Punti di attenzione sulla bozza del Dlgs sul secondo ciclo
Maurizio Tiriticco - 31-01-2005
Premesse

A – Sulla evoluzione dei rapporti formazione/lavoro e scuola/società


Il sistema formativo IERI era funzionale ad una organizzazione della società e del lavoro per certi versi molto rigida.

Istruzione elementare corta obbligatoriaPerché “tutti” sapessero leggere scrivere e far di conto
Istruzione classicaPer i “liberi professionisti”, i quadri intellettuali
Istruzione tecnicaPer i quadri tecnici intermedi
Addestramento, poi formazione professionalePer i quadri operativi con alcune specializzazioni
Nessuna formazione/preparazionePer la manovalanza senza alcuna specializzazione


Il sistema formativo OGGI in una società ad alto sviluppo, con una organizzazione del lavoro estremamente variegata e flessibile, in cui la distinzione tra lavoro intellettuale e manuale si fa sempre meno marcata, deve essere più ampia (raggiungere veramente tutti, non uno di meno) e flessibile (permettere a tutti la possibilità di adattamenti/cambiamenti continui quali indotti dai processi lavorativi e dalla organizzazione del lavoro.

Istruzione di base:
un primo ciclo medio/lungo
Perché tutti abbiamo le conoscenze/competenze di base per ulteriori sviluppi specialistici ma aperti al cambiamento continuo sul lavoro e alle interazioni con altre conoscenze/competenze
Istruzione secondaria forte, integrata, articolata e flessibilePercorsi integrati da realizzare in campus territoriali ampi in cui interagiscano istituti scolastici autonomi pubblici statali e istituzioni formative pubbliche regionali, anche con soluzioni di alternanza
Istruzione terziaria: università e formazione tecnica superiore……………
Istruzione continua……………


B. – Sulle innovazioni costituzionali e sulle implicazioni tecnico/istituzionali

Il novellato Titolo V della Costituzione

affida allo Stato
* la legislazione esclusiva in materia di
-norme generali sull’istruzione
-determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni relativi a tutti i percorsi di istruzione e formazione, degli Standard Minimi Formativi, del Profilo Educativo, Culturale e Professionale di Uscita degli studenti, dei Profili Professionali dei docenti
affida alle Regioni
* la legislazione concorrente su tutta l’istruzione (primo e secondo ciclo)
Di fatto le Regioni hanno competenza nella organizzazione scolastica e nella gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Si veda anche la sentenza 13/04 della Corte Costituzionale in ordine al ricorso della Regione Emilia Romagna sulla legittimità dell’articolo 22 della legge 448/01, finanziaria 02, sentenza che tra l’altro così recita: “Nel complesso intrecciarsi in una stessa materia di norme generali, principî fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche, si può assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione delle rete scolastica. E’ infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall’art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998” Ne deriva che le Regioni, nel proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità del servizio di istruzione sono tenute ad attribuire a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche.
In tale direzione si muove anche la modifica (ancora formalmente non perfetta) apportata recentemente dal Parlamento all’articolo Cos. 117.
Va anche ricordata la sentenza 34/05 della Corte Costituzionale con cui sono respinte tutte le eccezioni avanzate dal Governo contro la legge della Regione Emilia-Romagna 12/03. Nella sentenza si legge in conclusione: “Sicché, proprio alla luce del fatto che già la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui all’art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, è da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 «abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita» (così ancora la sentenza n. 13 del 2004)”.
Va anche considerato che la Regione Toscana ha approvato il 3 gennaio 2005 la legge con cui determina le condizioni per la gestione del personale scolastico.
* la legislazione esclusiva sulla istruzione e formazione professionale

LE CRITICITA'

