampa del 9 febbraio.

Da quando in Italia è salito al potere Berlusconi per noi le cose sono cambiate: per certa stampa ogni occasione è buona per dire male di noi. Ci dà fastidio il fatto che incessantemente si dice che i partigiani, cioè i combattenti antifascisti, hanno ucciso gli italiani solo in quanto tali. È un’atroce bugia che non possiamo tollerare”, ha commentato Ravnic.

Nello stesso articolo viene riportata la dichiarazione del giornalista Armando Cernjul, il quale non risparmia critiche ai colleghi italiani e al governo croato: “Noi non riusciamo a scrivere tanti articoli quanti sono i libri che in materia si danno alle stampe in Italia.” E poi: “Non passa giorno che alcuni giornali – Il Piccolo, TriesteOggi – non attacchino il movimento partigiano, esagerando il numero degli infoibati. Si vergogni il Governo (croato, n.d.a.) che non reagisce mai. Noi facciamo da pompieri, reagiamo quando qualcuno ci colpisce, ma le cose vanno chiarite una volta per tutte. Le foibe: non sono invenzione nostra; cent’anni fa l’irredentismo italiano ci minacciava con trattamenti simili.”

Sempre il 9 febbraio, il quotidiano croato “Slobodna Dalmacija” esce con un articolo dal titolo “I media e i politici italiani alla vigilia della celebrazione del ‘Giorno della memoria’ - Sulla tragedia degli esuli italiani: la Zagabria ufficiale tace sulle foibe”. Nell’articolo Senol Selimovic, giornalista del quotidiano croato, riprende ampiamente la corrispondenza inviata al sito Osservatorio sui Balcani da Drago Hedl sulle foibe viste dalla Croazia, nella quale si sottolinea il silenzio di Zagabria sulla questione delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmato.

Il giorno successivo in Slovenia “Delo”, “Dnevnik”, “24 Hur”, riportano una notizia dal titolo, “Studenti italiani non desiderano imparare la cultura croata”.

Cinque studenti di lingua e letteratura croata dell’Istituto per l’Europa centrale e sud-orientale dell’Università La sapienza di Roma, mercoledì scorso (9 feb., ndt.) hanno protestato di fronte all’istituto per cambiare il corso di studi, perché non volevano studiare la cultura di un popolo che ha ucciso gli Italiani solo perché erano Italiani”.

Nel riportare la notizia i quotidiani aggiungono che ciò fa parte di un’isteria collettiva che ha preso forma attraverso i media alla vigilia del “Giorno del ricordo”, indetto dall’Italia per il 10 febbraio. Secondo i quotidiani sloveni, si tratterebbe di una campagna del centro destra, guidata da Silvio Berlusconi, con l’intento di attaccare gli oppositori politici del centro sinistra.

Il 10 febbraio “Slobodna Dalmacija” ritorna sulla questione con un articolo dal titolo “L’Italia si rammarica, e la Croazia non festeggia”, ancora a firma di Senol Selimovic. Un lungo articolo di carattere storico in cui l’autore presenta i fatti del 1947, anno della Conferenza di Pace di Parigi, ossia – come precisa l’autore – della decisione sulla perdita delle “province orientali” dell’Adriatico. Secondo Selimovic, “una perdita dolorosa solo per gli sconfitti fascisti italiani”.

Più ad est, anche i media serbi hanno dato spazio alla notizia della celebrazione in Italia del “Giorno della memoria” e della fiction televisiva. Il 6 febbraio il quotidiano “Politika” ne aveva parlato intervistando l’attore belgradese Dragan Bjelogrlic, che interpreta il ruolo del partigiano sloveno Novak, ne “Il cuore nel Pozzo”. Il giorno stesso della celebrazione, 10 febbraio, la notizia viene battuta da B92, una sottolineatura va alle forti reazioni della Slovenia alla fiction televisiva della RAI. L’11 febbraio ne parla anche il quotidiano di orientamento progressista “Danas”. “Passerella della destra a Trieste” è il titolo dell’articolo del quotidiano belgradese in cui compaiono le parole del ministro Tremaglia in visita a Trieste e le reazioni sollevate in Slovenia, oltre che alle punte di ascolto della fiction sulle foibe. “Danas” ritorna sulla questione con un articolo pubblicato nell’inserto settimanale, “Danas vikend”. “Violazione nelle fosse della morte” è il titolo dell’articolo pubblicato dal settimanale, nel quale viene presentato il quadro storico di riferimento, date e cifre, senza dimenticare i crimini delle camicie nere nei campi di concentramento , in particolare sull’isola di Rab, in Croazia.

