I lager di Mussolini
Grazia Perrone - 27-01-2005


Le leggi razziali? Un "incidente di percorso" secondo Domenico Gramazio esponente di spicco del partito postfascista (attualmente al potere) secondo il quale persino il "mazziere" Almirante (ve la ricordate la foto accanto a giovani con il bastone scattata, nel 1966, sui gradini dell'Università a Roma? clikkateci sopra per vederla ingrandita) segretario di redazione del settimanale "La difesa della razza" salvò degli ebrei. Ebbene per rinfrescare la memoria non certo dei Gramazio e dei similari ma di quanti hanno sincero interesse a conoscere la verità storica propongo ai lettori di Frg la lettura di un'indagine molto approfondita e poco conosciuta su cosa ha significato, in realtà, per le popolazioni civili della Slovenia e della Dalmazia l'occupazione militare italiana nel periodo immediatamente precedente l'armistizio dell'otto settembre 1943. Un'occupazione brutale che ha indotto la commissione internazionale d'inchiesta per i presunti criminali di guerra italiani (1946-49) a deferire alla giustizia alcuni di questi generali unitamente a numerosi (e zelanti) graduati e ufficiali. Il governo italiano però, come già avvenuto per le inchieste sulle stragi nazifasciste "imboscate" nell'armadio della vergogna, ha fatto di tutto per evitare l'estradizione ed il processo. Che non c'è mai stato.


I Campi di concentramento per civili
gestiti dalla II Armata (Supersloda - Slovenia Dalmazia)


La scelta di costituire campi di concentramento per i civili viene concepita dapprima per neutralizzare gli elementi ritenuti pericolosi per l'ordine pubblico; vengono apprestati i primi campi in territorio friulano per detenere gli uomini arrestati durante il rastrellamento effettuato nella città principale della Slovenia italiana: Lubiana.
Successivamente la politica di deportazione cresce vorticosamente coinvolgendo quote sempre più vaste di popolazione soprattutto rurale.

Gli alti comandi dell'esercito, che hanno ottenuto la gestione dell'ordine pubblico, optano per la strategia della "terra bruciata".
In un vertice tenuto a Fiume il 23 maggio 1942, Roatta annuncia l'appoggio di Mussolini alla linea dura dei generali: "Anche il Duce ha detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e di applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario... Il Duce concorda nel concetto di internare molta gente - anche 20-30.000 persone."
Ai primi di giugno Roatta scrive al Duce di "giudicare necessari campi di concentramento per ventimila persone" e prospetta l'idea di "assegnare le case dei ribelli per costituire nuclei rurali tutti italiani di ex combattenti".

A partire dal luglio 1942 le divisioni italiane, con grandi operazioni di rastrellamento alla caccia delle formazioni partigiane, svuotano il territorio in cui queste sono più presenti, deportando la popolazione dei villaggi in campi di concentramento costituiti appositamente. Si tratta soprattutto di donne, bambini ed anziani, poichè gli "uomini validi" fuggono nei boschi alla vista dei reparti italiani, per evitare di essere presi come ostaggi e fucilati nelle quotidiane rappresaglie decretate dai tribunali militari di guerra.

Ma dai documenti degli stessi generali italiani emerge anche la determinazione per cui le rappresaglie contro i civili devono essere un'arma di pressione contro i partigiani del Fronte di Liberazione, che tengono in scacco una grossa parte dell'esercito italiano.
Scrive Roatta: "A mio avviso occorrerebbe perciò - laddove si sono dimostrati vani i tentativi dì pacificazione - colpire il male nelle radici e nelle propaggini, con provvedimenti aventi ripercussione sugli animi dei fuggiaschi e sulla vita materiale dei congiunti rimasti in posto."
E Robotti aggiunge: "E’ da presumere che questo provvedimento riguarderà quasi esclusivamente donne, bambini e vecchi, in quanto gli uomini validi o sono già con le bande, o ad esse si aggregheranno al momento della realizzazione di questa parte del programma, per quanto improvvisa e rapida possa essere."