La legge ’53 recepisce il Titolo V, ma ne fa una lettura particolare; infatti
:
* istituisce un primo ciclo ottonale di competenza pubblica statale
* e istituisce un secondo ciclo così ripartito:
- il sistema dei licei quinquennale di competenza pubblica statale;
- il sistema della istruzione e formazione professionale quadriennale
di competenza pubblica regionale.
In una ripartizione così concepita ha prevalso l’ottica del vecchio MPI (l’ispirazione è stata la Costituzione del ’47) più che quella del nuovo MIUR (la disattenzione verso la Costituzione del 2001). Il che ha condotto ad una deriva “stravagante”, tutta amministrativista, se non statalista, del precetto costituzionale originale. Di fatto è stata replicata l’ottica della Costituzione del ’47, in cui “l’istruzione artigiana e professionale” era affidata alle Regioni, stante il fatto che l’istruzione “generalista” era affidata alla competenza dello Stato.
Pertanto, quando nella legge 53 si individuano ben otto licei – e con il dlgs si sono moltiplicati gli indirizzi – è evidente che allo Stato viene attribuita una fetta enorme dell’intero secondo ciclo, per cui non si comprende che cosa potrà essere assegnato alle Regioni. La pari dignità, di cui alla stessa legge 53, diventa così una sorta di ectoplasma!
Un’altra “lettura” particolare della nuova Costituzione operata dalla legge 53 è stata quella di istituire l’età della scelta dello studente tra i due sistemi alla conclusione del primo ciclo.
Il precetto costituzionale che doveva innovare profondamente tutto il nostro sistema di istruzione è stato tradotto con una attività legislativa ordinaria, per di più sottratta al Parlamento, condotta da un’amministrazione che ha operato guardando al passato, a difesa dei suoi tradizionali “gioielli” più che al futuro, innovando sulla via indicata dal Titolo V.
L’estrema licealizzazione operata dalla bozza del dlgs provoca due fenomeni strettamente interagenti:
- un afflusso sempre più massiccio degli studenti ai licei, stante la fragilità dell’offerta professionale sia sotto il profilo contenutistico (non sono chiari gli SMF, gli OSA, i percorsi e gli sbocchi) che sotto quello istituzionale organizzativo (che fanno/faranno le Regioni in ordine alla “loro” legislazione concorrente?);
- una offerta formativa estremamente generica e frammentaria avanzata dai licei che di fatto non preparano né per gli ulteriori studi universitari (data la frammentazione dei percorsi e la genericità dei titoli di studio) né per l’accesso al lavoro (titoli non qualificanti).
Dai quadri orario appare: una riduzione delle ore obbligatorie; un aumento del numero delle discipline spesso generiche, accompagnato da frammentazioni di indirizzo ed orarie che di fatto rendono gli insegnamenti scarsamente formativi sia sotto il profilo liceale tradizionale che sotto quello professionalizzante.
A mio giudizio sarebbe opportuno:
- in prima istanza, restringere l’area dei licei. Ma occorrerebbe emendare l’articolo 2, comma 1, punto g della legge 53!!!
- oppure, in seconda istanza, caratterizzare meglio
- sotto il profilo liceale tout court il classico e lo scientifico, i cui percorsi
anche pre-professionalizzanti sarebbero sostenuti da attività di alternanza;
- sotto il profilo pre-professionalizzante e professionalizzante (in ordine alle ai contenuti, alle competenze, ai titoli finali che permettano anche l’accesso al mondo del lavoro) i licei economico, tecnologico, linguistico,
- sottolineare meglio gli sbocchi di ulteriori approfondimenti e/o di accesso al
lavoro dei licei artistico, musicale e coreutico e delle scienze sociali.
Da tale seconda istanza rimarrebbe pur sempre ben poco alla formazione regionale. E alle Regioni non resterebbe che dar vita a percorsi che sarebbero doppioni dei licei!
Un’altra strada percorribile potrebbe essere quella di un incremento dei percorsi integrati triennali post scuola media tra istituzioni scolastiche autonome (pubbliche statali) e istituzioni formative (pubbliche regionali), di cui all’Accordo quadro Stato-Regioni del giugno 2003. Va sottolineata l’iniziativa, di cui al recente accordo Miur, MPLS, Regione Liguria, di avviare un quarto anno consentendo ai giovani il conseguimento del diploma professionale e l’accesso ai corsi IFTS e all’anno integrativo propedeutico per l’Università.
Si tratta di iniziative che permettono di attivare interazioni tra istituti secondari comprensivi orizzontali in un’ottica di campus, la quale comporterebbe una aggregazione assolutamente nuova e originale tra scuole e istituzioni formative, che sarebbero anche in grado di interagire meglio in quella attività di programmazione educativa sul territorio che il dlgs 112/98 ha assegnato agli Enti Locali.
Sembra che i nodi siano tutti venuti al pettine!
Il fatto è che gli estensori della legge 53 “hanno avuto paura” dello sconcerto emergente circa il “pericolo” che gli IT e gli IP “finissero” alle Regioni ed hanno implementato a dismisura l’area dei licei. Tant’è vero che nel dlgs non si legge che gli IT e gli IP “passano” alle Regioni, ed il silenzio è più eloquente della parola scritta, per cui studenti e insegnanti, come è noto, stanno “scappando” tutti dagli IT e dagli IP!
Va allora detto che, se alle Regioni spetterà tutta l’organizzazione e la gestione delle istituzioni scolastiche e formative (assetto ordinamentale), si abbia allora il coraggio di emendare la legge 53 e affidare con decreti mirati la grande maggioranza degli IT e degli IP alle Regioni anche in ordine alle competenze sui curricoli (aspetti operativi).
Il nodo è tutto qui! Il Titolo V affida alle Regioni la grossa partita dell’istruzione e formazione professionale. Ma la legge 53 di fatto “non ha voluto” applicare il Titolo V.
Si ha veramente paura delle Regioni? Forse siamo tutti un po’ responsabili di questa “non scelta”! Con una mano abbiamo lanciato il sasso (Titolo V), con l’altra l’abbiamo ripreso (la paura delle Regioni!)
E i nostri giovani saranno sempre meno preparati, il mondo del lavoro e l’Europa aspetteranno ancora!