“Novi List”, quotidiano di Rijeka (Fiume), esce l’11 febbraio con una prima pagina dedicata al tema della memoria. Due gli articoli pubblicati. Il primo breve e di circostanza riporta le celebrazioni del 10 febbraio a Trieste. Il secondo più esteso affonda contro la fiction televisiva “Il cuore nel pozzo”. “Fiume ricorda ancora i crimini fascisti”, sottotitolo “Gli antifascisti di Fiume invitano il governo croato a reagire al film che tendenziosamente modifica la verità storica sul fascismo e la guerra di questa regione”. Sulla questione vengono riportate le parole dell’accademico Petar Strcic, il quale afferma che “Questa non è una protesta solo contro un film, perché non né il primo né l’ultimo di tali contesti, questa è una protesta contro il fatto che un tale tipo di film sia stato trasmesso dalla televisione di stato italiana. E’ assurdo che in Italia si interrompa una partita di calcio se compaiono delle scritte fasciste, e allo stesso tempo alla televisione di stato si può mandare in onda questo tipo di filmati”.

Lapidario il commento dell'ex presidente repubblicano - quando ancora esisteva la Jugoslavia - Janez Stanovnik. In una dichiarazione rilasciata al quotidiano di Podgorica (Montenegro) Vijesti ha dichiarato che (...)"il film sulle foibe e sulla pulizia etnica subita dagli Italiani sulla costa slovena, in Istria ed in Dalmazia rappresenta non solo una falsificazione della verità storica, ma anche l'apice di un'operazione di "lavaggio del cervello", che, rispetto a questo tema, si è sviluppata in Italia, e in particolare a Trieste, nel corso degli anni (...)" .

Per avere un quadro più aggiornato e completo delle reazioni suscitate oltre confine dalla fiction televisiva consulta il sito Osservatorio sui Balcani

Leggi anche Operazione Foibe a Trieste di Claudia Cernigoi che riprende - approfondendoli - alcuni degli argomenti citati da Paola Lucchesi. In modo particolare la storica triestina rileva la "stranezza" del conferimento - da parte della Repubblica "nata dalla Resistenza" - di una medaglia a Gaetano Collotti capo della sezione operativa dell'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, agli ordini dell'ispettore generale Giuseppe Gueli. Quello stesso "ispettorato" triestino - con sede nella famigerata "Villa Triste" di via Bellosguardo - che divenne tristemente nota come "Banda Collotti", dal nome del suo comandante: Gaetano Collotti.




interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 paolo forin    - 21-02-2005
Cercando di esprimermi senza risentimenti, trovo normali i commenti e le reazioni di parte croata suscitate dall'istituzione della giornata della memoria e dalle manifestazioni che ne sono seguite.
In fondo cinquantanni di indottrinamento hanno nascosto loro la verità su quei massacri, che ora negano, e noi non siamo messi meglio, se per parlarne sono occorsi tutti questi anni.
Dunque ora che la verità inizia ad emergere, eccoci stupiti, colpiti, ed offesi.
Altri muri devono ancora crollare, dopo Berlino.

 Giuseppe Aragno    - 21-02-2005
Sarà vero, Forin, le credo: lei è convinto di scrivere senza risentimenti. E' altrettanto vero, però, che parte da un pregiudizio e cova un antico rancore. Non bastasse, oppone all'indottrinamento - vero o presunto - della "parte croata" la "dottrina" che lei non ha o finge di non avere. E lo dico senza nessuna voglia di fare polemica. Si lasci andare, valuti i fatti per quelli che sono: una molecola in un universo di dolore. Lo faccia e finalmente vedrà quale muro le si erge davanti. Lo faccia e scoprirà che le foibe sono parte di una tragedia molto più grande di quello che a lei piace pensare.
Dietro il muro che non vede ci sono gli squadristi all'opera a Trieste e dintorni, c'è il sangue slavo innocente che corre, la ferocia che fa scuola al nazismo - non fu per caso che Hitler si scelse a modello Mussolini - col programma di "italianizzazione" d'una razza inferiore, che non rispetta nulla e non conosce limiti: né l'istituto di cultura né il cimitero.
Riduca in macerie questo muro e se ne troverà di fronte un altro, contro il quale lei e il suo commento non risentito cozzerano inevitabilmente: il muro del silenzio sulla Jugoslavia attaccata e sottomessa secondo le regole dell'aggressione. Vedrà i campi di concentramento e i morti per fame. Avrà, spero, vergogna di ciò che fecero i generali fascisti. E conterà i morti, accorgendosi che il numero cresce e le foibe impallidiscono. Le verrà la curiosità di capire e troverà i morti che facemmo ovunque. Nella Libia assolata le Foibe le sembreranno una goccia nel mare. Le impiccagioni, le stragi per deportazione, i gas. Vedrà.
Quando tornerà ad occuparsi di Trieste e dintorni, lo farà con un altro animo e la smetterà di aiutare i neofascisti a distorcere la storia. Le verrà voglia di capire di dove nasce la grande tragedia di cui parla - un effetto, badi bene, non una causa - e magari si accorgerà che fu l'orrore della prima guerra mondiale a partorirla. La grande guerra, che fu ad un tempo guerra imperialista - un mostro occidentale e non slavo - e il laboratorio degli orrori. Da essa nacquero il nazismo, il fascismo e lo stalinismo - che non fu socialismo - la pace armata e la seconda guerra mondiale. Forse così scriverà un commento giustamente risentito, in cui proverà a mettere tutto sullo stesso piano, senza fare classifiche. Avrà la nausea per la programmata macellazione dei civili terrorizzati dal terrorismo aereo che non ha una patria, per le città sventrate nella Spagna repubblicana, per l'inglese Coventry o la tedesca Dresda. Si ricorderà di Hiroshima e Nagasaki.
Vada all'origine della malattia, non alle sue manifestazioni. Segua le tracce delle nostre armate o delle squadre fasciste. Troverà che c'è di che vergognarsi, che abbiamo conti salati da pagare. Altro che slavi!