I campi di concentramento della II Armata


Tra l'estate del 1942 e quella del 1943 furono attivi sette campi di concentramento per civili sotto il controllo della II Armata (che aveva la competenza su Slovenia e Dalmazia occupate).

A Chiesanuova vicino a Padova (in Veneto) dal giugno 1942 nella locale caserma venne attivato un campo di concentramento per civili.
Il campo di Fiume era situato all'interno dell'area della caserma Diaz.
A Gonars a ovest di Palmanova (in provincia di Udine in Friuli) fino al marzo 1942 era attivo il campo POW n. 89 (per ufficiali dell'ex-esercito jugoslavo), dalla seconda metà aprile venne trasformato in campo per internati civili.
A Monigo non lontano da Treviso (in Veneto) dalla seconda metà del giugno 1942 venne istituito una campo di detenzione per civili all'interno della locale caserma.
Sull'isola di Rab (Arbe in lingua italiana), nella baia di S.Eufemia a 6 Km. dalla cittadina di Arbe, nel luglio 1942 venne realizzato con piccole tende militari, un campo per detenere i civili arrestati durante le operazioni militari in Slovenia e Dalmazia, a causa della saturazione dei campi minori di Laurana, Buccari e Porto Re, situati vicino a Fiume. Solo nel gennaio 1943, in seguito a segnalazioni ufficiali del Vaticano di numerose morti, furono impiantate tende grandi (per 20 persone) e rese agibili le prime baracche in legno o muratura. L'isola, che si trova nel golfo del Guarnero, nel maggio 1941 venne annessa all'Italia insieme all'isola di Veglia e compresa nella provincia di Fiume, che comprendeva l'Istria (oggi in Croazia) ed era retta dal prefetto Temistocle Testa.
A Renicci (comune di Anghiari, in provincia di Arezzo, nella regione Toscana) era stato reso operante nell'ottobre del 1942 sia il campo POW n. 97 sia un campo di internamento per civili. Qui vennero concentrati numerosi prigionieri (selezionati il 6 ottobre 1942: 1.168 a Chiesanuova e 482 a Gonars) per essere impiegati alla costruzione di un tratto di ferrovia in una zona in provincia di Perugia; 7 lire al giorno era la paga (T.Ferenc, Rab, Arbe, Arbissima Ljubljana 2000, p.20).)
Negli altri campi attivi a Castel Sereni, Pietrafitta, Ellero e Tavernelle, vennero smistati parte dei detenuti giunti da Gonars e Chiesanuoa; infatti questi quattro campi costeggiavano il costruendo tratto ferroviario citato.
A Visco a est di Palmanova (in provincia di Udine in Friuli) viene attivato un campo di detenzione per civili nell'inverno del 1942.


I deportati

Stabilire oggi il numero dei deportati risulta difficile sia per la frammentarietà degli archivi consultabili, sia perchè le stesse autorità italiane scrivevano di non avere un quadro delle situazione, infatti "gli internamenti sono stati effettuati con criteri diversi, secondo del modo di vedere dei vari Comandanti di Presidio, sino ai reparti minori (plotoni). - Non si è mai quindi potuto conoscere, neanche con relativa approssimazione, il numero dei civili internati, i relativi nominativi, dove sono stati internati e per qual motivo il provvedimento è stato adottato." (così il 18 gennaio 1943 l'alto commissario per la Slovenia Grazioli riferiva al Ministero degli Interni).

A questo proposito lo storico sloveno Tone Ferenc ha consultato diverse fonti e cita tra le altre, il memoriale redatto dal tenente Luca Magugliani del comando del'XI Corpo d'Armata, che indica in 20.000 il numero dei civili sloveni internati.
Secondo le stime di Ferenc, ricavate dall'analisi di documenti militari italiani, il numero più alto si verifica alla fine del 1942, a conclusione delle grandi offensiva antipartigiane, ed è attendibile che siano passati più di 25.000 tra sloveni e croati nei sette campi in questione.
Lo storico italiano Davide Rodogno ha reperito negli archivi dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito italiano (USSME) i dati degli internati civili e coincidono con quelli pubblicati dallo storico sloveno.