UNA CONSIDERAZIONE SUL BIENNIO

L’ipotesi di un biennio obbligatorio nel sistema dei licei in modo da fare uscire gli studenti non a 14 (o 13 anni, considerando sia gli anticipi che le iscrizioni di gennaio) ma a 16 (o a 15) sarebbe percorribile, in quanto nel Titolo V non c’è scritto che la scelta deve essere precoce (la scelta è stata della Moratti!), ma…
…di questa ipotesi non capisco fino in fondo l’utilità né l’opportunità! Mi sembra una linea di difesa, non di attacco! Sarebbe una sorta di rinvio della questione di fondo! Avrebbe senso solo se il percorso regionale è e resterà quello che si delinea con la bozza attuale di dlgs, con la quale, ovviamente, i percorsi regionali sarebbero soltanto da evitare!
Il problema, a mio avviso, è questo: se alle Regioni viene assegnato un percorso “serio” e se le Regioni sono in grado di gestirlo, la pari dignità sarebbe garantita comunque e gli studenti potrebbero conseguire e consolidare le loro conoscenze e competenze di base in ambedue i percorsi.
Ed ancora! Se i licei sono quelli delineati dal dlgs, quali vantaggi trarrebbero gli studenti da un biennio generico e impasticciato, per di più culturalmente e educativamente assai debole?

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Anna Pizzuti    - 01-02-2005
Da Italia Oggi – nella rassegna stampa della cgilscuola

RIFORMA DELLA SECONDARIA/ L'avvio del nuovo sistema sarà graduale, a partire dal 2006.

Formazione professionale a due vie: l'apprendistato esaurisce il diritto-dovere prima dei corsi Ifp



La seconda parte del decreto di riforma delle superiori interessa in particolare la formazione e l'istruzione professionale. Poco chiari molti punti, a partire dalla validità dei contratti di apprendistato rispetto ai corsi di istruzione e formazione professionale.

ART.15: ISTRUZIONE E FORMAZIONE

Commi:

1. Il decreto non interviene sulla intera formazione professionale, continua o ricorrente, ma solo su quella connessa al diritto dovere, per i giovani fino ai 18 anni. La formazione professionale di primo livello che non soddisfa i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) rilascia titoli e qualifiche che hanno validità solo regionale.

