L’Italia del maresciallo Simone Cola
Reporter Associati - 25-01-2005
Siamo tutti d’accordo che il nostro paese ci abbia abituato, fin da fanciullini, ad accostarci alla politica con un misto di cinismo e disincanto, grazie ai comportamenti della nostra classe politica; altrove inconcepibili. Non da meno, tutto quello che ad essa ruota accanto, dall’impresa all’informazione, fino ad ogni altro ambito, è permeato da questa strana anomalia italiana. Ne abbiamo avuto la prova aprendo i due maggiori quotidiani nazionali, e scoprendo che tutti e due hanno scelto per l’apertura la morte del maresciallo Simone Cola, scegliendo al contempo di non pubblicare, neanche nelle pagine interne, le dichiarazioni del presidente della Commissione Difesa della Camera Gustavo Selva, pubblicate invece su Libero e riprese poi da l’Unità.

Selva, che siede in parlamento per AN ed era conosciuto con il simpatico nomignolo di Gustavo belva ai tempi della direzione del Gr Rai, ha dichiarato a proposito della missione in Iraq: “è guerra camuffata, la formula della missione umanitaria fu un trucco verbale per “mascherare” l’intervento in guerra, sennò dal Colle più alto non sarebbe mai arrivato il via libera”.

Per non lasciare dubbi ai supporter del proprio partito sul suo pensiero, ha poi aggiunto: “dobbiamo passare da forza di ingerenza umanitaria a forza combattente”.

Gustavo Selva, a suo modo, presiede e rappresenta una autorevole istituzione e le sue dichiarazioni possono ben essere considerate le parole del governo. Il fatto che abbia sbugiardato la pietosa menzogna che ha permesso al governo di aggirare nientemeno che la nostra Costituzione, e che per di più tale menzogna sia stata preparata al fine, dichiarato, di ingannare il Presidente della Repubblica, ha scandalizzato solo l’Unità.

Ce ne sarebbe abbastanza, in un paese normale, per sollevare ben più di uno scandalo, e poco importa che fino ad ora questa soave bugia sia stata presa per buona anche dagli impotenti che siedono sui banchi dell’opposizione, sempre incerti tra il partecipare o l’opporsi.

Invece non è accaduto (e non accade) assolutamente nulla.

I due maggiori quotidiani hanno scelto di aprire con la morte del maresciallo, ritenendo evidentemente che il fatto che fosse capitato nel bel mezzo di una guerra alla quale il nostro paese partecipa illegalmente non rilevasse. Grandi foto del presidente Ciampi addolorato, titoli assurdi, da : “Ciampi piange il soldato Simone” per La Repubblica, ad un incredibile: “L’italiano colpito da sei guerriglieri” per il Corriere della sera; una evidente tensione alla creazione dell’eroe civilizzato che combatte contro i vigliacchi che lo affrontano in superiorità numerica.

Poco importa che il nostro soldato sia stato colpito da un solo proiettile, poco importa che un uomo alla mitragliera di un elicottero da guerra non sia per nulla in inferiorità nei confronti di armati di armi leggere a terra, quello che importa è la costruzione dell’eroe, che sia stato sfortunato non va bene (così dice lo Stato Maggiore dell’Esercito per autoassolvere sé stesso e coprire le responsabilità del governo), che sia morto travolto da soverchianti forze nemiche è molto meglio e sicuramente farà vendere qualche copia in più ai curiosi di scoprire le rivoluzionarie pallottole irachene da 1/6, e la favolosa mira dei terroristi capaci di sparale in sincrono per farlo sembrare un tiro solo e mettere in ridicolo il nostro esercito ed il nostro paese.

Purtroppo i nostri due più venduti quotidiani scelgono una strana linea a cavallo tra l’unità nazionale nel pericolo ed il collateralismo servile con le istituzioni, pur conservando un occhio al marketing, la tragedia vende.

Nemmeno Ciampi pare aver realizzato appieno i termini della questione, e non ha ancora espresso alcun risentimento per il complotto ai suoi danni. Ci sarebbero da rilevare, nel caso, gravi implicazioni istituzionali, essendo chiaro che: se Selva mente dovrebbe dimettersi di corsa dalla Commissione, mentre se dice la verità si dovrebbe dimettere immediatamente il governo, tertium non datur, ma stiamo parlando di dinamiche aliene al nostro paese, essendo riservate a realtà meno ridicole della nostra, o a democrazie più sane.