Un documento del Ministero degli interni italiano, databile alla fine dell'agosto 1942, indica un complesso di 50 mila elementi circa, sgombrati dai territori della frontiera orientale in seguito alle operazioni di polizia in corso, di cui la metà donne e bambini.

La distinzione tra internati protettivi e repressivi.

I comandi militari interpretano la larga adesione, soprattutto di giovani, al Fronte di liberazione, come frutto di un'opera di costrizione; quindi introducono, accanto a quella dei deportati politicamente pericolosi (repressivi), una nuova categoria di internati: i cittadini da proteggere (protettivi).
Ma emerge anche da un rapporto dei Carabinieri come la distinzione spesso sia, nel concreto, inesistente. Infatti nell'atto di deportare la popolazione, questa differenziazione spesso non viene considerata dai comandanti dei reparti militari che operano gli arresti di massa.


I morti nei campi di concentramento


Nel volume Rab, Arbe, Arbissima, Tone Ferenc pubblica una lista di nomi di sloveni e croati deceduti nei campi di concentramento italiani della II armata.
Lo stesso afferma che un numero preciso non trova concordi istituzioni, associazioni e singoli ricercatori; comunque tutti sono d'accordo nell'affermare che migliaia di civili sono morti in questi luoghi di detenzione.
La lista acclusa al libro citato indica morti a Rab/Arbe, a Gonars, a Chiesanuova, a Monigo, a Renicci, a Visco.

La causa delle morti nei campi: la fame e il freddo.

Già nel maggio 1942 una lettera di un dirigente cattolico di Lubiana segnala alle autorità militari italiane, che "nel campo di concentramento di Gonars ... gli internati soffrono atrocemente la fame".
La gravissima scarsità di alimentazione e la grave inadeguatezza dell'abbigliamento degli internati nei campi (soprattutto Arbe) viene segnalata in un memoriale dei vescovi sloveni, per via ufficiale trasmesso il 19 novembre 1942 dal Vaticano al Ministero degli Affari Esteri italiano.
Inoltre dal rapporto destinato ai comandi militari e redatto da un ufficiale medico, che aveva effettuato un sopraluogo al campo di Arbe, emerge un livello di alimentazione insufficiente ed una situazione igienica inadeguata tali che la conclusione è la seguente: "Premessi i dati surriferiti e la sproporzione tra le calorie di consumo e quelle che l'organismo ricava dalla razione alimentare assegnata, considerato lo stato igienico del campo, occorrerebbe, onde ovviare parzialmente alle deficienze, ricoverare gl'internati sotto tetto in locali chiusi e fornire gli stessi del vestiario occorrente...".
Lo stesso afferma che la insufficienza alimentare si moltiplica per il freddo e la dispersione di calore corporeo vivendo i civili sotto tende, con abiti estivi e coperte insufficienti; "Si hanno così casi di cacclessia e di edemi da fame sui quali trovano facile innesto altre malattie"; ovvero questo provoca un pericoloso dimagrimento ed un ingrossamento dei ventri favorendo una forte propensione a malattie, che infatti colpirono in due mesi (metà settembre - metà novembre) il 65% dei detenuti.
Secondo le autorità italiane, fino al 19 novembre 1942, ad Arbe i morti erano stati 289 (di cui 62 bambini).