2. I Lep dovrebbero indicare i livelli essenziali (non quelli minimi) del servizio, necessari per assicurare su tutto il territorio la soddisfazione di diritti sociali e civili. Per individuare i Lep occorre quindi individuare i diritti da assicurare:

¥ il diritto allo studio, come accesso fino a 18 anni o almeno fino al conseguimento di un titolo, ma anche come successo;

¥ il diritto-dovere dei genitori di istruire ed educare i figli;

¥ il diritto di integrazione delle persone con handicap;

¥ il diritto alla certificazione dei percorsi e del riconoscimento dei crediti;

¥ il diritto alla formazione lungo tutto l'arco della vita;

¥il diritto di istituire scuole.

I successivi articoli riferiscono i livelli essenziali non alle prestazioni finalizzate ad assicurare diritti ma agli elementi del sistema della Ifp, come si dovesse adeguare ad un modello unico di gestione.

4. Viene modificato lo scopo del regolamento: la legge prevede che definisca come accertare la rispondenza dei titoli e qualifiche ai profili educativi culturali e professionali, perché possano avere valore su tutto il territorio nazionale ed europeo; il decreto prevede invece che definisca come accertare il rispetto dei Lep, che costituirebbe un indebito controllo della legislazione regionale o della organizzazione del servizio.

5. Viene introdotto il vincolo, non previsto dalla legge (art.2 lett. h), che dall'Ifp si accede all'Ifts con un diploma quadriennale. Inoltre non è chiaro il valore dei nuovi titoli, perché non essendo previsti dall'ordinamento giuridico attuale, non possono essere ”fatti salvi”.

6. Il 5° anno integrativo è organizzato nell'Ifp e non nei licei, e sembra essere un corso uguale qualunque sia il diploma professionale conseguito.

7. Chi ha un contratto di apprendistato tra 15 e 18 anni può conseguire qualifiche di durata diversa, anche inferiore ai tre anni, finendo il periodo di diritto dovere prima di chi frequenta un corso di Ifp, che è almeno triennale. Incerta la qualifica così conseguita, che non sarebbe un titolo, ma un credito formativo per proseguire nei percorsi del 2° ciclo (art. 51del decreto legislativo n. 276/03).

ART.16: OFFERTA FORMATIVA

Assicurare un'offerta adeguata alla domanda è un Lep, perché garantisce il diritto di accesso all'istruzione.

ART.17: PERCORSI


Il diritto alla formazione può essere assicurato fissando o gli standard formativi minimi nazionali o le caratteristiche formali dei percorsi (orari minimi, anno formativo uguale a quello scolastico. Il decreto percorre entrambi le strade: la seconda con questo articolo; la prima con i due successivi.

La legge (art.2 lett. h) prevede solo percorsi che danno titoli e qualifiche di diverso livello ma non la durata dei corsi; il decreto invece impedisce che vi siano anche percorsi biennali o quinquennali.

ART.18: OBIETTIVI


Lettere:

a) Indica le finalità dei percorsi Ifp; molto povere rispetto alla cultura liceale dell'art.2 del decreto, e non assicurano la pari dignità dei sistemi di cui si parla all'art.1.

b) L'intesa stato - regioni sulle figure professionali attorno cui organizzare i percorsi non è prevista dalla legge (art.2 lett h).

c) Il rispetto degli standard formativi minimi è un Lep.

ART.19: STANDARD MINIMI


La legge (art.7) prevede che gli standard minimi nazionali di base e professionali siano stabiliti con regolamento d'intesa con le regioni. Essi sono vincolanti per l'Ifp. Il decreto fissa però altri standard, non previsti dalla legge, e relativi non all'apprendimento degli studenti ma al personale, di cui si parla anche nell'art. 20. Il rispetto di questi standard non sono Lep.

ART.:20 DOCENTI


Un Lep potrebbe essere che i docenti debbano essere abilitati o accreditati dalla regione secondo procedure uniformi; non lo è quanto previsto per gli esperti.

