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Un articolo recente
Giuliana  Sgrena - 04-02-2005
Florence e gli altri

«Non andate in Iraq», ha detto Chirac ai giornalisti francesi. Gli ha fatto eco Fini da Roma. Le varie ambasciate, sotto pressione Usa, avevano già intimato ai giornalisti presenti a Baghdad prima dell'inizio dei bombardamenti, il 20 marzo 2003, di abbandonare il campo. L'intimazione non ha però avuto successo e la guerra è stata rappresentata, bene o male, sia da chi doveva subire il controllo del ministero dell'informazione iracheno che da chi, «embedded», era censurato dal Pentagono. L'ulteriore deterioramento della situazione irachena ha reso ancora più difficile fare informazione. I giornalisti sono ostaggio di tutti gli effetti perversi provocati dall'occupazione militare e dalla privatizzazione della guerra. L'ostilità degli iracheni verso l'occupazione si è ampliata fino a coinvolgere tutti gli stranieri: contractor, giornalisti o lavoratori umanitari. Non basta più essere francesi - per la posizione della Francia verso la guerra e l'occupazione - per avere un trattamento diverso. Del resto, quando si spaccia un intervento militare per «missione di pace» (come ha fatto il governo italiano), non si può pretendere che dall'altra parte si facciano distinzioni sottili. E purtroppo in questa spirale perversa Enzo Baldoni ha pagato di persona.

Ora anche l'esercito italiano ha «aperto» a corsi per i nostri aspiranti «embedded». Peggio: è arrivata alla camera, ed è già passata al senato, la revisione del codice penale militare che prevede l'applicazione della
legge marziale nello «stato di pace» anche ai civili, giornalisti compresi, per «illecita raccolta, pubblicazione e diffusione di notizie militari». Naturalmente il riferimento immediato è alla «missione di pace» a Nassiriya.

L'informazione si è dunque militarizzata: a volte, come è successo a Falluja, è impossibile seguire quel che accade senza essere al seguito di un esercito. Ma la prospettiva resta esclusivamente militare, anche se qualche volta sfuggono immagini scioccanti come quella del marine che spara sul ferito disarmato dentro la moschea di Falluja.

Ribellarsi a questi schemi è rischioso, ma è un rischio che bisogna correre per fare informazione, per fare conoscere una realtà che altrimenti finirebbe solo nei bollettini di guerra o nei pamphlet di propaganda. Sempre di guerra.


Florence Aubenas ha sempre corso il rischio di informare: in Ruanda, Kosovo, Algeria, Afghanistan e Iraq. Anche per questo ci sentiamo al suo fianco.

ll Manifesto
14 gennaio 2005



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 ilaria ricciotti    - 13-02-2005
E' con rammarico verificare che nessuno abbia speso due parole per dimostrare solidarietà a Giuliana Sgrena, giornalista sequestrata in Iraq.
Spero tanto che sia presto liberata insieme a quanti sono tenuti come ostaggi in questi luoghi dove regnano ancora il caos e la violenza , conseguenze di una guerra assurda a cui quasi tutte le popolazioni del mondo hanno gridato il loro NO.

 ilaria ricciotti    - 06-03-2005
Giuliana Sgrena è stata liberata, ma Nicola Calipari è stato ucciso proprio da coloro che si trovano in Iraq per importare la democrazia, l'ordine e una vita di pace. Perchè tutto questo? Noi vogliamo la verità sull'accaduto.