Pierangelo - 20-02-2005 |
Da l'Unità del 18.2.2005 A chi Interessa l’Industria? di Rinaldo Gianola C’è ancora qualcuno che ha interesse per l’industria italiana? La domanda sorge spontanea osservando i fatti di una giornata come quella di ieri che ha visto la protesta di migliaia di lavoratori di grandi imprese industriali. Operai e impiegati, con le loro famiglie, cercano di salvare il lavoro, la dignità di un reddito, la speranza per il futuro. Scioperi, blocchi stradali e ferroviari, cortei, come ormai stiamo vivendo da molti mesi. Mirafiori, Cassino, Termini sono le tappe della drammatica crisi della Fiat. Il Petrolchimico di Marghera, o quello che rimane del gigante del passato, si ferma per chiedere garanzie sul lavoro e le produzioni future, che si sperano pulite e redditizie. Terni protesta ancora e lunedì farà un altro sciopero per difendere le Acciaierie, mentre i proprietari tedeschi minacciano sanzioni contro gli operai in lotta. Dal vecchio triangolo industriale al Nord Est, dai migliori distretti produttivi fino a giù, al Sud, trionfa la paura di perdere il posto, si insinua l’angoscia per la chiusura di grandi e gloriose fabbriche, mentre i gravi problemi della nostra industria vengono ingigantiti dalla latitanza del governo. In questo quadro, è meglio dirlo subito, solo il senso di responsabilità dei sindacati confederali ha consentito finora di evitare tensioni più gravi sul fronte sociale. Ma, è chiaro a tutti, non si può lasciar incancrenire le vertenze e le crisi aziendali pensando che chi è licenziato, chi è spedito a casa senza reddito e senza tutele, possa accettare serenamente e pacificamente ogni disgrazia. Ormai da molto tempo imprese e sindacati hanno presentato a Berlusconi un quadro preciso dei problemi dell’industria nazionale, hanno dato la loro piena disponibilità a mettersi attorno a un tavolo per lavorare insieme a rilanciare l’economia e per salvare le situazioni più delicate. Il governo ha ripetutamente promesso un intervento, ma finora non si è visto nulla. Anzi, la storia del famoso provvedimento a sostegno della competitività è diventata una farsa. Un rinvio dopo l’altro, con ministri litigiosi, Marzano esautorato, Maroni geloso, Siniscalco ad arrampicarsi sugli specchi. All’inizio, la scorsa estate, il provvedimento doveva essere inserito nella Finanziaria. Poi, visto che già mancavano quattrini per la leggendaria riforma fiscale, Berlusconi e Siniscalco hanno promesso che l’intervento sarebbe stato realizzato parallelamente alla Finanziaria, con un apposito collegato. Il famoso «the collegate», tradotto ironicamente in inglese dal presidente di Confindustria, Luca di Montezemolo. La Finanziaria è stata approvata, è passato Natale, c’è stato lo tsunami, ma per la competitività, ch’era cosiderata una priorità, non c’è ancora nulla. Siamo arrivati a febbraio e ora Berlusconi promette che se ne parlerà giovedì prossimo. Ma l’intervento che per tutti doveva essere un decreto d’urgenza, nel frattempo il malato può morire o è gia morto, sta per essere trasformato in qualche cosa di diverso, un piano con dentro non si sa bene cosa, finalizzato, fanno sapere da Palazzo Chigi, al patto europeo di Lisbona. Ora con Berlusconi tutto è possibile, ma perchè occuparsi adesso di Lisbona, certo elemento importantissimo per la costruzione dell’Europa sociale e del lavoro, quando bisogna invece muovere la Croce Rossa per salvare il salvabile nel tessuto industriale? Forse è il solito trucco del governo per rinviare un’altra volta? L’unica certezza è che la nostra economia mostra ogni giorno preoccupanti segni di cedimento: si perde un pezzo di qua, un altro tassello finisce in crisi, qualcuno chiude, qualche fabbrica la comprano i russi. Nell’ultima settimana sono stati diffusi i dati del Prodotto interno lordo, negativo nell’ultimo trimestre del 2004, che indicano un Paese più vicino alla recessione che alla ripresa. Ancora: per la prima volta dopo dodici anni la bilancia commerciale è in “rosso”, un primato davvero negativo per la nostra struttura economica. Con Berlusconi l’Italia consegue così “grandi” risultati: perdiamo quote sul mercato mondiale e, contestualmente, siamo costretti a importare di più perchè il nostro tessuto produttivo, indebolito e poco innovativo, non soddisfa più la domanda interna. E il premier che cosa fa? Si sta occupando delle oscillazioni giornaliere di Marco Pannella e dei suoi listini per le elezioni regionali. Alè, andiamo avanti così. |