ART.21: CERTIFICAZIONE


La certificazione più che un Lep è norma generale, infatti è prevista nell'art.1 del decreto. La composizione delle commissioni di esame non è un Lep.

ART.22: STRUTTURE
Commi:

1. È Lep il fatto che le strutture (cioè gli enti) abbiano requisiti uniformi.

2. Risulta contraddittorio fissare i requisiti essenziali nel decreto, che ha valore di legge, e poi modificarli ogni tre anni con regolamento, previa intesa in conferenza unificata.

ART.23: PASSAGGI

Commi:

1. La possibilità di cambiare indirizzo non è un Lep, ma una norma generale di sistema, infatti è prevista dall'art. 1;

2. Non ha senso prevedere intese tra stato e una regione perché il riconoscimento dei crediti richiede regole nazionali;

ART.24: VALUTAZIONE

Si identifica il Servizio nazionale di valutazione con l'Invalsi, cui si attribuisce compiti impropri di verifica del rispetto dei Lep e di valutazione dei percorsi formativi. L'istituto effettua invece verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze ed abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta delle istituzioni.

ART.25: ATTUAZIONE

Commi:

1. La riforma parte dal 2006-07. La gradualità dell'avvio dei licei dovrebbe riferirsi al fatto che si parte dal 1° anno di tutti i nuovi licei. Non è chiaro se sia graduale anche l'avvio delle tipologie di licei;

2. Dal 2006-07 non si possono avviare nuove prime dei corsi del precedente ordinamento che vanno ad esaurimento. Per 5 anni convivono vecchio e nuovo ordinamento;

3. La competenza di programmare la distribuzione delle scuole, e quindi la possibilità di realizzare licei e corsi di Ifp nella stessa sede, spetta alla regione e non alle singole istituzioni.

ART.26: TRASFERIMENTO ALLE REGIONI

È un articolo che risulta oscuro perché reticente sul destino degli istituti professionali.

Commi:

1. Pare privo di senso trasferire alle regioni competenze che hanno già per effetto dell'art.117 Cost. Lo stato deve trasferire invece le risorse necessarie per la gestione dell'Ifp;

2. È del tutto oscuro. La chiave di lettura possibile è che il comma precedente parli di trasferimento degli istituti professionali. per cui la regione deve:

¥assicurare (cioè dichiarare di provvedere o realizzare?) i nuovi Lep, descritti in precedenza;

¥ definire livelli di servizio da mantenere (si riferisce ai corsi di istruzione professionale in via di esaurimento?) in base ad intese stato-regioni o specifiche tra Miur e regione;

3. La procedura descritta ha senso solo se si tratta di trasferire beni o personale, non competenze; infatti è stata adottata nel passato in relazione all' art.145 del decreto n. 112/98 per trasferire 7 istituti professionali ad alcune regioni.

ART.27: DIRITTO-DOVERE

Commi:

1. Il diritto dovere è oggi di 9 anni, passerà a 10 quando entrerà in vigore il decreto sul diritto dovere, cioè dal 1 settembre 2005. Con questo decreto passerà a 11 anni dal 1 settembre 2005. Non è previsto che si arrivi ai 12 anni previsti dalla legge;

3. I corsi sperimentali, invece di essere superati, sono ampliati e potenziati ma la organizzazione rimane vincolata da intese stato regioni, nonostante la competenza regionale in materia e il trasferimento dei fondi previsto dal decreto sul diritto dovere (art.8);

4. I corsi sperimentali sono valutati dal Servizio nazionale di valutazione che viene sempre identificato con l'Invalsi. I corsi sperimentali cesseranno alla completa attuazione del diritto dovere fino a 12 anni, di cui però non è fissata la data. Come dire che resteranno in vita a lungo.

ARTICOLI MANCANTI


Mancano due articoli:

¥ quello che indichi le norme vigenti che sono abrogate, in particolare del testo unico, dlgs 297/94, e della l. 425/97 sugli esami di stato;

¥quello sui finanziamenti dell'ampliamento del diritto dovere e relativi ai Lep, anzitutto.