 Grazia Perrone    - 28-02-2005
Tratto da Osservatorio sui Balcani


Nella prefazione al volume "Storie di uomini giusti nel Gulag", Gabriele Nissim scrive a proposito dei concetti teorici e filosofici elaborati attorno alla Shoah come «…la deriva eliminazionista introdotta nel nome di un ordine superiore non abbia colpito solo gli ebrei, gli armeni, le vittime sovietiche, ma abbia attraversato la condizione umana del Novecento».

Credo che quando parliamo di memoria dovremmo in primo luogo aver coscienza di ciò. Altrimenti ognuno coltiverà la propria memoria, piangerà i propri morti, con l'esito di considerare la propria narrazione come l'unica possibile, la verità sulla quale costruire il destino della propria comunità.

La realtà è invece che ci sono diverse narrazioni, in Palestina come in Bosnia, in Istria come in Sud Tirolo, nel nord America come in Sudafrica, e che la ricerca della verità è cosa complessa che non può prescindere da un altrettanto complesso lavoro di elaborazione delle vicende storiche e dei conflitti che l'hanno accompagnate, a partire dai punti di contatto delle diverse narrazioni. In particolare laddove l'eliminazionismo ha interagito con lo stesso territorio a fasi alterne. È il caso dell'Istria e del dibattito sulle foibe.

Una memoria a senso unico non potrà avere come esito che il rinfocolare del rancore a dispetto del tempo. Ed è ciò che sta avvenendo. Al proliferare delle giornate della memoria non corrisponde infatti una rigorosa ricerca storica e tanto meno percorsi di elaborazione collettiva dei conflitti, ma un uso strumentale e di parte della storia, in genere funzionale al proprio approccio politico e culturale. In altre parole, disonestà intellettuale.

Un tema, quello della memoria, che andrebbe invece trattato con estrema prudenza. Anche perché ad una lettura di parte, corrispondono molto spesso retorica e ritualità, componenti che ingessano la memoria come capacità di rileggere la storia. Ma soprattutto impediscono di fare l'unica cosa veramente importante e cioè capire ciò che è accaduto, perché è potuto accadere, indagare sulla colpa individuale, sulle responsabilità collettive, ma anche sulla rimozione e sulla falsa coscienza. E tutto questo non per avere vendetta, ma perché solo il riconoscimento di ciò che è accaduto può metterci nelle condizioni di parlare almeno di convivenza, se non proprio di riconciliazione. Perché quest'ultima è un processo ancora più complesso che prevede – oltre all'elaborazione del conflitto – anche forme specifiche di risarcimento. Non parlo di perdono, che riveste una sfera individuale oltreché controversa: «È possibile perdonare l'imperdonabile?» si chiedeva Vladimir Jankélévitch nel suo "Perdonare?"

E se è vero che la logica concentrazionaria ed eliminazionista ha attraversato tutto il Novecento, potremmo dire che la vicenda delle foibe, forse ancor più della Shoah e del Gulag, hanno descritto una tragica reciprocità, l'assonanza degli opposti. Anche in questo caso i mezzi, l'eliminazione del nemico, testimoniano lo stesso disprezzo per la vita, la stessa demonizzazione dell'avversario, ma insieme anche le affinità culturali che hanno segnato la "strana coppia" del Novecento, per usare l'immagine di Marco Revelli.

Affinità e cinismo che hanno fatto sì che tanto le pagine nere del colonialismo italiano (altro che "italiani, brava gente") di là dell'Adriatico quanto della contro-pulizia etnica jugoslava nell'immediato secondo dopoguerra, potessero cadere sotto decenni di oblio, nel comune interesse a mettere sotto silenzio quel che poteva essere ingombrante alla retorica dei vincitori.

Oggi si è rotto il silenzio, ma siamo ancora ben lontani da un processo di elaborazione del conflitto, tanto sul piano della ricostruzione della verità storica quanto sotto il profilo di una capacità collettiva delle comunità, ognuna delle quali tende a coltivare una memoria separata.

Lo stesso operato del TPI per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia tende a riprodurre il modello Norimberga (quello giuridico è del resto il suo mandato) piuttosto che indagare sul male assoluto, sulla sua banalità, sulle ipocrisie che l'hanno accompagnato. Ma per fare questo non servono i tribunali, serve quel paziente lavoro di ascolto e di elaborazione senza il quale non vi sarà, in Istria come altrove, riconciliazione alcuna.

Michele Nardelli