Il 13 febbraio 1943 un documento del Comando della II Armata,
da cui dipendeva direttamente il campo di Arbe, indica che, tra l'1 e il 10 gennaio 1943 erano morte 136 persone a fronte della presenza di 4.300 internati, e 234 erano stati i decessi nell'intero mese.
Poi lo stesso comando si contraddice: in un rapporto del 26 giugno 1943 indica 190 decessi in gennaio; anche per febbraio indica "solo" 20 decessi ad Arbe, mentre prima aveva dichiarato 13 morti solo nei primi dieci giorni dello stesso mese.
Evidentemente l'abnormità dei fatti ha spinto i generali ad un tentativo di diminuire il numero dei morti, ma il disumano trattamento nei campi era stato frutto di una scelta precisa.
Significative a questo proposito sono le affermazioni del generale Gambara, nuovo comandante dell'XI CdA in Slovenia, in data 17.12.1942 : "Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo"; inoltre: "Le condizioni da deperimento dei liberati di Arbe sono veramente notevoli - ma Supersloda da tempo sta migliorando le condizioni del campo. C'è da ritenere che l'inconveniente sia praticamente eliminato".
Le sofferenze e le morti di migliaia di persone sarebbero un semplice inconveniente!

Grave è anche la situazione in altri campi: a Gonars tra gennaio e maggio 1943 i morti sarebbero stati più che a Arbe: 280, 104 a Monigo e 112 a Renicci, sempre nei primi cinque mesi dell'anno.
A proposito di Renicci, un'ulteriore conferma viene da un sacerdote italiano, che nel febbraio 1943, dopo aver visionato una relazione del Ministero della Guerra, sottolinea l'infelicissimo stato degli internati civili in quel campo, confermando quanto già scritto dai vescovi sloveni.

Della gravità della situazione nei campi scrivono anche ufficiali dei Carabinieri Reali nei loro rapporti ai comandi: "... nei campi di concentramento ... la vita è davvero grama e fiacca il corpo e lo spirito. Particolarmente nel campo di Arbe, le condizioni di alloggiamento e del vitto sono quasi inumane: viene riferito che frequenti sono i casi di morte, gravi e frequentissime le malattie" e inoltre richiamano "vari casi di decesso provocati dalla scarsità del vitto e da malattie epidemiche diffusesi per deficienza di misure sanitarie".

I campi di concentramento rimasero attivi fino al disfacimento dell'esercito italiano, avvenuto in seguito dell'armistizio dell'8 settembre 1943 e la conseguente cessazione delle ostilità da parte delle truppe monarchiche italiane verso le forze di liberazione jugoslave.


FONTE: Crimini di guerra italiani
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 Pierangelo    - 27-01-2005
Da l'Unità del 27.1.2005

Noi ricordiamo
di Furio Colombo

Oggi, Giorno della Memoria, i lettori dell’Unità trovano compiegate con questo quotidiano le pagine di due giornali italiani dell’estate del 1938, ovvero alcuni mesi prima della promulgazione delle leggi anti ebraiche e della espulsione degli italiani ebrei da tutte le attività e la vita del Paese. Abbiamo riprodotto la prima pagina del Popolo d’Italia, il giornale fondato da Mussolini, che ha questo titolo, che è anche una rivendicazione e un vanto: «Il razzismo italiano data dall’anno 1919 ed è base fondamentale dello stato fascista. Assoluta continuità della concezione mussoliniana» (6 agosto 1938).

Ci è sembrato importante anche riprodurre la prima pagina de La Stampa (31 luglio 1938) in cui il titolo a prima pagina è «Anche nella questione della razza noi tireremo diritto». Si legge nel breve testo che segue intitolato «Testuali parole»: «Dire che il fascismo ha imitato qualcuno o qualcosa è semplicemente assurdo».

In queste due pagine il regime fascista, nella sua peggiore incarnazione di persecutore di cittadini italiani, smentisce con decenni di anticipo coloro che penosamente sostengono, ai nostri giorni, che il fascismo non è stato uno dei due grandi protagonisti della Shoah, insieme alla Germania nazista. La Shoah - come si può vedere e capire in una grande mostra aperta in questi giorni a Roma, presso il Vittoriano (e da cui abbiamo tratto «La Stampa» e «Il Popolo d’Italia» del 1938) - non avrebbe mai potuto cominciare se leggi razziali ossessive, totali e durissime, come quelle approvate all’unanimità da Camera e Senato italiani, non si fossero saldate con quelle tedesche, diventando orrendo modello di persecuzione in tutta l’Europa occupata. Con questo numero de «l’Unità» c’è anche il volume «Voci della memoria», una antologia di documenti e testimonianze che potrà essere utile agli insegnanti costretti ad affrontare da soli, senza sostegni della scuola e senza sussidi, i ricordi di questa giornata.