I NUOVI OSA


ItaliaOggi è in grado di dare conto di due nuovi allegati al decreto per il 2° ciclo.

1. I piani di studio del liceo tecnologico. Rispetto ai piani orari presenti sul sito del ministero scompare filosofia a vantaggio delle materie di indirizzo che dal 3° al 5° anno salgono da 8 a 10 ore settimanali. Compare chimica al 3° anno degli indirizzi agrario e territorio.

2. A differenza di quanto detto nel documento sul sito del Miur, il profilo educativo, culturale e professionale dello studente del 2° ciclo risulta modificato. Non è unico, ma sono due: per chi completa il diritto dovere di istruzione e formazione, un giovane che consegue una qualifica triennale nell'istruzione e formazione professionale, per chi completa i licei. È confermato che oltre il liceo musicale c'è il liceo della danza. In tutto sono 21.

 Prof. Vincenzo Augugliaro    - 18-02-2005
Buongiorno dr. Tiriticco,

L’equazione: “Istruzione e formazione professionale alle Regioni (Titolo V) = Istituti tecnici e professionali alle Regioni” è una Sua rispettabile interpretazione, molto ampia e di grande fiducia nel possibile ruolo di “tutte” le Regioni.
Mi permetta di chiederLe Dott. Tiriticco: conosce bene le capacità operative di ciascuna Regione italiana o solo di quelle poche che sono riuscite, per storica attitudine e capacità organizzativa, a dare risposte concrete e significative anche nel campo dell’innovazione scolastica?
Caricare, improvvisamente, le nostre Regioni di incombenze e responsabilità riguardanti tutta l’Istruzione tecnica è, a dir poco, un’operazione azzardata.
Le ricordo, anche, Dott. Tiriticco che, da tempo, gran parte dell’Istruzione tecnica, attraverso i progetti di sperimentazione assistita si è alquanto allontanata dalla logica strettamente professionalizzante, attuando percorsi di maggiore formazione culturale di base e demandando a percorsi successivi l’acquisizione di specifiche competenze professionali (corsi post-diploma a contributo comunitario, I.F.T.S. ed altri).
Per quello che più direttamente riguarda i percorsi di istruzione nel settore “nautico” e dei “trasporti”, in generale, Le allego le mie considerazioni e proposte trasmesse al Ministero della P.I. e ad altri Organismi.

Cordiali saluti


Istituto Tecnico Nautico Statale «Gioeni – Trabia» - Palermo
C.so Vittorio Emanuele, 27- Tel. 091.585089 - 586329 – Fax 091.334452
e-mail: vaugugl@tin.it


L’indirizzo “trasporti” nel nuovo liceo tecnologico. In che modo e per conseguire quali obiettivi?