Siamo un paese di magliari, lo sappiamo, e qualche volta ci costringiamo ad aver fiducia nell’ottuagenario travet piazzato sul Colle del Quirinale a patto che non disturbi troppo, illudendoci che la sua integrità possa farci da scudo contro le peggiori follie.

Ci sbagliamo di grosso, è lo stesso errore che facciamo quando leggiamo autorevoli fogli come il Corriere della Sera ed altri, illudendoci di ritrovarvi dei fatti, o autorevoli opinioni; mentre in realtà continuiamo a masticare solo merda.

mazzetta


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 Pierangelo Indolfi    - 28-01-2005
Segnalo la lettera alla moglie di Simone Cola riportata da Liberazione il 26.1.2005

Cara Alessandra,

non ero al funerale del tuo Simone, oggi. Ma voglio dirti che sento nel profondo il dolore per la morte di un giovane uomo, con una vita intera davanti, con tanti sogni da realizzare.
Cara Alessandra, non so da dove mi venga il coraggio di scriverti, per dirti le cose che sento di dover condividere con te. Vedi, oggi il sacerdote che ha pronunciato l'omelia al funerale del tuo Simone (credo che fosse l'Ordinario Militare) ha detto che Simone era un "costruttore di pace".
Io faccio parte di un'associazione che si chiama "Beati i costruttori di pace" e che ha fatto tutto il possibile per evitare che questa guerra si facesse, insieme a gran parte della popolazione di questo nostro paese. E, una volta iniziata la guerra, ha chiesto con forza che l'Italia rispettasse l'Articolo 11 della sua Costituzione (scritta da uomini di diverse idee politiche, ma tutti della stessa generazione, quella che riprendeva a vivere sulle macerie della seconda guerra mondiale), rifiutandosi di prendervi parte. E, adesso, dopo che il Governo con l'avallo della maggioranza in Parlamento, ha comunque inviato un contingente militare per partecipare all'occupazione, siamo coloro che continuano a richiedere, senza stancarsi mai, che si rientri nella legalità costituzionale e che si ritirino immediatamente i soldati italiani.
Perché, cara Alessandra, per me è impossibile chiamare il compito che svolgeva il tuo Simone in Iraq "costruzione di pace". Ti chiedo perdono se, in questo momento, ti scrivo queste parole. Sono dure, lo so. Ma finché permetteremo a chi vuole trascinarci in fondo al baratro della violenza, a chi vuole dividerci con il ricatto del "o con noi o contro di noi", di strumentalizzare le parole, dando loro il significato che si addice meglio ai loro scopi, non risaliremo mai la china. Invece, abbiamo bisogno di riappropriarci della nostra comune umanità. Per questo ti abbraccio, ti dico che il dolore per la morte di Simone è forte. Come lo è, però, anche il dolore per la morte dei 13 partecipanti ad una festa di nozze, uccisi lo stesso giorno. Dobbiamo scoprire insieme di far parte di un'unica famiglia umana.
Negli anni ho passato parecchio tempo in vari paesi sconvolti dalle guerre. Ho visto i disastri che la guerra, ogni guerra, combina. Ho avuto modo anche di vedere l'umanità e il coraggio dei soldati in tante occasioni. A Sarajevo molti militari francesi dell'Unprofor hanno rischiato la vita (ed alcuni l'hanno sacrificata) per salvare bambini, per aiutare donne e anziani. I Carabinieri italiani a Srbinje, nella Serbo-Bosnia, rischiavano di persona per assicurare alla giustizia criminali di guerra ricercati dai tribunali internazionali. Quindi non ho dubbi sul fatto che Simone, in un altro contesto, in un'altra missione, con un altro mandato, sarebbe stato un "costruttore di pace". Ma lì, in Iraq, come membro di un esercito di occupazione, sotto il comando del contingente britannico, non svolgeva il ruolo di "costruttore di pace".
Se vogliamo lavorare davvero alla costruzione di un mondo di pace, dove ci sia pace per tutti, però, e non solo per alcuni di noi, non possiamo confondere le parole. Ho scelto di scrivere a te, anche se non sei stata tu a pronunciare quelle parole, bensì l'Ordinario Militare e, prima di lui, il Papa stesso. Penso che se la vedranno con la loro coscienza e la loro fede, per aver usato la parola di Gesù, il Principe della Pace, al fine di confondere la verità. Ma a te, cara Alessandra, sentivo il bisogno di parlare dal cuore, per esprimerti tutto il mio affetto, tutto il dolore che provo per la morte di un uomo che aveva davanti una vita intera, una vita di marito e padre.

Lisa Clark