Le pagine così crudelmente esplicite di due giornali fascisti, in pieno dominio del regime, e il volume ci servono per ripetere qui, a coloro che fingono di non sapere o di non sentire che, quando si parla di Shoah, richiamare altri crimini e orrori esecrabili accaduti altrove nella Storia (le Foibe, i Gulag) è solo un espediente per allontanare il discorso dal fascismo. La Shoah infatti è un delitto italiano, un delitto che, senza la fervida collaborazione fascista, non avrebbe potuto raggiungere un tale livello di sterminio in Europa. È questo delitto italiano - acclamato all’unanimità nel Parlamento e dai cosiddetti grandi statisti di allora - che oggi si ricorda con dolore inguaribile nelle scuole e nelle istituzioni italiane. Lo si ricorda insieme al delitto di perseguitare ed eliminare gli avversari politici, nel periodo più buio della Storia contemporanea italiana. Per questo, e per impedire che malattie mortali come il fascismo possano riprodursi, anche attraverso lo stravolgimento della verità e la negazione dei fatti, che esiste il “Giorno della Memoria”, 27 gennaio, il giorno in cui sono stati abbattuti i cancelli di Auschwitz e il mondo ha cominciato a scoprire l’orrore della persecuzione nazista e fascista, tedesca e italiana.

 gp    - 29-01-2005
Furio Colombo - primo firmatario della legge che ha fissato la memoria della Shoah il 27 gennaio, giorno della liberazione di Auschwitz - fa bene a socializzare le prime pagine dei giornali dell'epoca.

Perché la Storia è fatta, essenzialmente, di documenti. Non di chiacchiericcio.

Se alcuni "politici" si fossero presi la briga di leggere qualche libro (non scolastico perché tali "sussidi didattici" sono ben lungi dall'essere esaustivi in merito) avrebbero acquisito un dato di fatto incontrovertibile. Ovvero che la politica antirazziale del fascismo non fu introdotta per imposizione della Germania. Ma fu una libera determinazione del governo italiano e dei massimi organismi dello Stato. Monarchia compresa.

L'ideologia fascista era intimamente finalizzata alla costruzione del modello di "italiano nuovo", che comportava la totale fascistizzazione della società secondo un’ottica totalitaria. Laddove per “totalitario” si intende un regime che tende a imporre l’uniformità in ogni aspetto della vita sociale, politica, culturale senza trascurare alcuna sfera della società e senza lasciare alcuno spazio al dissenso, alla diversità, all’opposizione politica. Un regime – in ultima analisi – che afferma un unico potere (il proprio); un’unica ideologia (quella del partito o della fazione di partito dominante); un’unica gerarchia di miti e di valori.

Una prima “lesione” delle prerogative di uguaglianza e di integrazione sociale degli ebrei italiani derivanti dallo Statuto Albertino si intravede già con la stipula del Concordato del 1929 con la Santa Sede che retrocesse il culto israelitico, allo status di semplice … "culto ammesso" dallo Stato. Preludendo – di fatto - al nuovo statuto delle Comunità ebraiche del 1931 che ne delimitò – di parecchio – le libertà di culto. Nel 1934, poi, a seguito dell'arresto di numerosi antifascisti ebrei (quasi tutti intellettuali piemontesi tra i quali spiccava il nome di Vittorio Foa) iniziò una vera e propria campagna di diffamazione generalizzata.

A partire da quel momento (biennio 1933/34) il pregiudizio razziale e religioso fascista si arricchì di un nuovo, ed esplosivo, elemento: l'anticomunismo.

Per saperne di più rimando ad una mia vecchia nota