In un recente appello trasmesso anche al Ministro della P.I. e pubblicato sulla rivista “Vita e mare” (settembre 2004), mi chiedevo perché non si sostenesse con la dovuta determinazione l’idea di salvaguardare nel sistema d’istruzione “nazionale” l’indirizzo trasporti; perché non si discutesse adeguatamente sull’esigenza, presente in un Paese con difficoltà orografiche come il nostro, di sviluppare una cultura del trasporto marittimo e intermodale competitivo con gli altri paesi europei e perché in un sistema misto di trasporti in cui sono presenti i porti, l’armamento, la cantieristica, le ferrovie, il trasporto su gomma, gli aeroporti e gli interporti, non si pensasse di formare tecnici e operatori qualificati, protagonisti della razionalizzazione e gestione del settore.
Lo schema di Decreto Legislativo 17 gennaio 2005, riguardante la riforma del 2° ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ha previsto, e di ciò occorre prenderne atto con viva soddisfazione, il suddetto indirizzo “trasporti” superando, si spera in modo definitivo, la mancata attenzione posta dal documento “Bertagna” (2001-2002) che, individuando dieci aree nella nuova formazione secondaria, ignorava del tutto tale indirizzo.
L’istituzione di un indirizzo “trasporti” all’interno del liceo tecnologico non è valsa, però, a fugare tutti i dubbi e le incertezze che, in un momento di grande cambiamento nel mondo della scuola, accompagnano la prospettiva di formazione di quelle figure professionali che verranno create per rispondere alle necessità poste dalla conduzione dei sistemi del trasporto marittimo e di altre modalità, dalla gestione economico-aziendale del trasporto plurimodale, dalla organizzazione e gestione tecnica di sistemi interportuali con funzioni di servizi logistici intermodali integrati.
Adesso occorrerà vigilare attentamente, innanzitutto, perché non riprenda corpo la tentazione di considerare tipologie di lavoro come quelle che si ritrovano nel settore dei trasporti, con forte connotazione nazionale e internazionale, delegabili a una formazione regionale sicuramente di non ampio respiro e che poco si concilia con l’esigenza di dare attuazione alle normative sovraregionali in materia di trasporti. Si pensi al Codice della navigazione o a norme Comunitarie e Internazionali come quelle dettate dall’I.M.O. (Organizzazione Internazionale Marittima) attraverso le regole della S.T.C.W. 78/95 che richiedono formazioni minime standardizzate, certificate dagli Stati aderenti, spesso sottoposte a verifiche ispettive internazionali.
Altrettanta attenzione va però posta al tentativo, mai sopito, di delegare a una formazione universitaria (con lauree di primo o addirittura secondo livello) il compito di fornire le competenze necessarie per preparare i quadri intermedi, tecnico-gestionali, nel settore del trasporto marittimo e intermodale.
Per quello marittimo, in particolare, ci si chiede come si può pensare di aumentare la vocazione per il mare costringendo i giovani a un percorso post-secondario di tipo universitario di almeno tre anni. Come potrebbe, oltretutto, una struttura universitaria priva di molte attrezzature specifiche nel campo della simulazione competere in una attività professionalizzante post-diploma con molti degli Istituti Nautici che per decenni si sono attrezzati con laboratori specialistici in cui sono stati investiti dallo Stato, dalle Regioni e dalla Comunità Europea ingenti risorse; (simulatori radar, di manovra, di automazione, di movimentazione del carico, di stabilità e assetto, di diagnostica degli apparati, di comunicazioni, di impianti tecnici, di impianti di propulsione, etc.). Non è credibile che un giovane che ha seguito ben tre anni di studi universitari possa optare per la carriera del mare, che comporta non poche rinunce! Più verosimilmente sceglierà di dedicarsi a tutto fuorché alla vita di mare.
Si tenga anche presente che la laurea, per quanto possa essere orientata a fornire anche delle capacità operative, resta essenzialmente uno strumento non professionalizzante ma, semmai, utile per ampliare le basi teoriche di una formazione generale.
Dovrà, invece, essere un percorso post-secondario ad innestare il proprio itinerario formativo sulla cultura generale e sulla professionalità di base fornita dal nuovo liceo tecnologico, provvedendo a integrarla e approfondirla nella direzione di una formazione professionale specifica che è necessaria per la moderna preparazione del moderno ufficiale marittimo o dei tecnici intermedi del trasporto modale o intermodale.
Sono i corsi di Istruzione e Formazione tecnica Superiore (IFTS), istituzionalizzati con la legge 17/5/99 n.144, i percorsi idonei per conseguire una specializzazione tecnica superiore approfondita e mirata ai fabbisogni formativi espressi dal mondo del lavoro e dal territorio nel settore dei “trasporti” come precedentemente delineato nei suoi aspetti strutturali e operativi.
La nuova filiera formativa, rappresentata dall’IFTS, si aggiunge ai canali universitari, scolastici e di formazione professionale già esistenti rispondendo egregiamente alle esigenze di potenziamento del sistema formativo post-secondario.
Le caratteristiche principali dei corsi IFTS sono:
• Forte sinergia fra i diversi percorsi di istruzione e formazione (Scuola, Università, Formazione Professionale);
• Forte integrazione fra questi e il mondo del lavoro e della produzione;
• Allineamento agli standards europei;
• Validità dei crediti formativi;
• Presenza fra il personale docente di esperti provenienti da settori produttivi
• Stage aziendali e tirocini formativi per non meno del 30% della durata del corso.
I corsi IFTS, considerate la flessibilità e la veloce trasformazione delle competenze e delle attività, svilupperebbero un sistema di offerta aggiuntiva in grado di rispondere alle esigenze di un settore produttivo, come quello dei “trasporti”, caratterizzato da profonde trasformazioni tecnologiche, assicurando una formazione tecnico-professionale approfondita e mirata.
L’indirizzo “trasporti” del liceo tecnologico, nella sua impostazione formativa culturale di ordine generale e specifica di base, dovrà predisporre il giovane ai diversi percorsi professionalizzanti post-secondari sulle varie tipologie del settore medesimo.
Si tratta della necessità di individuare, all’interno dell’indirizzo trasporti, offerte opzionali per garantire articolazioni (“curvature”) interne allo stesso indirizzo. Ciò sarà possibile utilizzando, oltre l’area del curricolo, anche le quote opzionali previste dallo schema di riforma del secondo ciclo, senza perdere di vista che la “licealizzazione” della secondaria non potrà più consentire che un indirizzo secondario possa di per sé caratterizzarsi quale percorso a forte terminalità che preveda un diretto inserimento nel mondo del lavoro.
Si ritiene che un percorso professionalizzante di base nell’indirizzo trasporti, con articolazioni diverse all’interno dello stesso, che utilizzi offerte opzionali obbligatorie e facoltative, possa prevedere discipline e moduli didattici volti a:
• Analizzare le infrastrutture e i mezzi utilizzati nei trasporti modali e intermodali
• Comprendere i metodi di lavoro funzionali alla conduzione degli impianti, dei sistemi di propulsione e dei sistemi automatici di bordo nei diversi sistemi di trasporto
• Acquisire adeguate conoscenze sui sistemi di pianificazione e condotta del percorso o della navigazione
• Orientarsi sui principi di manovra e governo dei mezzi di trasporto
• Analizzare la sostenibilità del trasporto di merci con l'ambiente nel rispetto delle normative di riferimento
• Comprendere i principi fondamentali dell' elettronica e il funzionamento dei controlli automatici e centralizzati
• Orientarsi sui principi della economia dei trasporti, l'organizzazione aziendale e le tecniche innovative di gestione
• Comprendere metodi e strumenti della logistica integrata
• Interagire nel campo dei trasporti usando la terminologia tecnica inglese
• Orientarsi sull'uso dei software applicativi e sui sistemi di trasporto intelligente
• Acquisire adeguate nozioni su come svolgere funzioni di interfaccia con operatori esterni interessati al trasporto e alla movimentazione delle merci nei diversi sistemi di trasporto
Bisogna riflettere,oggi, sui cambiamenti posti dalla riforma dei percorsi di istruzione, previsti dallo schema di d. lgs. del 17/1/2005 e guardare ai cambiamenti significativi in atto nel settore dei trasporti.
Il traffico nel Mediterraneo, secondo stime della Contship, raddoppierà nei prossimi anni a causa del boom asiatico e i grandi scali europei hanno già avviato imponenti piani di investimento per intercettarlo (Affari & Finanza, 17/1/2005).
Tali fatti impongono di riprendere e sviluppare, presto, un ragionamento congiunto analogo a quello iniziato il 19/3/2001 nella sede del Ministero della P.I., alla presenza del Direttore Generale Trainito, presenti rappresentanti dell’Enac, della Confitarma, di Trenitalia, della CGIL-Trasporti, del Collegio Nazionale Capitani L.C. e D.M. nonché degli Ispettori Russo e Cannizzaro e di diversi Presidi di Istituti nautici e aeronautici.
Un ragionamento congiunto sul futuro della formazione nella filiera trasporti che contribuisca a determinare scelte razionali per fare, realmente, di questo settore un volano fondamentale per l’economia del nostro Paese.



Palermo, febbraio 2005

Prof. Vincenzo Augugliaro
Preside I.T.N. “Gioeni-Trabia”
Palermo